Roma FF18 – Invelle: recensione del film di Simone Massi

Tra videoarte e cinema documentaristico, l'esordio al lungometraggio dell'autore di Io so chi sono, è un bizzarro grido di denuncia sociale e politica, che nel ripercorrere la storia contadina d'Italia, si perde nella scelta di un'animazione grezza e incredibilmente da mal di testa. Nel programma della 21a edizione di Alice nella città

Dopo una lunga e convincente esperienza nella realtà cinematografica del cortometraggio, Simone Massi, autore di La memoria dei cani, In quanto a noi, Io sono chi sono e A guerra finita, approda al lungometraggio con Invelle, una bizzarra operazione a metà strada tra cinema documentaristico e videoarte.

Presentato a Venezia 80 nella sezione Orizzonti e in catalogo alla 21a edizione di Alice nella città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata agli esordi, al talento e ai più giovani, Invelle si pone fin dalla sua genesi un obiettivo decisamente coraggioso e cioè il racconto dei devastanti effetti sociali dei due conflitti mondiali e con essi, degli anni di piombo, sull’Italia contadina tra il 1918 e il 1978.

Nel raccontare tre fasi logoranti e nevralgiche della storia d’Italia, Massi si focalizza quasi esclusivamente su figure femminili di età e contesti geografici differenti, seppur legati alle Marche, destinate però ad intrecciarsi tra loro, confondendosi fino alla consapevolezza d’essere cosa unica.

Le intenzioni narrative sono chiare, Invelle è un vero e proprio canto popolare, o meglio, una dolente ballata che un po’ malinconicamente e un po’ cinicamente, sceglie di soffermarsi sul dramma familiare, mostrando quanto tragica fosse la perdita di una figura genitoriale, o di un intero nucleo familiare, nella vita di un bambino o di una bambina, in corrispondenza di quei tre precisi segmenti storici.

Sulla perdita dell’innocenza

Massi fotografa dunque la spensieratezza rubata e l’ingresso fin troppo rapido, perciò turbato, tumultuoso e senz’altro colmo di drammi e dubbi esistenziali, dei bambini di quegli anni, che ritrovandosi improvvisamente catapultati nella realtà adulta del lavoro, della fatica, dello sfruttamento e della miseria, hanno scelto di annullarsi, rinunciando alla propria identità e felicità.

Conosciuto dai frequentatori del Lido per aver realizzato la sigla ufficiale della Mostra che ha accompagnato le proiezioni dal 2012 al 2016, lo stile dell’autore di Invelle, fin dai suoi primissimi lavori, consiste nello stendere uno strato di pastelli a olio su carta e poi graffiare con puntesecche e altri strumenti di incisione.

Una pratica se possibile, condotta ancor più all’estremo, nel corso della realizzazione di Invelle (500 disegni per un minuto di film), il quale violando il bianco e nero fortemente simbolico in chiave drammatica che avvolge la quasi totalità del racconto, di tanto in tanto rispetto alla messa in luce di alcuni toni di colore differenti, specialmente il rosso, rimandando inevitabilmente ad Albert Lamorisse e a Steven Spielberg.

Invelle di Simone Massi - Cinematographe.it

Scritto con Anne Paschetta, Alessio Torino, Luca Briasco, Julia Gromskaya, Nello Massi e Assunta Ceccarani, Invelle è in tutto e per tutto un coming of age movie, che pur focalizzandosi sulle conseguenze dell’innocenza violata e perduta nella vita di un giovane individuo, fa in modo di abbracciarne perfino l’intero contesto sociale e politico, cercando in ogni modo di mostrare quanto doloroso sia stato il passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale, e così la fuga dalla campagna verso l’apparente dimensione urbana di benessere e soddisfacimento economico.

Una volontà narrativa estremamente apprezzabile e interessante quella di Massi e dei suoi autori, è un vero peccato dunque che la maggior parte dei temi trattati si perda a causa, non soltanto di un ritmo compassato e ai limiti della sopportazione di un pubblico sempre più stranito e ormai prossimo all’abbandono, ma anche di una scelta autoriale, quella del disegno, realmente sfiancante.

Invelle: valutazione e conclusione

Invelle, pur forte di una scelta di doppiaggio che trova tra le voci principali quelle di Toni Servillo e Filippo Timi, rischia di perdere gran parte della sua solidità narrativa a causa di un fallimentare uso del cinema d’animazione, qui ridotto ad un disegno in movimento, sgraziato, abbozzato e superficiale a tal punto, da costringere lo spettatore ad uno sforzo mentale e fisico, decisamente superiore a ciò che il film di fatto ha da offrire, rischiando di condurlo sempre più rapidamente alla stanchezza, all’emicrania e al desiderio che i suoi titoli di coda, comincino a scorrere nella dolce oscurità dello schermo cinematografico nel più breve tempo possibile.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2