La famiglia Leroy: recensione del film di Florent Bernard

Un legame che cambia forma non muore, ma si trasforma: è questo il cuore pulsante de La famiglia Leroy, opera prima di Florent Bernard, noto al pubblico francese come FloBer. Classe 1991, nato a Le Creusot e cresciuto artisticamente all’interno del collettivo comico Golden Moustache, Bernard ha poi scritto per Canal+ (Bloqués, Pitch, La Flamme) e conduce il popolare podcast FloodCast. Con questo debutto cinematografico, uscito in Francia il 10 aprile 2024, mette da parte il puro sketch per affrontare il racconto lungo, firmando anche la sceneggiatura e imprimendo alla storia una sensibilità autobiografica che affonda nelle radici della propria famiglia. Accanto a lui due interpreti d’eccezione: Charlotte Gainsbourg, magnetica e intensa, e José Garcia, a tratti goffo e disarmato nel confronto con la co-protagonista. Nel cast spiccano anche i giovani Léonie Dahan-Lamort e Pablo Pauly nei ruoli dei figli Loreleï e Bastien, capaci di restituire con naturalezza lo sguardo disincantato dell’adolescenza. Dietro la macchina da presa, Bernard si circonda di una troupe solida: la fotografia è affidata a Julien Hirsch, già collaboratore di registi come Godard e Assayas, il montaggio a Yorgos Lamprinos, nominato all’Oscar per The Father, mentre la colonna sonora originale è firmata da Thylacine, che alterna elettronica e suggestioni acustiche.

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La famiglia Leroy: viaggio a ritroso

La famiglia Leroy cinematographe.it

Sandrine (Charlotte Gainsbourg), madre e moglie cinquantenne, annuncia a Christophe (José Garcia) la volontà di divorziare: i figli adolescenti sono ormai pronti a spiccare il volo, non c’è più motivo di fingere un’unione che non sente viva. Sorpreso e ferito, Christophe reagisce con un piano tanto romantico quanto disperato: condurre moglie e figli in un weekend “terapeutico”, un road-trip attraverso i luoghi chiave della loro storia familiare. Dal primo appartamento alla trattoria della proposta di matrimonio, dalle aree di servizio ai ristoranti di catena, la famiglia attraversa paesaggi di memoria e disincanto, scoprendo che molti luoghi non esistono più come li ricordavano. Nel percorso riaffiorano vecchie ferite e piccoli rancori, ma anche frammenti di complicità: un karaoke improvvisato, una lattina simbolica, sguardi che parlano più delle parole. Tra imprevisti, battibecchi e silenzi pesanti, il viaggio si fa specchio del loro presente, un presente in cui la fine del matrimonio non equivale a quella della famiglia. Il rientro non sancisce alcun lieto fine forzato, bensì l’accettazione che qualcosa è cambiato per sempre, e che proprio da questo cambiamento può nascere una nuova forma di vicinanza.

La voce e il silenzio

Bernard tratta il divorzio come un processo naturale, un passaggio che non cancella la famiglia ma la ricompone in altra forma. La pellicola osserva il burnout amoroso e l’angoscia del nido vuoto, sottolineando che il primo vero confronto è con sé stessi. Eppure la scoperta dell’io passa inevitabilmente attraverso l’altro: il rapporto con i figli, con il partner, con le memorie condivise. Da qui l’importanza del dialogo, cardine del film tanto nella sua presenza quanto nella sua assenza. Sandrine parla ma non è ascoltata, Christophe agisce senza trovare le parole, i ragazzi guardano in silenzio. È una ricerca spasmodica e insieme timorosa, fatta di frasi non dette, di tentativi maldestri, di gesti che chiedono più comprensione di quanto le frasi possano offrire. La nostalgia, poi, è doppio filo: unisce e separa, consola e illude, mostrando quanto il passato possa essere trappola e insieme rifugio. Così la famiglia diventa un organismo che muta, che si adatta e che impara a convivere con le proprie mancanze.

La famiglia Leroy: valutazione e conclusione

La famiglia Leroy Charlotte Gainsbourg cinematographe.it

Il risultato è una commedia dal respiro gentile che non osa mai davvero sorprendere, ma che resta coerente al proprio intento. La famiglia Leroy è un’operazione lineare, una “buona” prima prova che privilegia la lucidità tematica alla brillantezza formale. La narrazione procede con ritmo costante, a tratti fin troppo piatto, mentre l’argomento – il cambiamento, la crescita, l’accettazione di sé e degli altri – avrebbe potuto suggerire maggiori scarti emotivi. Il contrasto registico e interpretativo tra i protagonisti accentua questa sensazione: Garcia porta un’energia quasi slapstick, Gainsbourg un’intensità drammatica sottile e magnetica. Lui è il polo comico, lei quello malinconico, ma la distanza di tono rischia di far empatizzare più con l’idea del loro legame che con i personaggi in sé. Rimane, comunque, un film capace di raccontare con delicatezza come una famiglia possa continuare a essere tale anche dopo drastici cambiamenti, un road movie capace di dimostrare come la fine di un percorso possa sempre essere tramutata in svolta.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.6