Daredevil (2003): recensione del film con Ben Affleck

Il vigilante di Hell's Kitchen in una veste spoglia e senza verve. Daredevil versione 2003 conta su una sceneggiatura lacunosa che non valorizza i suoi attori.

Il protagonista di Daredevil, il film del 2003 con protagonista Ben Affleck è Matt Murdock è un ragazzo solitario che si è sempre affidato ad un padre tenace ma condizionato dalle scommesse clandestine, un combattente talmente forte da farsi chiamare “Devil”. Coinvolto in uno sfortunato incidente in un cantiere, investito da una fuoriuscita di liquido radioattivo, Matt si rende conto di essere rimasto cieco. Con la morte del padre ad opera di Kingpin (Michael Duncan) , il potente boss della malavita di New York, Matt comincia ad affinare e perfezionare i suoi sensi nel corso degli anni trasformandosi in un vigilante a tutti gli effetti. Il Diavolo di Hell’s Kitchen prende forma ed è inarrestabile. La sete di vendetta e di giustizia sono la sua principale fonte di energia e quando di giorno Matt, in veste di avvocato, non può difendere i propri clienti, vi pone rimedio mascherandosi.

Daredevil: una storia di origini forzata

daredevil recensione film cinematographe.it

Con la prima trasposizione cinematografica di Daredevil, il regista e sceneggiatore Mark Steven Johnson aveva tra le mani un materiale tratto dai fumetti molto prezioso, una saga spietata e con una forte denuncia sociale. Il lirismo definisce il protagonista e il suo cammino impervio: agisce nell’ombra, opera a fin di bene ma utilizzando mezzi poco ortodossi. Uno spunto di base sulla quale far evolvere una storia avvincente e degna di essere sviscerata.

In realtà la pellicola si sviluppa con delle intenzioni deboli sulla carta, non attribuendo al personaggio di Matt Murdock (Ben Affleck) il carattere necessario per imporsi sulla scena. Trascinato dagli scontri ad armi bianche e condizionato dalla invadente presenza di un flashback concernente l’infanzia del suo protagonista, il film non riesce a trovare un punto fermo e una chiara direzione sotto il profilo narrativo. Si procede per inerzia non implementando un arco psicologico che si confà al contesto di Hell’s Kitchen, quartiere malavitoso dove per farsi giustizia si deve ricorrere alla violenza.

Daredevil: eroi e villain poco definiti

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Non troviamo solo il Diavolo di Hell’s Kitchen a banchettare sul tavolo della corruzione e della criminalità: Elektra (Jennifer Garner), Kingpin e il suo spietato e sanguinario assassino Bullseye (Colin Farrell) dovrebbero rappresentare dei comprimari dotati di grande carisma e utili a ravvivare le sorti del racconto, con interazioni mirate ad approfondire lo spettro emozionale di Daredevil. La sceneggiatura invece tenta con fatica di valorizzare le loro figure, limitandosi semplicemente a coinvolgerli in coreografie ed evoluzioni acrobatiche pesantemente ritoccati in computer grafica.

Una scelta poco audace ed approssimativa che si traduce in una messinscena confusionaria; viene presentato un campionario di eroi e villain pronti all’uso e destinati a diventare marionette dell’ingranaggio action senza inventiva. Non si tocca in nessuna occasione la corda dell’empatia e si distende lungo la visione una missione eroica che gira a vuoto e lascia men che meno spunti di riflessione riguardante la moralità e le volontà ferree del protagonista.

Daredevil: musiche e fotografia sono una manna dal cielo in questo piccolo grande disastro

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Interviene prontamente Ericson Core, a cura della direzione della fotografia, a compensare alle lacune del regista e sceneggiatore Johnson. La colorazione fosca ed enigmatica parla per conto di Daredevil, definendo il tono del film, l’ambientazione tetra e corrotta e l’atmosfera lugubre ideale per un eroe in perenne conflitto con il suo handicap. Con l’arrivo dei due antagonisti d’eccezione, Bullseye e Kingpin, la sensazione di pericolo non viene avvalorata da una macchina da presa impostata e immersa nell’azione ma sempre da un setting ben illuminato e curato sotto l’aspetto visivo.

La vasta selezione di brani punk e gothic rock (tra cui My Immortal e Bring Me To Life dello storico gruppo Evanescence) imprimono la giusta dose di energia alla trama principale, rendendo di fatto popolari alcune sequenze, tra cui l’allenamento di Elektra Natchios con le sue immancabili coppie di sai. Tuttavia siamo di fronte ad un cinecomic convenzionale e trascurato già durante l’avvio del primo atto. Un danno che sembrava a conti fatti irreparabile ma Netflix è riuscito, nel 2015, a riportare in auge l’eroe mascherato con una serie stand-alone di mirabile fattura.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 3
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 1

2.2