Venezia 75 – Il bene mio: recensione del film di Pippo Mezzapesa

Sergio Rubini è il malinconico protagonista di Il bene mio, storia sulla propria casa diretta e scritta da Pippo Mezzapesa.

È una storia dolcemente dolorosa quella di Pippo Mezzapesa. Un uomo, un fantasma che non lo può abbandonare ed un senso di colpa che peserà per sempre sul suo cuore. Pochi elementi e una città abbandonata, questo il necessario per realizzare Il bene mio, un Evento Speciale Fuori Concorso alla 75ª mostra del Cinema Internazionale di Venezia che vede alla scrittura e alla regia il giovane autore pugliese e nel ruolo del personaggio principale l’attore Sergio Rubini. Ed è proprio nella sua terra che il cineasta va a porre il proprio racconto. Una fiaba amara, come una leggenda che si passa di paese in paese e aleggia in quei territori per il resto delle generazioni.

C’è un uomo che non vuole lasciare il proprio paesino. È rimasto il solo ad abitare ancora in quella piccola fazione di territorio, in cui oramai neanche più le pecore vanno a pascolare. Il suo nome è Elia (Sergio Rubini) e il motivo per cui non se ne va è che sua moglie è morta proprio lì, in quel luogo che loro ritenevano il proprio porto sicuro, spazzato via da un terremoto che non ha mancato di lasciare dietro a sé numerose vittime. Non c’è nulla da fare, Elia non vuole assolutamente andarsene. Lui deve rimanere lì, accanto alla sua amata, anche quando la polizia è pronta a rimuoverlo e sembra aggirarsi per il paesino una presenza strana…

Il bene mio: la fiaba amara di Pippo Mezzapesa

Pippo Mezzapesa è al suo secondo lungometraggio e, con la produzione di Altre Storie e Rai Cinema, riesce a mettere in scena un inno disperato non solo per l’amore che lega un uomo alle proprie radici, ma per il sentimento che trascende la morte e rende il restare l’unico modo per tenere ancora vicino le cose più importanti. Una riflessione che non scende mai nel profondo e non ha intenzione di farlo, piuttosto preferisce dare spazio ad una tenerezza amara che avvolge non solo la cittadina, ma il destino irremovibile del suo protagonista.

Sergio Rubini ha la pelle abbronzata da quel sole del sud che gli colora la faccia e marca tutte le rughe presenti sul suo viso, non solo ad indicare gli anni che passano, ma a sottolineare una pesantezza derivante tutta dall’incapacità di rassegnarsi alle ingiustizie che troppe volte non ci permettono di continuare la nostra esistenza come l’avevamo sempre immaginata. E non è un caso che il posto che il protagonista non vuole assolutamente lasciare si chiami Provvidenza, quella che speriamo un giorno possa passare ed aiutarci, ma in cui è anche facile smettere di credere.

Il bene mio e l’incapacità di separarsi da ciò che si ama

il bene mio cinematographe

Nell’incapacità di accettare le sorti che sono state riservate al proprio pezzo di terra in questo mondo, il personaggio rivive il passato e non riesce a superarlo neanche quando si vede passare di fronte l’incarnazione del futuro. Questo sotto forma di una donna che ha bisogno di aiuto e che potrebbe significare il poter ricominciare una nuova vita. Ma è l’esilio la strada che intraprende l’esule Elia e che Rubini sa comunicare attraverso i suoi occhi stanchi.

La difficoltà di separati da ciò che siamo è ne Il bene mio il perno del racconto e la rovina – non tragica, quanto melanconica – del protagonista, una storia che accarezza delicatamente l’idea dell’arresa e non ricerca un sollievo che molte volte nella vita non arriva a salvarci, ma che può comunque donare pace, anche in maniera sconsolata.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3