Crypto: recensione del film con Kurt Russell

Il giovane revisore dei conti Martin Duran fa ritorno al paese natìo, Elba, e finisce al centro di una torbida truffa riguardante bitcoin, terrorismo informatico e blockchain. Riuscirà a salvare se stesso e la propria famiglia?

La didascalia del poster (“Fear is the ultimate currency”, ovvero “La paura è la valuta definitiva”) di Crypto e la sua premessa fanno immediatamente pensare di trovarsi di fronte ad un’opera d’inchiesta legata all’oscuro mondo dell’high tech e della criptocurrency. Bene, interessante e meritevole di attenzione. Ma si tratta, ahinoi, di una banalissima esca: il film di John Stalberg Jr. – poco da segnalare nella sua carriera, di fatto solo il precedente High School del 2010 – è invece un generico sparatutto d’azione, nascosto dietro a una indagine potenzialmente di alto profilo.

In questa tensione fra aspettative e realtà si svolge la storia dell’agente di sicurezza informatica Martin Duran, che a causa di uno sgarro di troppo viene riassegnato a una regione remota dello Stato di New York, Elba, che guarda caso è la sua città natale. Lì il ragazzo si rimetterà in contatto con la sua famiglia (il papà coltivatore di patate, assieme al fratello) e col suo migliore amico, finendo curiosamente invischiato in una vicenda che fonde – in modalità abbastanza superficiali e confuse – i loschi affari di una galleria d’arte, un piano di riciclaggio del denaro e persino la mafia russa.

Crypto: il futuro dei soldi

Crypto, Cinematographe.it

Tirando in ballo discorsi su registri digitali, criptovalute e dark web, il film di Stalberg Jr.fa inizialmente affidamento ad un gergo bancario che rimanda a Margin Call di J.C. Chandor e a Blackhat di Michael Mann, ovvero a due film che – piacciano o meno – sono stati capaci di affondare le mani in una branca dell’economia costruita su un linguaggio perlopiù incomprensibile e riservato ad una ristrettissima nicchia, in cui la risoluzione dei problemi avviene tramite oscure elaborazioni elettroniche che poco o nulla hanno di umano e, di conseguenza, di fallace.

Ma il discorso sulle trattative e sui servizi finanziari moderni rimane in Crypto del tutto non specifico e superficiale, rimandando nel giro di poco più di venti minuti al collaudato canovaccio del classico crime drama thriller. Si parla del futuro dei (nostri) soldi, d’accordo, ma attraverso le risapute dinamiche degli inseguimenti, delle sparatorie e dei tipici personaggi tagliati con l’ascia: gli ingenui troppo naif, i cattivi troppo stolidi, gli onesti troppo ostinatamente legati ai propri valori e al proprio orgoglio.

Anatomia di una truffa

Crypto, Cinematographe.it

Il raggiro informatico che vorremmo vedere sullo schermo diventa un raggiro per lo spettatore che guarda, e fatichiamo ad essere indulgenti considerando che anche nel momento in cui la pellicola getta la maschera e svela la sua vera natura, arranca e fatica inanellando diversi momenti imbarazzanti, derivanti da una sceneggiatura piuttosto sciatta. Ne scegliamo uno, ben rappresentativo: com’è possibile che l’amico del protagonista abbia un centro di hacking segreto, elaborato e altamente tecnologico, nella stanza sul retro del suo negozio di liquori, nascosto semplicemente da una tenda?

Tra varie situazioni che sfidano la logica conviene – in direzione ostinata e contraria rispetto a ciò che il film vorrebbe farci credere – davvero semplificare all’osso: in Crypto non andremo alla scoperta di nessuno scandalo finanziario di vasta portata, ma ci ritroveremo fra le mani solo l’ennesima e banale variazione sull’esaltazione dei valori per i quali vale la pena vivere. Meglio in campagna con la propria famiglia e a coltivare la terra, che in città da soli immersi nella corruzione della carriera da businessman. Poco, pochissimo. Anche per un normale film action di serie B.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 1

1.9