Dulcinea: recensione del film di Luca Ferri

La solitudine e l'incomunicabilità dell'uomo contemporaneo, secondo Luca Ferri: Dulcinea trasfigura il mito di Don Chisciotte, mescolandolo col surrealismo e con la cultura pop.

Presentato nell’agosto 2018 a Locarno (e passato anche al Torino Film Festival), Dulcinea di Luca Ferri continua, a distanza di quasi un anno, ad essere conteso dalle kermesse cinematografiche italiane ed europee. Questa volta tocca allo ShorTS International Film Festival di Trieste, che lo ospita nella sezione “Nuove Impronte” dedicata alle migliori opere del cinema nostrano emergente: 11 pellicole – fra cui spiccano Il campione di Leonardo D’Agostini e Ricordi? di Valerio Mieli – per raccontare l’Italia nella sua molteplicità di generi e toni.

Fra le commedie, i drammi sociali e i documentari, c’è spazio anche per il raffinato sperimentalismo di Luca Ferri: Dulcinea racconta il misterioso incontro fra una ragazza e un uomo, all’interno di un appartamento dallo scarno arredamento; non sappiamo chi siano, e continueremo a non saperlo fino alla fine. Conosciamo però il gioco delle parti che mettono in atto: mentre lui pulisce minuziosamente la casa (raccogliendo qua e là qualche feticcio apparentemente privo di utilità e abbandonandosi ad alcuni momenti di rabbia), lei legge svogliatamente un libro e si dipinge le unghie, senza mai proferire parola.

Dulcinea: nuova ossessione, corrode ogni momento

Se lei rappresenta Dulcinea, ovvero l’amore idealizzato e impossibile di Don Chisciotte, lui veste i panni proprio del cavaliere errante per eccellenza, destinato ad un amore non corrisposto e mai consumato. Niente armature e spade però, qua i riferimenti sono solo tracce da cui partire: Ferri, con le sue inquadrature fisse e con l’utilizzo di una fotografia desaturata e spenta (di Pietro de Tilla) che prosciuga ogni emotività, mette al centro la solitudine e l’incapacità di comunicare che trafigge l’uomo contemporaneo, in un loop ripetitivo senza soluzione di continuità.

È un’ossessione priva di sbocchi che sfocia nella patologia, perché i due protagonisti sembrano non ambire ad altro: nella crisi e nel fallimento ci si può cristallizzare all’infinito, e il disagio può diventare una norma a cui, blandamente, abbandonarsi. Lui e lei, che non si toccano mai e non sembrano neanche desiderare un contatto fisico e persino visivo che potrebbe destabilizzarli e ferirli, sono fantocci adattabili a qualunque interpretazione: la tensione che attraversa ogni loro spostamento assume da un lato i contorni della sessualità, ma dall’altro al contempo rigetta ogni possibile deriva carnale. Non è dato sapere se si tratti di un rapporto fra una vittima e un carnefice, o se invece i due siano complici di un disegno più ampio e articolato che esclude la nostra umana comprensione.

Dulcinea: il cinema, e tutte le altre arti

Lo sperimentalismo di Luca Ferri conduce prepotentemente, fra le altre cose, al surrealismo: la firma, in questo senso, è il tatuaggio sulla schiena della protagonista, che riproduce fedelmente il famoso Violon d’Ingres di Man Ray, uno dei padri del Dadaismo e dell’avanguardia (anche filmica). Ma in Dulcinea è possibile trovare anche echi dell’esistenzialismo di Dino Buzzati e della pittura metafisica di Giorgio Morandi, per citare i due esempi più immediati. Una ricerca formale ferrea, dunque, che non esclude tuttavia lo spettatore ma anzi lo ammalia, sabotando il normale corso della narrazione e portandoci ad un ruolo più attivo di quanto si possa pensare.

Ogni inquadratura nasconde un rimando o un contenuto anomalo (fosse un videogame, lo chiameremmo easter egg), e ogni coazione a ripetere (su tutte la sequenza della scala e della valigetta) titilla l’immaginazione perché contiene in sé uno scarto quasi subliminale rispetto a quanto già visto e masticato pochi minuti prima. Il cinema di Ferri vive di sollecitazioni che toccano l’architettura, il teatro, la musica (in funzione “disturbante” e quasi ostruzionista), la letteratura: un contenitore in cui le diverse forme linguistiche conflagrano e collimano, imponendo una visione tanto ostica – perché non allineata – quanto affascinante e meritevole di attenzione.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 1.5

3.1