Budapest: recensione del film Netflix di Xavier Gens

Budapest si rivela una commedia decisamente anonima e dimenticabile.

Budapest è una commedia francese del 2018, scritta da Simon Moutairou e Manu Payet e diretta da Xavier Gens (Hitman – L’assassino, Crucifixion). I protagonisti del film sono lo stesso Manu PayetJonathan Cohen, Monsieur PoulpeAlice BelaïdiAlix Poisson. Dopo l’uscita nelle sale francesi, Budapest è stato distribuito su Netflix a partire dall’1 marzo.
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Vincent (Manu Payet) e Arnaud (Jonathan Cohen) sono due colleghi e amici di lunga data, che dopo aver partecipato a un addio al celibato fallimentare decidono di dare una svolta alle loro insoddisfacenti vite. La loro idea consiste nel mettere in piedi una vera e propria agenzia per addii al celibato, in grado di offrire ai propri clienti esperienze entusiasmanti e trasgressive nella suggestiva location di Budapest. La nuova attività di Vincent e Arnaud subisce però diversi imprevisti, che metteranno in pericolo sia il loro progetto, sia la loro vita sentimentale.

Budapest: la notte da leoni in salsa transalpina che non convince

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Ciò che lascia maggiormente perplessi di Budapest è la sua mancanza di una direzione chiara e precisa da seguire, che inficia di conseguenza anche la riuscita dei suoi spunti più interessanti. Il film di Xavier Gens non ha infatti né la carica ironica e demenziale per proporsi come una risposta transalpina alla saga di Una notte da leoni, né la forza per approfondire gli altri temi proposti, come lo spaesamento emotivo e lavorativo dei giovani uomini della società contemporanea e la conseguente crisi dei rapporti di coppia, sempre in bilico fra aspettative disilluse e la difficoltà di lasciarsi definitivamente alle spalle la gioventù e la sua spensieratezza.

Budapest sceglie di puntare i fari su un gruppo di perdenti, insoddisfatti della propria vita e con il duplice intento di fare business e andare alla ricerca di emozioni forti e infantili, per ricominciare a vivere per davvero. La messa in scena è però talmente sgraziata e posticcia che si fatica ad affezionarsi alle rocambolesche disavventure dei suoi personaggi e a trovare qualcosa di più di una risata a denti stretti. L’umorismo alla base di Budapest è di grana grossa, farcito di riferimenti decisamente retrogradi a omosessualità, obesità e sessualità femminile. Il problema non sta però tanto in questa scelta, che in un’ottica di rappresentazione politicamente scorretta del degrado morale dei protagonisti avrebbe potuto anche avere senso, quanto nella facilità con cui si mescolano sketch già visti e rivisti nelle commedie americane sul tema degli ultimi 20 anni con un’introspezione dei personaggi disarmante per la sua sciatteria.

Budapest: una commedia fiacca e priva di mordente

Non ridiamo mai dei personaggi o con i personaggi, perché non li sentiamo mai vicini a noi, percependoli invece come una mera caricatura dei risvolti più patetici del maschio della fine degli anni ’10. Se a questo aggiungiamo il totale disinteresse dello spettatore per le sorti dell’attività avviata dei protagonisti, che svaria senza troppa convinzione da esperienze lussuriose decisamente più caste di quanto avremmo potuto prevedere a imbarazzanti scenari bellici, con tanto di carri armati, e un ultimo atto malamente incentrato sui rapporti di coppia, senza il minimo approfondimento degli stessi, l’inevitabile risultato è una commedia fiacca e senza mordente, che neanche due capaci interpreti come Manu Payet e Jonathan Cohen (qui abbondantemente al di sotto dei loro standard) riescono a salvare.

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In definitiva, Budapest si rivela una commedia decisamente anonima e dimenticabile, che non riesce né a rispolverare la sana goliardia delle commedie demenziali più pruriginose, né a disegnare un efficace quadro dei rapporti di coppia moderni, trovando solo un paio di sequenze minimamente divertenti, che tuttavia difficilmente rimarranno nella mente dello spettatore.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3

Tags: Netflix