Bright: Samurai Soul – recensione dell’anime su Netflix

C'era una volta un film Netflix con Will Smith e diretto da David Ayer. Oggi c'è Bright: Samurai Soul, spin-off d'animazione che migliora nettamente l'impronta dell'originale.

Spin-off anime dell’omonimo film in live action del 2017 diretto David Ayer e interpretato da Will Smith, Bright: Samurai Soul arriva su Netflix per la regia di Kyohei Ishiguro a partire dal 12 ottobre 2021. Contemporaneamente un completamento, un miglioramento e un trasloco di temi, idee e suggestioni dell’originale dentro un universo dall’indiscutibile fascino plastico/pittorico, l’anime conserva una certa affinità tematica con il predecessore e ha una grazia poetica maggiore. Pure se il dosaggio degli ingredienti non è sempre limpidissimo.

Bright-Samurai Soul: in cosa somiglia e in cosa si discosta dal film Netflix del 2017

Bright Samurai Soul cinematographe.it

Familiarità con il lavoro live action del 2017, di cui Bright: Samurai Soul è discendente in linea diretta, non è condizione necessaria per entrare dentro il film del 2021 e coglierne lo spirito. Vale comunque la pena sottolineare somiglianze e differenze, non fosse altro che per scardinare meglio i segreti del più recente. Come nel film del 2017 anche qui abbiamo tre protagonisti. Un ronin umano, Izou. Un orco, Raiden. E una giovane della razza elfica, Sonya. In entrambi i casi il fondo è smaccatamente fantasy, oscillazione di realismo e magia, coesistenza pericolosa di razze e “umanità” divergenti. Anche stavolta il discorso su disuguaglianze ed emarginazioni varie ha il suo peso, pure ridisegnato per adattarlo al contesto. Ecco una cosa che cambia radicalmente, il contesto.

Il film di David Ayer immaginava una Terra alternativa, ma il tempo era indiscutibilmente quello presente. Per Bright: Samurai Soul il qui e ora è il Giappone della seconda parte del XIX secolo. L’epoca passa sotto il nome di Restaurazione Meiji, un periodo di transizioni cruciali per il paese. Restaurazione dell’autorità imperiale, tramonto dello shogunato, (shogun=capi militari), modernizzazione e occidentalizzazione della società e della politica dopo un’eternità di isolamento. Fine della lezioncina, siete ancora svegli?

Izou e Raiden hanno una missione da compiere. Il secondo è un orco in pensione, per così dire, e vuole dare una ripulita alla sua fedina penale con un’ultima nobile azione. Il primo, come ogni eroe tenebroso che si rispetti, ha un passato e una gran difficoltà a conciliarlo con il presente. In sostanza la missione consiste nello scortare la piccola Sonya, insieme alla bacchetta magica che porta con sé, nella terra degli elfi su al nord. Bisogna evitare che mani avide e oscure ne facciano bottino, solo i luminosi (bright, dal titolo), puri nel cuore e nello spirito hanno l’onore e l’onere di tenerla in mano. Per farne buon uso, possibilmente. Da questa angolazione, il film replica il canovaccio fantasy senza scossoni. Ma nella convenzionalità del percorso, si insinuano i motivi fondamentali del film.

Eleganza pittorica, denuncia sociale sullo sfondo, in primo piano il ritratto di un mondo che cambia

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La forza del racconto è racchiusa nella possibilità e nella sfida, pienamente accettata per altro, di modellare un mondo e i suoi riferimenti culturali e paesaggistici partendo praticalmente dal nulla. Perché qui non c’è nessuna realtà fisica cui vincolarsi. Il mondo in carne ed ossa, il ricordo del Giappone Meiji non è niente di più di una tela bianca su cui Bright: Samurai Soul innesta la sua eleganza pittorica, la delicatezza e il senso coreografico dei movimenti, specialmente nelle sequenze d’azione. E la sua ostinata corazza fantasy.

La riflessione su cosmopolitismo, diversità e accettazione è sfumata, certo meno esibita rispetto alla controparte live action. Le velleità di denuncia, che pure ci sono, stavolta devono conciliarsi con il racconto del Giappone e di un capitolo molto importante della sua storia. Stimolante anche da un punto di vista di puro storytelling.

Molta parte del cuore tematico di Bright: Samurai Soul, ha a che fare con l’eterna dialettica tra passato e presente. Il Giappone cambia, deve abbandonare il suo passato medievale per aprirsi, più o meno volontariamente, alla modernità. Il ronin Izou, confuso oggi e malinconico pensando a ieri, è l’incarnazione stessa delle tensioni e dei limiti del processo. Abbandonare la magia per consegnarsi al progresso meccanico, fare i conti con l’avidità e l’opportunismo, crescere e maturare. Il film abbraccia contemporanemente tanti orizzonti con il suo respiro. Ma talvolta resta prigionero della sua stessa complessità. E dell’ambiguità nello sguardo sulle cose e le persone che sceglie come stella polare. Bright: Samurai Soul cattura nell’occhio, scalda il cuore ma non sempre tiene coerentemente le fila del discorso.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8

Tags: Netflix