Essere Lydia: recensione del documentario di Gino Caron

La recensione di Essere Lydia di Gino Caron, un documentario che intreccia una tragica vicenda privata con le manifestazioni del primo Pride astigiano. Presentato nella sezione Panoramica Doc al Glocal Film Festival 2020.

Per molti il 6 luglio 2019 è stato un giorno come tanti, per tanti altri invece è stato uno di quelli meritevoli di essere ricordati a lungo. In quella data più di ottomila persone scesero in piazza per prendere parte al primo Pride organizzato in quel di Asti. Un evento ricco di momenti e testimonianze indimenticabili, al quale purtroppo non era presente Lydia, al secolo Miguel, il cui sogno di riscrivere biologicamente la propria vita sulla strada della transizione da uomo a donna si è spezzato brutalmente nel corso di una notte di violenza, quando in seguito a un tentativo di stupro da parte di un branco iniziò un vero e proprio calvario che lo spinse qualche mese dopo al suicidio. Una storia triste, davvero dura da digerire, che ha distrutto un’esistenza e ha lasciato cicatrici indelebili nei suoi affetti, la madre Jaqueline e la sorella Cynthia. Una storia che proprio grazie a loro due riemerge e arriva al pubblico con tutto il suo carico di dolore nel documentario di Gino Caron dal titolo Essere Lydia, presentato in anteprima nel concorso di Panoramica Doc del 19° Glocal Film Festival.

Essere Lydia: pubblico e privato si intrecciano a doppia mandata in una storia di violenza, di lotta e d’amore

Essere Lydia cinematographe.it

Alle voci delle due donne, ai loro ricordi, aneddoti e riflessioni, il regista ha affidato il compito di ricucire i fili di un racconto biografico che ci porta alla scoperta della personalità, dei sogni, dei primi amori, delle paure, del percorso di vita e di accettazione della propria identità, di un’esistenza in piena mutazione. Essere Lydia è un racconto di vita, ma al contempo un atto di denuncia che viaggia narrativamente su due binari intersecati, quello del Pride e quello umano di Miguel. Un “viaggio” che trova un drammatico punto di intersezione nell’assenza di una persona, vittima di un atto atroce e dell’indifferenza successiva di quelle Istituzioni che avrebbero dovuto tutelarla. In questo momento pubblico e privato si intrecciano a doppia mandata in una storia di violenza, di lotta e d’amore. Tre elementi che rappresentano altrettante parole chiave di un’opera che nel corso dei 45’ a disposizione riesce a commuovere con momenti davvero toccanti, laddove le parole delle due protagoniste sferrano dei fendenti al cuore, come nel caso della cronaca dell’aggressione a Miguel o quando Cynthia scorre sul cellulare video e foto che ritraggono il fratello ancora in vita.

Essere Lydia: un documentario stilisticamente essenziale e basico nella messa in quadro, ma molto emozionante nella gestione dei contenuti

Essere Lydia cinematographe.it

Ciò che lascia il segno durante la visione di Essere Lydia sono dunque le testimonianze dirette, che consistono in frammenti di interviste che l’autore intervalla con riprese registrate nel corso di Pride astigiano, accompagnate dalle note ricorrenti di Gymnopedie di Erik Satie che fungono quasi da ritornello. Concatenazioni che il montaggio restituisce in una modalità semplice, schematica e priva di particolari sussulti nella messa in quadro. Uno stile essenziale e basico, quello utilizzato dal regista piemontese, che non cattura l’occhio dello spettatore di turno, ma gli consente di venire a conoscenza di una vicenda che altrimenti sarebbe rimasta sepolta. Il merito del documentario di Caron sta proprio nel suo essere una testimonianza audiovisiva, in grado di lasciare accesa la fiammella del ricordo, quello di Miguel e di tanti come lui.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2.5
Sonoro - 2.5
Fotografia - 2
Emozione - 4.5

2.7