La pelle che abito: recensione del film di Pedro Almodovar

La pelle che abito è - a nostro parere - uno dei film meno riusciti di Pedro Almodóvar, regista spagnolo vincitore di due Oscar. Vediamo insieme perché.

Stavolta lo possiamo proprio dire di non voler stare “nella pelle di Vera” (Elena Anaya), la protagonista di un esperimento chirurgico condotto da Robert Ledgard (Antonio Banderas) in La pelle che abito. Forse è uno dei film meno riusciti di Pedro Almodóvar, regista spagnolo vincitore di due Oscar: nel 2000 come miglior film straniero con Tutto su mia madre e nel 2003 come migliore sceneggiatura originale con Parla con lei. La pelle che abito esce in sala nel 2011 e si ispira al romanzo Tarantola (Mygale) di Thierry Jonquet, da cui il film si distanzia, scegliendo altre svolte drammatiche.

La pelle che abito Cinematographe

La Pelle che Abito: Pedro Almodovar

Almodovar aggiunge delle sottotrame non presenti nel libro, nelle quali si riconosce maggiormente il suo stile e che presumibilmente sono state “il tocco dell’artista”. Nel libro non si parla della moglie di Robert e né del fratello, che invece è il suo migliore amico. Sembra che il regista abbia voluto tessere questa storia all’interno di una struttura familiare, che effettivamente analizza nella maggior parte dei suoi film.

Il cambiamento più radicale, tuttavia, risulta il tipo di intervento chirurgico, da cui il titolo La pelle che abitoIn Tarantola si parla solo di vaginoplastica, mentre nel film l’obiettivo di Robert è sperimentare una pelle sintetica ultra resistente (questo, si lascia intendere, a causa del trauma legato all’incidente della moglie). Tutto sommato questa pelle speciale non ha alcuna funzione narrativa, le sue potenzialità non vengono mai messe alla prova, mentre restano rilevanti le altre modifiche apportate a questo corpo. Insomma, viene aggiunto un elemento che non serve allo sviluppo della storia, mentre il punto focale resta lo stesso approfondito nel libro. La vicenda permette di cogliere diversi spunti di riflessione, importanti ancora ai giorni, periodo storico in cui l’identità sessuale è assolutamente centrale.

La pelle che abito è tratto dal romanzo Tarantola da cui si distanzia per diversi motivi

In La pelle che abito, il  chirurgo Ledgard si interroga se non sia giusto migliorare la specie umana attraverso l’ibridazione, come accade con gli animali e le piante. Se a rigor di logica questa osservazione non fa una piega, umanamente fa rabbrividire, considerando come le sperimentazioni sugli animali sollevino molte polemiche e mettano in crisi l’etica sociale. Per Robert, un uomo a cui la vita ha tolto tutto, non resta che la scienza e tutto ciò che ha a che fare con la sua ricerca non è che uno strumento di conoscenza.

Seppure le sue azioni siano spietate e la sua coscienza inconsistente, ha un aspetto pacifico e riflessivo di un uomo mesto e cristallino. Il suo rapporto con Vera è scientifico e a tratti paterno. Sperimenta su di lei una nuova pelle in grado di resistere al fuoco e alle punture d’insetto. Ma non solo, interviene molto più a fondo, trasformando l’individuo per intero. In questo processo rimane oggettivo, come se a contare fosse la creazione, più della persona: non si preoccupa della sofferenza, ma neanche cerca di causarne altra. Si noti l’attenzione a nutrire la donna, a regalarle vestiti nuovi e ad assecondare i suoi desideri di scolpire, scrivere e fare yoga. Una cavia da laboratorio segregata in una stanza della sua villa che si abitua a essere spiata dalle telecamere e a rifugiarsi nella meditazione, essendo se stessa il suo unico rifugio possibile.

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La pelle che abito: Vera e Robert

Almodovar costruisce La pelle che abito come un thriller al contrario

La pelle che abito inizia con una tensione altissima che si scioglie dal secondo atto, con flashback degli accadimenti dei sei anni precedenti, a cui segue il disvelamento della trama. Seppur molto interessante questa struttura rischia di essere per lo spettatore una trappola. Le premesse fanno presagire uno sviluppo più nero e il cinema di Almodovar ci ha abituati a un approfondimento dei personaggi e dei loro rapporti maggiormente assediati da dubbi esistenziali. Invece la tensione psicologica viene smorzata, i personaggi sono poco approfonditi e tutto sembra trovare una giustificazione superficiale.

La pelle che abito: Vera e La Tigre

Sono presenti comunque dei momenti almodoviani come stupri, situazioni pittoresche e una fotografia accesa, che promettono allo spettatore due ore di intrattenimento cinematografico.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.7