Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra: recensione del film di Roberto Andò da Venezia 82

Roberto Andò racconta vita e arte di uno dei più famosi fotografi italiani. Ferdinando Scianna - Il fotografo dell'ombra partecipa Fuori Concorso a Venezia 82.

Il 2025 cinematografico di Roberto Andò era iniziato presto, a gennaio, con un film chiamato L’Abbaglio, epica garibaldino picaresca all’intersezione tra Storia e dolceamara, grottesca deformazione della realtà. Con il nuovo lavoro, Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra, Fuori Concorso a Venezia 82 e poi in sala per Fandango Distribuzione, il multimediale autore siciliano – regista sì ma anche scrittore, sceneggiatore, saggista – prosegue, senza ripetersi, il discorso inaugurato dal film precedente. Siamo di nuovo in Sicilia, come era stato per L’Abbaglio, per quanto trasfigurata dall’appeal giramondo del protagonista, Ferdinando Scianna, fotografo italiano tra i più noti a livello internazionale. Ecco, la Sicilia: c’era prima e c’è anche adesso. Il resto cambia. Le lancette si spostano avanti di un secolo: era l’Ottocento dei moti unitari, allora, è la seconda metà del Novecento fino al nostro presente, adesso. La forma si adatta al contenuto: al posto del colore, un bianco e nero affilato, carnale ed elegante. Soprattutto, cambia il format. Il dramma in costume e la puntigliosa rievocazione storica lasciano spazio al documentario costruito su una studiata economia di mezzi: un interlocutore, Ferdinando Scianna, una guida, Roberto Andò, tante fotografie. E l’ombra del maestro comune, il protagonista forse sotterraneo (per niente sotterraneo) del film: Leonardo Sciascia.

Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra: la fotografia, i vivi e i morti

Ferdinando Scianna - Il fotografo dell'ombra; cinematographe.it

È molto più di un’ombra, Leonardo Sciascia. Amico, guida, maestro; e per entrambi. Roberto Andò comincia Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra chiarendo perché sia nato il film: per un dovere di riconoscenza. Sono state anche le fotografie di Scianna, spiega, a formare il suo senso del cinema. Poi c’è l’amicizia con Leonardo Sciascia, un legame condiviso. Per il fotografo nato a Bagheria, Sciascia è la prima occasione importante della carriera – ne illustrerà un libro, per poi seguirlo per il resto della vita con 1500 fotografie – e un secondo padre. Il vero genitore, il mestiere del figlio non lo capirà mai, liquidandolo con una frase memorabile, che il film raccoglie per darle l’immortalità che merita.

Nella sua concisione – ottantasei minuti – Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra è denso di idee, di immagini, di parole e di pensieri, al rischio di una certa fretta nell’esposizione, ma è un effetto voluto. La frase rivolta dal padre al figlio – appresa la volontà del giovane Ferdinando di seguire la rischiosa ma appagante professione di fotografo – vale il film, soprattutto perché ne riassume il senso con micidiale precisione. Dice il padre a Ferdinando Scianna – è lui che gli regala la prima macchina fotografica, forse non presentendo le conseguenze – per fargli capire la sua estraneità di fronte a un mezzo espressivo (usato spesso anche con i morti) che, o non capisce, o ne afferra le implicazioni e proprio per questo si ritrae spaventato: che mestiere è, uno che ammazza i vivi e resuscita i morti? La frase è doppiamente importante.

Da un punto di vista biografico, è dal contrastato rapporto tra padre e figlio che viene la benzina per l’ascesa professionale del secondo. Indirettamente, e da profano, il papà di Ferdinando sintetizza con asciutta precisione l’essenza dell’arte fotografica: un rapporto scandaloso con il tempo. In un dialogo a tre, Andò – Scianna – Giuseppe Tornatore, anche lui di Bagheria e anche lui nel film, il protagonista illustra la differenza tra cinema e fotografia. Il cinema, spiega, costruisce il suo immaginario a partire dalla memoria, mentre la fotografia vive in simbiosi con il presente e da lì recupera la sua realtà, la sua immaginazione, la sua scrittura. Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra è il tentativo di Roberto Andò di trovare una sintesi. Racconta un uomo, partendo dal tempo cristallizzato delle sue foto, per ricostruirne, con un infinito gioco di connessioni mnemoniche, il romanzo dell’esistenza, il mestiere, i ricordi, le idee, le paure, il pubblico e il privato.

Il segreto del bianco e nero

Giova al film che Ferdinando Scianna sia l’uomo che è: un estroverso, un narratore istintivo e più che disposto a parlare, ricordare, spiegare. Ma spiegare cosa? Lo spettatore che si avvicinerà al film aspettandosi di trovarci dentro verità emblematiche sul mistero della creazione artistica, è condannato a rimanere deluso (e per sua colpa). Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra non è quel tipo di documentario, didascalico e ruffiano, ammesso che ne esistano di così ingenui da provare a razionalizzare il processo artistico. Roberto Andò mette un uomo di fronte a un tavolo pieno di fotografie. Ognuna conserva nel suo mistero un pezzetto di vita congelato, e dietro: un ricordo, un’idea, un’impressione, un significato più o meno sfuggente. La vita di un uomo nelle sue fotografie; il grande libro di Ferdinando Scianna.

Il film, pur muovendosi in ordine cronologico, si prende le sue libertà con il tempo, lasciando di quando in quando mano libera al caos organizzato della memoria. Ci sono le prime foto di ambito scolastico, il servizio leggendario per Dolce & Gabbana nel 1987 con la modella olandese Marpessa, lo sbarco all’agenzia Magnum nel 1982 – il primo italiano – gli scatti rubati sul set di Mafioso (1962) con la coppia Sordi-Lattuada, l’amicizia con Gianni Berengo Gardin, collega e amico di una vita, recentemente scomparso; soprattutto le feste in Sicilia, il cuore del suo lavoro. Ferdinando Scianna è un anti ideologo: dalla sua ha un’innata curiosità, e una disponibilità a vivere l’attimo per riceverne in dote i preziosi segreti, congelati nel mistero di una fotografia.

Non si è parlato, fino ad ora, del bianco e nero, del film e delle fotografie di Ferdinando Scianna. Riflesso del carattere affilato e sfuggente della Sicilia, il gioco di ombre e luci di Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra è la rappresentazione plastica della condizione umana. Il bianco del sole (il lutto) riverbera sulla fragilità dell’uomo (l’ombra); il lavoro di Ferdinando Scianna è dare corpo e prospettiva a questo significato. È la verità suggerita dal finale, quando Roberto Andò e Ferdinando Scianna visitano la casa di Leonardo Sciascia, dove il tempo si è fermato in un modo struggente e un po’ raggelante. Lì il film trova la sua coerenza: il passato e il presente coincidono, la vita e la morte sono una cosa sola, non c’è più distanza tra arte e privato. C’è solo la vita, e l’ombra della morte. E il tentativo, perché di questo di tratta, di esprimerne, nel modo più autentico e romanzesco possibile, il conflitto.

Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra: valutazione e conclusione

Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra lavora senza farsi intimidire dalla breve durata per tirare fuori quanta più vita, arte, amore e fotografia è possibile. Non si è parlato delle amicizie e degli incontri illustri del protagonista, da Henri Cartier-Bresson a Jorge Luis Borges, cui Scianna dedica un ciclo di fotografie memorabili per verità umana e forza plastica dell’immagine. Non si è parlato del privato e del rapporto personalissimo con la morte, e forse non abbastanza della Sicilia. Ma è proprio questo il punto. Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra è il guanto di sfida lanciato da Roberto Andò al cinema documentario e al cinema biografico, per misurarne la flessibilità, per capire quanta vita può starci dentro. La riposta è sfuggente: tanta, ma non abbastanza; tutto quello che serve, e un mucchio di zone d’ombra. È l’ombra, ancora una volta, la chiave di volta del film.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3