Fuori: recensione del film di Mario Martone, da Cannes 2025
Il film di Mario Martone, con protagoniste Valeria Golino, Matilda De Angelis ed Elodie, presentato in concorso alla 78ª edizione del Festival di Cannes.
Sentirsi dentro anche quando si è fuori, fuori dal proprio spazio, fuori da sé, fuori da quella finzione che è la realtà; con il film Fuori, Mario Martone ci porta dentro le mura del carcere di Rebibbia e dentro le intellettuali, filosofiche e quasi alienanti riflessioni di Goliarda Sapienza, a lungo sottostimata e ignorata, e di recente riscoperta come una delle più importanti e talentuose scrittrici del ’900. Presentato in concorso alla 78ª edizione del Festival di Cannes, Fuori si ispira all’esperienza di detenzione che Sapienza visse nel 1980, da cui nacque il libro L’università di Rebibbia. La sceneggiatura, firmata da Martone insieme a Ippolita Di Majo, attinge direttamente agli scritti dell’autrice, ricostruendone con rispetto e potenza drammatica le vicende personali e politiche. La fotografia è affidata a Paolo Carnera, le musiche a Valerio Vigliar, mentre la produzione è curata da Indigo Film con Rai Cinema e The Apartment. Valeria Golino, che interpreta Sapienza, ha conosciuto la scrittrice a 18 anni, quando le fece da coach di dizione sul set del film Storia d’amore di Citto Maselli, all’epoca marito della scrittrice. Questo incontro ha lasciato un’impronta profonda sull’attrice, che anni dopo ha contribuito anche all’adattamento televisivo de L’arte della gioia — pubblicato postumo nel 2008 in Italia, ma prima ancora in Germania e in Francia — trasformando un progetto inizialmente pensato per il cinema in una miniserie, per restituire la complessità del testo. Con Fuori, Martone torna a raccontare un’esistenza fuori norma, mostrando come l’emarginazione e il carcere possano diventare luoghi di consapevolezza e libertà interiore. Al fianco della Golino, troviamo Matilda De Angelis ed Elodie, nuovamente alle prese con la recitazione e il grande schermo.
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Dentro o Fuori?

“Sconosciuto pianeta che pure gira in un’orbita vicinissima alla nostra città”.
È così che Goliarda Sapienza definisce il carcere nei suoi scritti, ed è da lì che Fuori di Mario Martone prende il volo, o meglio, il baratro. Rebibbia è il centro di gravità di un universo parallelo, a pochi passi dalla Roma che continua a vivere ignara, distratta, in superficie. Dentro, però, c’è un altro tempo, un altro spazio, una diversa grammatica dell’umanità. La protagonista — una Valeria Golino incisa, quasi scolpita dal silenzio e dallo sguardo — trova in quel “dentro” la possibilità di esistere. Di vedere. “Voglio sentirmi dentro per sentirmi libera”, dice. E in quel paradosso si racchiude tutto il senso del film. Le compagne di cella (tra cui Matilda De Angelis e Elodie), con i loro corpi segnati e le loro parole scabre, diventano il luogo di una verità che fuori non esiste più. È lì, nel vincolo imposto, che la mente si apre: lo spazio chiuso agisce come detonatore della coscienza, e ciò che all’esterno sembrava smarrito prende forma, nome, direzione.
Ma non si tratta solo di carcere. Il dentro e il fuori sono anche categorie emotive, esistenziali, sociali. Goliarda, pur essendo “fuori” dai canoni, dalle istituzioni, dalle vetrine del pensiero ufficiale, ha abitato per anni un dentro sordo e invisibile: quello dell’oblio culturale. Una scrittrice che ha dovuto attendere la morte per essere letta, tradotta prima in Germania e in Francia, e pubblicata in Italia solo nel 2008 con L’arte della gioia, romanzo scritto negli anni ’60 e rimasto inascoltato. La sua memoria, oggi, finalmente è dentro di noi. E anche i legami che intreccia in prigione sono esattamente questo: l’emblema di un dentro che funziona, che vive, che ama, anche se indefinibile nei modi e nei limiti. Relazioni che, se portate fuori, sembrano storte, ma sono autentiche. È così che Fuori racconta una donna che vive spesso fuori da sé, alla disperata ricerca di qualcosa che troverà solo nella chiusura. E nel farlo, ci ricorda che la libertà non è sempre un’apertura spaziale, ma una conquista interiore. Una detonazione silenziosa.
Fuori: valutazione e conclusione

Un plauso a Martone: solo un regista con la sua esperienza poteva muoversi con tale rispetto tra i silenzi, le pause, i pensieri non detti di una donna come Goliarda Sapienza. Brave anche le interpreti, in particolare Valeria Golino, che restituisce con misura e profondità un personaggio torbido e indomabile, sempre in lotta con se stessa e col mondo. Eppure, qualcosa sfugge. Forse perché è difficile davvero raccontare chi vive ai margini anche del racconto stesso, chi è sempre oltre, mai del tutto afferrabile. I personaggi appaiono come figure complesse che, nel poco tempo concesso, restano un po’ chiuse, inaccessibili. Anche noi spettatori, pur toccati, restiamo parzialmente fuori, come a guardare attraverso una porta accostata. La sceneggiatura, pur curata, sembra non affondare del tutto nel magma emotivo che avrebbe potuto sprigionare dalla scrittura di Sapienza, autrice che oggi consideriamo fondamentale ma che ancora si fa fatica ad ascoltare davvero. E tuttavia, Fuori resta un film necessario, un atto politico e culturale, una chiamata alla memoria. Bello il rimando parallelo alla serie L’arte della gioia, e applausi sinceri a Golino, che con discrezione ha fatto da ponte tra quella donna e noi. Per sentirsi fuori e per sentire Fuori, bisogna stare dentro una sala cinematografica e abbandonarsi a quella libertà che solo il cinema sa offrire.