La quattordicesima domenica del tempo ordinario: recensione del film di Pupi Avati

Il quarantaduesimo film di Pupi Avati, tra horror dell'anima e melò. Distribuito da Vision Distribution a parte da giovedì 4 maggio 2023.

Fantasmi, nebbie e ricordi. Questi i tre elementi centrali e di peso del quarantaduesimo lungometraggio di carriera di Pupi Avati, La quattordicesima domenica del tempo ordinario, un film che a partire dalla scelta di titolo si presenta a noi come qualcosa di apparentemente astratto, evanescente e fantasmatico – quanti fantasmi nel cinema Avatiano… – e che risulta invece assolutamente concreto e ancora una volta personalissimo e definitivo, così come pochissimi altri titoli dell’intera filmografia dell’autore bolognese di La casa dalle finestre che ridono e Il papà di Giovanna hanno saputo essere.

Noi, loro e il tempo

Pupi Avati torna al cinema con La quattordicesima domenica del tempo ordinario

A distanza di tredici anni dall’uscita nelle sale di Una sconfinata giovinezza, dramma sentimentale sull’elaborazione della malattia di Alzheimer, in ogni sua devastante e tragica conseguenza sugli animi e la passionalità di due individui, Lino e Francesca, che per moltissimo tempo hanno vissuto una meravigliosa storia d’amore, fino alla diagnosi e a quel cambiamento inaspettato capace di risvegliare improvvisamente la coscienza di entrambi rispetto alla fugacità del tempo e all’importanza del ricordo.

Avati preferendo ancora una volta la connessione tra uomo e natura, tra tempo del ricordo e mutamenti d’esso sui luoghi e gli individui cala la narrazione di Una sconfinata giovinezza in quegli ambienti rurali e nebbiosi che siamo soliti ritrovare nel suo cinema scansando l’approccio claustrofobico e logorante dell’Haneke di Amour, perseguendo quella stessa ricerca autoriale che parecchi anni più tardi abbiamo ritrovato all’uscita – questa volta on demand – di Lei mi parla ancora, memoir esistenziale sull’elaborazione del lutto e del ricordo vissuto realmente da Giuseppe Sgarbi, padre di Vittorio, adattamento da omonimo racconto edito da La nave di Teseo nel 2016.

Così come Una sconfinata giovinezza e Lei mi parla ancora riflettono su di noi, su di loro – i fantasmi, i nostri? di chi? – e sul tempo come entità e poi come vero e proprio protagonista tanto concreto quanto gli stessi interpreti, anche questo quarantaduesimo lungometraggio di carriera, La quattordicesima domenica del tempo ordinario torna a soffermarsi sui topos della cinematografia Avatiana: l’innamoramento irripetibile e incontrastato, i fantasmi, i ricordi, la debolezza degli uomini, la sconfitta, l’album fotografico, l’operazione nostalgia, la nebbia e la musica.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario - Cinematographe.it

Un sogno che è sconfitta

La parabola di Marzio Barreca (che sorpresa Lodo Guenzi, conferma graditissima quella di Gabriele Lavia) si ricollega dunque all’idealizzazione di un ennesimo e dolcemente malinconico perdente, che ha amato, che ha elaborato su sé stesso i dolori, il rimorso e la rincorsa di un sogno fin dal primo momento irraggiungibile – quello di sfondare nella musica – ma non per questo osservato in modo schivo, piuttosto ingenuamente, con uno sguardo talmente illusorio da sopravvivere un’intera vita, ecco perciò l’incontro lucidamente drammatico tra Marzio e Samuele e quel revival che non avverrà mai, nonostante il ripetersi incessante del brano leitmotiv del film, Le cose belle son volate via, scritto dal duo Avati/Cammariere.

Un brano che nel suo ripetersi sembra rimandare molto più direttamente ad un richiamo mortifero, o meglio, ad una marcia funebre che è ninna nanna dolce e confortante, quanto avvertimento cupo e lugubre, così come sono cupe e lugubri molte delle ambientazioni del film, poiché ancora una volta tutto accade tra nebbie e luoghi di silenzio, abbandono e senilità, tornando silenziosamente al luogo del delitto che prima e meglio di qualsiasi altro ha donato fama e celebrità all’autore bolognese, ossia il cinema horror.

A differenza del Lino di Una sconfinata giovinezza e del Nino di Lei mi parla ancora, due uomini di vita spigolosi e sfiduciati, quella di Marzio Barreca di La quattordicesima domenica del tempo ordinario è una figura talmente fredda, rigida, convinta e compiaciuta da risultare respingente, perfino nel momento in cui anche il suo interprete muta e dalla parabola giovanile interpretata da un meraviglioso e sorprendentemente in parte Lodo Guenzi, passiamo a quella dell’anzianità che Gabriele Lavia regge su di sé meglio che può, tra fascino di un’icona ormai leggendaria e apparenti problemi di scrittura che sembrano far parte – e dispiace – dell’intero film.

Questa volta la parabola del perdente risulta annunciata a tal punto da divenire involontariamente tragica nel suo centrare cliché per cliché, tutti quelli che sono i passaggi di distruzione emotiva di un uomo vuoto, in crisi e distrutto – l’urlo in camera da letto, la ballata davanti alla tv – che non può far altro che fallire, dalla sua nascita, fino alla morte, senza tuttavia riuscire a dimostrare alcunché. Tanto a sé stesso, quanto allo spettatore.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario: conclusione e valutazione

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Non è sufficiente il racconto di un matrimonio infelice, così come la riflessione sull’amicizia travagliata che nel resistere al tempo può ancora una volta ritrovare i suoi luoghi e fenomeni di passione, incontro e rinascita. Né tantomeno la prova in qualche stralunata, sorpresa e ambiguamente fantasmatica della rediviva Edwige Fenech che torna dopo moltissimi anni sul grande schermo, per il maestro Avati che dopo essere tornato all’horror con il meraviglioso e nerissimo Il Signor Diavolo desidera ancora una volta riflettere sui fantasmi dell’anima e del tempo, seppur in chiave drammatica e in questo caso molto poco convincente.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario è al cinema a partire da giovedì 4 maggio 2023, distribuzione a cura di Vision Distribution.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.5