Dead Man: recensione del film di Jim Jarmusch

Il capolavoro di Jim Jarmush - con Johnny Depp -  che nel 1995 ribaltò gli schemi del western classico, con il suo mix di lirismo e surrealismo, torna ad affascinare con il suo bianco e nero in versione restaurata dal 16 luglio.

Lo si potrebbe definire un western, ma nel suo genere è di certo una pellicola atipica che più che imitare il Selvaggio West di John Ford non fa che ribaltarne i canoni e creare qualcosa di nuovo, affine persino al genere del grottesco. Dead Man, scritto e diretto dal regista Jim Jarmusch, esce il 16 luglio in versione restaurata.

La trama di Dead Man: il viaggio di William Blake

William Blake (Johnny Depp) è un giovane e affascinante uomo della tranquilla Cleveland, in Ohio, che dopo la morte dei genitori parte per le terre dell’ovest per prendere lavoro come contabile nella cittadina di Machine, nell’America ottocentesca. Durante il lungo viaggio in treno che dall’Ohio lo conduce a Machine, gli viene preannunciata la sua morte: William Blake non può sapere quanto di vero si cela dietro quelle parole sinistre. Arrivato a Machine, William scopre che il suo posto da contabile è già stato preso da qualcun altro e a nulla serve supplicare il ricco signor Dickinson (Robert Mitchum), proprietario della società per cui avrebbe dovuto lavorare. Mentre William si aggira sconsolato per le strade di quella cittadina, dove vede che il commercio che va per la maggiore è quello delle bare, incontra una prostituta – Thel Russell (Mili Avital) – dopo essersi preso una leggera sbronza al saloon, lamentandosi di aver finito tutti i risparmi per il viaggio a Machine. Thel lo accoglie nella sua camera, ma vengono sorpresi a letto dal suo ex – che altri non è che il figlio del signor Dickinson. Dopo che l’ex di Thel le spara al petto, William cerca di vendicare la sua morte e uccide a sua volta l’uomo con un colpo di pistola – trovata sotto il cuscino di Thel: “siamo in America!”, si era giustificata lei. Anche William è stato ferito al petto da un proiettile e, rubato un pezzato, si mette in sella al cavallo e dà inizio alla sua fuga. Con una taglia sulla testa e tre cacciatori di taglie alle calcagna, mandati dalla furia di Dickinson, William fugge attraverso quelle terre a lui così ostili sin da subito e incontra e stringe amicizia con un insolito membro della comunità indiana dei Nativi Americani, il cui nome è Nessuno (Gary Farmer). Come una sorta di Virgilio dantesco, Nessuno lo aiuta a fuggire e – credendolo una sorta di reincarnazione dell’omonimo poeta inglese William Blake – lo conduce fino al suo destino di morte, al quale William non potrà mai sottrarsi.

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Poesia e lirica, in un western per sognatori

Presentato al 48° Festival del Cinema di Cannes, Dead Man nel 1995 non fu apprezzato tanto quanto lo fu in seguito, divenendo negli anni successivi un cult del genere americano della New Wave. Eppure, Dead Man è indubbiamente uno dei film più riusciti di Jim Jarmusch, un piccolo capolavoro su cui il regista ha investito molti più milioni di dollari di quanto non avesse mai fatto prima per i suoi film. Dopo una serie di pellicole indipendenti, Jarmusch punta su un Johnny Depp nel pieno della sua forma e della sua carriera che in Dead Man non si sottrae al rendere una performance di alto livello a fianco di un ottima spalla come Gary Farmer e di personaggi iconici del tempo come Iggy Pop che compare in una breve scena. Dead Man non è davvero un western, nonostante ne condivida l’ambientazione e la cornice, persino il profilo generico dei personaggi. Ai fatti però il film è un anti-western, dove gli eroi poco hanno a che fare con i John Wayne vari e dove Jarmusch firma quasi una dichiarazione politica nel suo continuo sottolineare la barbarie e l’inciviltà del popolo conquistatore. L’America di Jarmusch non ha conquistato la sua terra con onore e gloria, l’unica arma di cui si è avvalsa è una violenza cieca, in netto contrasto con la purezza d’animo e la saggezza con cui vengono ritratti invece i nativi americani nel personaggio di Nessuno. Nessuno, infatti, è anch’egli atipico nel suo ruolo: è colto e istruito, tanto da conoscere i sonetti del poeta William Blake e proprio per questo credere che il “falso” William sia in realtà lo spirito del defunto poeta. Nessuno, che è un outsider all’interno della sua stessa comunità, ha a cuore la pace spirituale di William e fa le feci di un Virgilio dantesco che lo conduce attraverso i gironi di quell’infernale Machine fino a “riveder le stelle”. La metafora dantesca è quanto mai sublimata in una delle scene finali in cui Nessuno da Virgilio diventa una sorta di Caronte che traghetta l’anima di Blake – in realtà il corpo in carne ed ossa – su una canoa lignea fino al mare. La morte di William Blake nel film è al tempo stesso carnale e spirituale: fin dall’inizio capiamo che l’uomo è una persona semplice, ingenua, uno di quelli che non farebbero mai male a una mosca. Eppure, Machine corrompe la sua anima e lo fa diventare un assassino a sangue freddo facendolo marcire dal di dentro, oltre che nel petto oltrepassato da un proiettile che lo condurrà poi a una morte vera e propria. Come destinato da sempre a morire nelle lande aspre e selvagge del lontano west, William Blake non riesce a sottrarsi a quel fato che gli era stato preannunciato in treno (quel treno che quando si ferma alla stazione di Machine ricorda tanto il corto storico del 1896, L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat) mentre viaggiava verso la propria morte.

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Intriso di poesia e lirismo, Dead Man ha continui rimandi letterari, più o meno espliciti, ed è avvolto da un’aura onirica e surreale – Jarmusch d’altra parte non ha mai negato il suo amore per il cinema surreale francese. Dead Man è quindi un western “romantico”, un film per sognatori. Tra i maggiori esponenti della New Wave americana, critica e disillusa verso la grande macchina di Hollywood, Jarmusch è infatti un autore dallo stile sospeso tra uno sguardo malinconico e un’ironia mordace con una regia che abusa spesso di inquadrature fisse e di movimenti lenti e lunghe pause narrative. La forza della sua narrazione è quel gusto per il paradosso e per l’analisi sociale che Jim Jarmusch mette in scena attraverso questi personaggi forti e dalla salda morale.

“Hai del tabacco?” – Spiegazione della metafora del tabacco

Durante il film, in Dead Man a William viene continuamente chiesto, sia da Thel all’inizio che da Nessuno e da tanti altri personaggi, se ha con sé del tabacco. “Hai del tabacco? – No, non fumo”. Alla perplessità di William nei confronti della continua e insistente richiesta di tabacco anche lo spettatore risponde con altrettanta sorpresa. Per comprendere la metafora e il simbolismo dietro questa ossessione verso il tabacco occorre innanzitutto contestualizzare il film: nell’Ottocento in America il tabacco era considerata una preziosa merce di scambio, una moneta con cui comprare favori con l’altro. William questo lo realizza solo dopo, mentre Nessuno crede persino che il tabacco possa essere d’aiuto a William nell’oltrepassare la soglia del mondo tra vivi e morti, tanto era ritenuto pregiato e un privilegio poterlo acquistare (ai nativi americani, infatti, nessuno voleva vendere il tabacco) – motivo per cui ne pone un po’ nella canoa dove William si lascia morire. Il tabacco però in Dead Man è anche simbolo dell’immoralità dell’uomo americano, una dipendenza a cui non sa rinunciare.

Un bianco e nero di forti contrasti sulle note graffianti di Neil Young

L’estasi visiva di Dead Man è resa ancor più tale dalla fotografia di Robby Müller che con il bianco e nero scelto per la pellicola – anche questa una decisione in contrasto con i colori caldi e forti con cui si era solito mostrare il Far West nell’età d’oro dei western – fa un lavoro davvero impeccabile. Contrasti netti e una certa prevalenza del nero sul bianco, mostrano ugualmente l’aridità di quelle terre assolate nonostante il cielo soffocato, con le inquadrature che invece si chiudono sui primi piani o sui piani americani dei protagonisti. Mentre il viaggio e la metafora del cammino verso la morte, reale e interiore, di William Blake sono resi sognanti dai dialoghi dei personaggi e dalla loro stessa persona, ad accompagnare la liricità dell’opera è la chitarra graffiante di Neil Young che esegue una sorta di improvvisazione di due ore, anzi un vero e proprio concerto solista, per tutta la durata del film. Le note di Young ci accompagnano dalle prime scene sul treno, in cui interrompono a tratti il silenzio “quasi” totale dei primi dieci minuti del film, fino ai titoli di coda facendo della colonna sonora un ulteriore personaggio nella storia.

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Dead Man è disponibile in versione restaurata dal 16 luglio.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.5
Recitazione - 4.5
Fotografia - 4.5
Sonoro - 4.5
Emozione - 4

4.4