La ballata di un piccolo giocatore: recensione del film Netflix
La recensione della trasposizione con Colin Farrell che Edward Berger ha realizzato dell’omonimo romanzo del 2014 di Lawrence Osborne. Su Netflix dal 29 ottobre 2025.
Edward Berger è tra i registi in circolazione che meglio conoscono i meccanismi e le regole del “gioco” e della tensione. Film come Niente di nuovo sul fronte occidentale prima e Conclave poi ne sono la riprova. Con la sua nuova fatica dietro la macchina da presa però quelle regole le ha seguite e prese davvero alla lettera, portando sullo schermo e su Netflix dal 29 ottobre 2025 (dopo il passaggio al Telluride Film Festival), con la complicità in fase di scrittura di Rowan Joffé, l’adattamento cinematografico del romanzo di Lawrence Osborne dal titolo La ballata di un piccolo giocatore.
Le luci e i casinò di Macao fanno da cornice a una storia di dipendenza e autodistruzione nell’adattamento cinematografico del romanzo La ballata di un piccolo giocatore

Per raccontare lo stato psico-fisico di un uomo consumato dalle proprie dipendenze attraverso un viaggio dove vizio, cupidigia, pericoli e un tentativo di redenzione si mischiano c’è solo un altro posto oltre a Las Vegas che poteva fare da cornice, ossia Macao, regione autonoma sulla costa Sud della Cina, conosciuta anche come la capitale mondiale del gioco d’azzardo. Ed è qui che lo scrittore londinese sulle pagine del libro del 2014 e il cineasta austriaco nella sua trasposizione hanno ambientato le disavventure di Lord Doyle, un piacente britannico vestito di tutto punto che barcolla tra un casinò e l’altro, distruggendo ogni suite in cui fa tappa. Sarà il baccarat a iniziarlo alle leggi del caso, e così, per colpa di qualche serie sfortunata, Doyle potrebbe trovarsi in guai piuttosto seri. Sigaretta in bocca e bicchiere di Dom Pérignon in mano, l’uomo infatti rimane senza un soldo dopo avere dilapidato un capitale arraffato in patria per il quale è anche ricercato mentre i debiti aumentano perché le carte al tavolo continuano a non girare. Lord Doyle, nei suoi sgargianti vestiti di velluto, si affida quindi alla cinese Dao Ming, che lavora in un casinò, per trovare una via d’uscita prima che sia troppo tardi.
La camaleontica performance di Colin Farrell e la confezione fotografica sono i punti di forza del film

Chi ha letto il bestseller di Osborne, definito dagli addetti ai lavori il più bel romanzo sulla Cina contemporanea dai tempi della Condizione umana di Malraux, conoscerà già la sorte del protagonista, al contrario coloro che vi entreranno per la prima volta in contatto attraverso il film di Berger potranno esplorare al seguito del malcapitato personaggio principale il “girone infernale” nel quale quest’ultimo viene scaraventato. Il regista austriaco, servendosi dell’ottima fotografia satura di James Friend, ci immerge in questo girone fatto di colori acidi e neon che si fa via via sempre più soffocante per disegnare le traiettorie della suddetta caduta. In tal senso la cornice scelta e la confezione estetico-formale sono, senza dubbio, degli elementi fondamentali e perfetti per alimentare un’opera che parla di ossessioni, fallibilità, denaro, possessione indotta dal desiderio, dalla brama, ludopatia e in primis di dipendenze che consumano e stritolano. In tal senso l’ambientazione e l’aspirale nella quale viene inghiottita la figura centrale funziona perfettamente, contribuendo in maniera sostanziale al sali e scendi di temperatura ansiogena. Sensazione opprimente, questa, alla cui crescita esponenziale partecipa attivamente colui che è stato scritturato per interpretare Lord Doyle, ossia Colin Farrell. L’attore irlandese sfodera l’ennesima e camaleontica performance per dare vita a una trasformazione (a tratti mostruosa) di un essere umano alle prese con una parabola autodistruttiva. Convincente quella che per peso appare molto di più della spalla di turno, vale a dire Tilda Swinton, qui nelle vesti dell’investigatrice privata Cynthia incaricata di dare la caccia al protagonista. L’attrice britannica dal canto suo riesce con l’ennesima figura eccentrica a conferire una buona dose di imprevedibilità al racconto. La stessa che però viene in parte meno nell’economia complessiva del processo di riscrittura, con una sceneggiatura che smarrisce moltissima della febbrile e vibrante potenza narrativa della matrice letteraria.
La ballata di un piccolo giocatore: valutazione e conclusione

La trasposizione dell’omonimo bestseller di Lawrence Osborne del 2014 firmata dal pluripremiato Edward Berger purtroppo paga un processo di riscrittura che disperde compattezza e imprevedibilità, innegabilmente punti fermi e di forza della matrice letteraria. Per fortuna non viene meno il sali e scendi di temperatura, così come l’elevato livello ansiogeno provocato dalle ambientazioni e dalla parabola autodistruttiva del protagonista, qui interpretato dal solito camaleontico Colin Farrell, affiancato da un’altrettanto efficace performance di Tilda Swinton, alle prese con un personaggio stritolato dalle dipendenze davvero complicatissimo da gestire. Ma l’attore irlandese con la versatilità che lo contraddistingue se la cava egregiamente. Pregevole e funzionale al racconto anche la confezione, l’ambientazione di Macao e soprattutto la fotografia acida e satura con la quale James Friend ha dipinto immagini davvero impattanti.