Get Duked! – recensione della black comedy scozzese

Get Duked!, primo lungometraggio del cineasta Ninian Doff, è disponibile su Amazon Prime a partire dal 28 agosto 2020.

Nelle Highlands scozzesi dai profili scontrosi, tre scapestrati e un secchione di origine cittadina – provengono tutti da Glasgow – devono completare, all’interno di un campeggio formativo, un programma di sopravvivenza che prevede la ricerca di cibo, l’orientamento e la collaborazione tra pari. Le cose si mettono male quando gli aspiranti boy-scout comprendono che non è la natura ad esser loro ostile, ma la presenza sinistra di una coppia di psicopatici fanatici della purezza razziale, muniti di fucili. Comincia, così, per loro, un’avventura estenuante, tra evasioni psichedeliche, ricreazioni hip-hop, montagne russe relazionali, fughe dalla furia totalitaria dei propri simili.

Scritto e diretto dal debuttante Ninian Doff, che si mostra saldo nel padroneggiare il mezzo anche in virtù di una lunga esperienza come regista di video musicali e di pubblicità, Get Duked! è un film strutturalmente ibrido, operante una sintesi, all’interno della confezione dell’action teen movie, tra la temperatura propria della satira politica e, nei momenti migliori, i ritmi assedianti dell’horror. Le suggestioni sono molteplici e sorrette da una vocazione alla commedia nera che sbilancia ancora di più il timone, finendo per confondere un po’ troppo lo spettatore. L’indecisione del timbro, dipendente perlopiù dalla mancanza di visione autoriale, compromette il risultato finale: Ninian Doff poteva raccogliere il testimone di Jordan Peele e realizzare un film che, attraverso l’adesione agli stilemi del cinema d’orrore, fosse capace di mettere a fuoco e di materializzare i cortocircuiti radicali della nostra società, e, invece, si limita a portare a termine un esercizio non di stile, ma di stili, più compendiati che armonizzati tra loro.

Get Duked!: il mondo salvato dai ragazzini alle prese con follie e negligenze degli adulti

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‘Get Duked’, commedia nera scritta e diretta da Ninian Doff, è su Amazon Prime dal 28 agosto.

Non tutto, però, è da buttare. Tutt’altro. Interessante, sebbene stucchevole perché oramai di prassi, è il ricorso alla musica hip hop – nonché al delirio allucinato – per rifornire d’energia la narrazione, per spingerla avanti nei momenti più blandi. Amaramente eloquente, nella sua desolazione, il ritratto del mondo adulto, incarnato dalla coppia di persecutori e da quella dei poliziotti, entrambe inadeguate per eccesso di follia e per difetto di mordente, per una comune inadeguatezza nell’assumersi le responsabilità di un mondo che cambia e che integra componenti diverse, accoglie le ambiguità da loro intimamente rigettate.

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Proiettare al di fuori l’angoscia che cova dentro, anziché farsene carico, genera mostri di rara stupidità o di rara abiezione: i ragazzini, in questo senso, pur risucchiati dai loro paradisi (tanto virtuali quanto artificiali), se chiamati a compiere un atto di fiducia nel futuro, non si tirano indietro. La lettura si candida a essere allegorica: la vita non può essere congelata e il cambiamento – la sostituzione dei padri per opera dei figli, ancor più se figli ‘bastardi’ – è la sua essenza più vera, la ragione del suo compiersi rinnovando sempre, nella ripetizione, il suo ciclo. Sul piano sociale, appare evidente quel che questo film intende comunicare: in un’epoca di ossessione identitaria, vince solo che è in grado di deporla, di fare un passo indietro, di rinunciare a filtrare il sangue, a separare i geni. Resta un peccato, alla luce delle potenzialità sia narrative sia concettuali, che il regista, seppur bravo, non abbia saputo maneggiare fino in fondo una materia che, anche se non nuova, poteva prestarsi a riflessioni culturali di più ampio respiro e a soluzioni estetiche ben più incisive di quelle adottate.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Recitazione - 3
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8