Infinite Storm: recensione del film Netflix con Naomi Watts

La recensione del survival drama che Małgorzata Szumowska ha tratto dalla storia vera della scalatrice Pam Bales, interpretata sullo schermo da Naomi Watts. Dal 17 gennaio 2024 su Netflix.

Di incredibili storie vere di sopravvivenza Naomi Watts ne sa qualcosa. Chi non la ricorda in The Impossible, la pellicola di Juan Antonio Bayona incentrata sull’odissea di una famiglia di turisti europei durante e dopo lo tsunami che devastò le coste dell’Oceano Indiano nel 2004, nella quale vestiva i panni di Maria Bennett. Del resto come dimenticare quella straordinaria, intensa ed emozionante interpretazione, che per la cronaca le valse la sua prima nomination ai Golden Globe e la seconda agli Oscar dopo quella per 21 grammi. Come difficile sarà dimenticare quella che l’attrice britannica ha più di recente regalato al pubblico con la sua performance in Infinite Storm, l’esordio in lingua inglese di Małgorzata Szumowska, approdato su Netflix il 17 gennaio 2024.

In Infinite Storm, Naomi Watts si trova nuovamente alle prese con una figura realmente esistita, quella della scalatrice Pam Bales

Infinite Storm cinematographe.it

Nella pellicola diretta dalla pluridecorata regista polacca, la Watts si trova nuovamente alle prese con una figura realmente esistita, protagonista suo malgrado di una lotta tra la vita e la morte passata alle cronache, quella di Pam Bales, infermiera nonché esperta scalatrice che dopo essersi  inerpicata da sola sul Monte Washington, parte di una delle catene montuose più pericolose del mondo, dove i venti raggiungono anche i 300 km/h e il tempo cambia costantemente, si vede costretta a tornare indietro a causa di una bufera imminente ma non prima di portare in salvo se stessa e un uomo rimasto come lei bloccato tra le nevi di un habitat ostile. I due, dovranno combattere contro ostacoli naturali e condizioni meteorologiche proibitive arrivando a valle prima che cali la notte e soccombano alla tempesta. Ma come si vedrà, l’uomo non sarà particolarmente collaborativo, tanto da non rivelare mai alla compagna di sventura la sua vera identità.

Infinite Storm assomiglia più un resoconto giornalistico più che a un racconto supportato da una vera e propria drammaturgia

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Il tutto è stato descritto nei minimi particolari da Ty Gagne nell’articolo dal titolo High Places: Footprints in the Snow Lead to an Emotional Rescue, apparso sul New Hampshire Union Leader nel 2020. Ed è proprio dalle pagine firmate dal giornalista statunitense che Josh Rollins ha tratto la sceneggiatura di Infinite Storm, opera per la quale Naomi Watts rappresenta più di un’ancora di salvataggio, dal momento che è lei a farsene unicamente carico. Il film infatti altro non è che la ricostruzione e il resoconto cronologico degli eventi, con la scrittura che si limita a metterli in fila quanto basta per dare all’operazione una parvenza cinematografica. Lo spettatore si troverà ad assistere a un resoconto giornalistico più che a un racconto supportato da una vera e propria drammaturgia. L’epica e l’afflato tipici di un survival drama ad alta quota che il pubblico ha potuto respirare ad esempio con Everest, 127 ore, K2 – L’ultima sfida piuttosto che con La società della neve, qui perde inspiegabilmente di forza e coinvolgimento per lasciare spazio a una mera e fredda cronaca scandita dagli highlights più significativi. Solo nel terzo atto, quando ormai i due protagonisti avranno ritrovato miracolosamente la strada di casa, quelle emozioni congelate e sepolte sotto cm di neve affioreranno sullo schermo, dando anche spazio a quelli che sono i temi di natura tra loro molto diversa al centro del film: la perdita, l’elaborazione del lutto, il rischio e il coraggio che serve per uscire fuori anche dai momenti peggiori che la vita può presentare.

Impianto sonoro e visivo ampiamente negli standard per un film che tratta in maniera superficiale temi dal peso rilevanti

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Purtroppo la narrazione di Infinite Storm rimane troppo legata al racconto cronachistico della matrice giornalistica che l’ha ispirata e guidata. La scrittura di Rollins non riesce a distaccarsene quel tanto da andare incontro alle esigenze drammaturgiche e strutturali di un prodotto cinematografico. Eppure il potenziale c’era tutto. Il ché aumenta l’amaro in bocca per quello che il film sarebbe potuto essere e non è stato, ossia un survival drama dall’elevato coefficiente emozionale e di coinvolgimento, destinato a crescere in maniera esponenziale anche grazie alla presenza della Watts davanti la macchina da presa e della Szumowska in cabina di regia. Forse con il senno di poi la storia della Bales avrebbe trovato in un progetto documentaristico in stile La morte sospesa una veste più adeguata. Ma questo non possiamo saperlo.

Infinite Storm: valutazione e conclusione   

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Da una storia realmente accaduta, quella della scalatrice Pam Bales e della sua odissea ad alta quota sul Monte Washington, un survival drama privo dell’epica, della tensione e della carica emozionale tipici del genere in questione. La presenza di Naomi Watts davanti la macchina da presa e di Małgorzata Szumowska in cabina di regia non colmano le mancanze di scrittura di un racconto che probabilmente nel formato documentaristico avrebbe reso di più. Impianto sonoro e visivo ampiamente negli standard per un film che tratta in maniera superficiale temi dal peso rilevanti come la perdita e l’elaborazione del lutto. Ciò che resta è l’ennesima potente interpretazione dell’attrice britannica, alle prese con una performance tra le più impegnative dal punto di vista fisico della sua carriera.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

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