Venezia 80 – El Conde: recensione del film di Pablo Larraín

El conde racconta per la prima volta sullo schermo la figura del Generale Augusto Pinochet.

Pablo Larraín torna per la quarta volta al Festival del cinema di Venezia con El Conde un nuovo, personalissimo, film in cui rielabora la figura del vampiro. Rielaborando la figura del Conte Dracula il regista cileno riprende un discorso assai caro alla sua cinematografia, accantonato nei suoi due ultimi film – Jackie e Spencer – ma già affrontato in Post Mortem e Tony Manero: il racconto doloroso di ciò che succede oggi e delle cose tremende successe in Cile durante la dittatura di Pinochet. El Conde è una commedia nera e surreale, che cita l’horror gotico e riprende lo stile dell’epressionismo tedesco. Il film è stato presentato in concorso a Venezia 80 e sarà distribuito a partire dal 15 settembre in streaming su Netflix.

Il vampiro come simbolo del male eterno che non muore mai

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Chi è El Conde? È il Generale Augusto Pinochet, il dittatore fascista che con il golpe del 1973 rovesciò il governo del socialista Salvador Allende e che successivamente torturò e fece sparire migliaia di persone che non erano d’accordo con la sua politica. Pablo Larraín lo immagina come un Dracula dell’era moderna, una figura ormai diventata immortale, un essere che continua ad infestare i ricordi e i racconti dei cileni. I vampiri non muoiono mai, esattamente come certe figure della storia che proprio a causa dei loro delitti sembrano essere vivi e continuano a fare paura. Pinochet lo ritroviamo nascosto in una villa in rovina nella fredda punta meridionale del continente. Dopo 250 anni di esistenza, ricordato da tutti come un ladro e un traditore, per sopravvivere si nutre di sangue e di cuori. Eppure di questa vita d’infamia è davvero stanco e per questo vorrebbe porre fine alla sua eterna esistenza. Riuscirà El Conde a morire e abbandonare il privilegio della vita eterna?

Ci sono i canini, c’è il sangue e c’è la passione…

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El Conde. Jaime Vadell in El Conde. Cr. Pablo Larrain / Netflix © 2023

È davvero interessante pensare a quanto la figura del vampiro, nata in letteratura ad inizio 800, continui ad essere terreno di innovazione per i cineasti che attraverso la metafora del male eterno offrono il loro punto di vista sul mondo. Il vampiro Pinochet mantiene le caratteristiche care a questa figura del genere horror: ha i canini, si nutre di sangue, se morde un’altra persona la trasforma in un vampiro, è passionale con le proprie donne, può volare. Il vampiro è da sempre incarnazione del male primordiale e in questo film conquista un nuovo valore, perché ad impersonarlo è un uomo realmente esistito che si è macchiato di crimini contro l’umanità.

Umorismo nero e immagini poetiche

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Allontanandosi dai classici biopic, El Conde racconta per la prima volta sullo schermo la figura di Pinochet. Pablo Larrain sceglie la chiave del black humor per metterci davanti al fatto compiuto che Pinochet è rimasto impunito per il suoi crimini. Anzi ha vissuto tutta la sua vita da ricco e in piena libertà, ed è proprio per questa assurdità che Pinochet è divenuto una figura immortale, emblema del male reale più assoluto. Per prendere le distanze da questa figura e allo stesso tempo cercare di raccontarla, Larrain ha scelto la farsa.

Nel film infatti ci sono diversi momenti ironici, soprattutto quando in campo scendono i 5 figli di Pinochet, che hanno moltissima sete, ma non di sangue. Sanno molto bene cos’ha fatto il padre con i cileni e da lui non vogliono altro che i suoi soldi nascosti (in riferimento ai conti off shore rimpinzati di soldi rubati alle casse dello stato, per cui Pinochet era stato indagato). Per arrivare al denaro ed uccidere il proprio padre, chiederanno l’aiuto di una suora esorcista contabile, un personaggio molto divertente che elencherà senza mai perdere il sorriso gli innumerevoli crimini commessi da Pinochet.

E poi c’è la storyline thriller con un colpo di scena finale estremamente fantasioso

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Il film si apre con una voce fuori campo che introduce e accompagna lo spettatore in una storia che parte da molto lontano – perché il Pinochet vampiro di El Conde è nato già con i canini, non in Cile ma nella Francia pre rivoluzione – per arrivare ad un colpo di scena davvero geniale, che mette in scena altre figure storiche controverse. A livello visivo la fotografia sceglie un bianco e nero che strizza l’occhio all’horror gotico degli anni 50, mentre la regia è pulita e riserva alcuni momenti di grande poesia visiva, come il volo della suora nel cielo, in estasi dopo essere diventata lei stessa una vampira.

El Conde: valutazione e conclusione

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El conde è un film che investe moltissimo nell’originalità, sia per la scelta di una narrazione biografica atipica e sia nella rielaborazione della figura immortale del vampiro, utilizzando la chiave horror per riaprire la ferita della dittatura di Pinochet. Si sorride con siparietti molto divertenti, a volte intervallati da pause estremamente lunghe che fanno perdere ritmo al film. È da apprezzare la libertà artistica con cui Larrain ha deciso di mettere in scena per la prima volta in assoluto il racconto di Pinochet e per questo El Conde è un film che merita una possibilità di visione.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.7