La Palisiada: recensione del film vincitore del TFF41

Due spari e due omicidi, a distanza di 25 anni, per unire il passato e il futuro dell'Ucraina. Nel mezzo, un'indagine frammentata e frastagliata: in quali modi viene costruita la storia ufficiale?

Non è un film facile, La Palisiada, ammesso poi che esistano film facili. Il lungometraggio d’esordio di Philip Sotnychenko – fresco vincitore del 41° Torino Film Festival – è un’opera frammentata e volutamente caotica, un’esperienza visiva opaca e a volte torpida, che forse non si risolve in modo del tutto soddisfacente, ma che mostra un talento e un’originalità indiscutibili. Al centro di tutto ci sono due omicidi, avvenuti a 25 anni di distanza: uno è un atto sorprendentemente brusco di disperazione da parte di un amante infuriato, l’altro è un’esecuzione accuratamente deliberata eseguita sotto gli auspici dello Stato.

Il legame comune è costituito dal baffuto investigatore di polizia Sabitov, che nel 1996 viene incaricato di risolvere l’omicidio di un collega, con la scelta di far ricadere la colpa sullo svogliato e disadattato Bohdan, capro espiatorio perfetto. E alla fine, fuori dalla narrazione effettiva degli eventi, La Palisiada finisce per essere anzitutto un atto d’accusa contro la mentalità poliziesca dell’Europa orientale, oltre che un ritratto significativo e provocatorio dell’identità ucraina, della struttura politica e delle convenzioni sociali.

La Palisiada: il braccio violento (e sbiadito) della legge

Girato quasi interamente su quello che sembra un vecchio video, con l’aspetto sgranato che crea un’atmosfera precisa, La Palisiada – termine inventato mai spiegato correttamente, sottotitolato ad un certo punto come “polisiada”, cioè una storia sulla polizia – sembra un filmato strappato agli archivi, tirato fuori dall’oscurità e consegnato a noi senza alcun discorso pregresso esplicito. Un filmino sbiadito, proveniente da una telecamera VHS, in cui lo stile lavora con la trama per restituire un senso di autenticità, quasi come se stessimo sbirciando nelle vite dei personaggi, osservando la loro routine quotidiana con fascino voyeuristico.

Un metodo che non solo permette al regista di trasmettere appieno la consistenza dell’epoca, ma che porta inevitabilmente anche a sfumare il confine tra realtà e finzione: La Palisiada affascina e disturba, in egual misura, un’ambiguità che contribuisce al quadro generale e che avvicina il lavoro di Sotnychenko a quello dei maestri Alexei Balabanov e Sergei Lonitzsa. I toni prevalenti di cinismo e fatalismo, associati alla tetraggine delle ambientazioni, fanno poi il resto, restituendo a chi guarda un prodotto vagamente inquietante, tanto alieno quanto fortemente incollato alla realtà.

La Palisiada: il passato irrisolto e il futuro indefinito dell’Ucraina

La Palisiada dimostra come tutta l’arte sia intrinsecamente politica, anche se sono poche le dichiarazioni esplicitamente politiche al suo interno, presenti tuttavia come ossessivo leitmotiv della narrazione. E c’è, chiaramente, un metodo nella follia del regista, che si concentra sull’esplorazione di questo materiale stratificato e articolato, che si riduce infine a una serie di conversazioni sull’identità e sull’esistenza, due temi ampi che sviluppano un senso di ulteriore complessità quando iniziamo a vedere le correlazioni tra di loro man mano che la pellicola procede.

Tra immagini disarticolate e suoni discordanti, il film osa andare – pur proponendo in fondo una trama essenziale e schematica – alla ricerca di qualcosa non solo di indescrivibile ma forse anche di intangibile. Inenarrabile e frastagliato come possono esserlo, del resto, il passato tormentato e il futuro incerto dell’Ucraina. La Palisiada è un’opera originale e coraggiosa, una potente e provocatoria dichiarazione artistica. Un intenso dramma sperimentale che gioca sulla nostra psicologia, di quelli capaci di provocare un immediato innamoramento o di causare un’incontrollata fuga dalla sala.

La Palisiada: valutazione e conclusione

Film costruito su frammenti di idee, La Palisiada offre al pubblico uno stile di narrazione frastagliato, forse addirittura caotico, per raccontare la storia di due spari e due omicidi avvenuti a distanza di 25 anni l’uno dall’altro. Il risultato è un’opera coraggiosa e stratificata, capace al contempo di respingere e affascinare grazie anche ad un’estetica demodé e paradossalmente estremamente verosimile: la pellicola è infatti girata come fosse un found footage, come un “ritrovamento” segreto di immagini e sequenze nascoste. Philip Sotnychenko non si ispira solo ai documentari, ma anche alla televisione ucraina dell’epoca. Un lavoro politico, non omologato e non conciliato, che cerca anche sarcasticamente di sollevare più di un dubbio sulle modalità in cui la “storia ufficiale” viene costruita e tramandata.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 1.5

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