Black Phone: recensione del film horror con Ethan Hawke

Ethan Hawke insolitamente cattivo in Black Phone, horror diretto da Scott Derrickson e in sala dal 23 giugno 2022.

Thriller/horror, più horror che thriller, Black Phone, regia di Scott Derrickson con Mason Thames, Madeleine McGraw, Jeremy Davies e Ethan Hawke, arriva nelle sale italiane il 23 giugno 2022. Solo al cinema, una distribuzione Universal Pictures International Italy. Produce Blumhouse, che del genere è istituzione e adeguata garanzia.

Come ogni buon horror, questo in effetti è un buon horror, decisamente, funziona come mappa interattiva del genere. C’è un po’ di tutto. Fisicità truculenta, un mood insistente e insistito, la deviazione fantastica, diciamo più correttamente sovrannaturale, una fotografia abbastanza realistica della realtà, sentimentale soprattutto, dei suoi protagonisti. Il senso malinconico dell’innocenza deviata e magari anche qualche scorciatoia umoristica. Scott Derrickson ha perso il secondo Doctor Strange per scrivere e dirigere questo film qui e difficilmente avrà motivo di rimpiangere la scelta. La sua personalissima sliding door è l’adattamento del racconto dell’americano figlio d’arte (il papà lo conoscete molto molto bene) Joe Hill e che si chiama The Black Phone.

Black Phone: due fratelli contro un predatore di bambini

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Un anonimo sobborgo in Colorado, 1978. Tutto nella norma a parte il predatore di bambini conosciuto con il poco accogliente nomignolo di The Grabber (Ethan Hawke). Adesca fingendosi un mago, palloncini neri, trucco improbabile, il furgoncino con cui se ne va in giro, nero anche quello, protetto dallo stesso strano sortilegio che custodisce l’anonimato della Jaguar di Diabolik; praticamente è l’unico modello dello Stato con quelle caratteristiche, ci fosse uno che fa due più due, ma no. In realtà, ci sono anche ragazzi svegli, si chiamano Finney e Gwen, la sanno più lunga di tutti gli (abbastanza) inutili adulti che li circondano.

Black Phone è la storia di Finney (Mason Thames) e Gwen (Madeleine McGraw). Fratelli, legatissimi, la mamma non c’è più e il padre, Jeremy Davies, è tremendo da qualsiasi angolazione lo si voglia giudicare. Gwen e Finney conoscevano molto bene alcuni dei ragazzi spariti. Finney è il tipico ragazzo timido e sensibile che non crede nella violenza ma è comunque costretto a crescere negli Stati Uniti. Gwen è l’esatto opposto, è piuttosto disinvolta, non ha paura di far sentire la sua presenza quando occorre, si tratti di rimettere a posto la polizia con un paio di frasette pepate o di spaccare la testa a un ragazzino con un sasso. Gwen ha un rapporto senza filtri con Gesù, vedere per credere (!), ma soprattutto ha un “dono” che le tornerà molto utile quando le cose si metteranno male.

Nessuno sa con precisione cosa succeda ai ragazzi scomparsi, a intuito niente di buono. L’occasione per scoprirlo è il rapimento di Finney. La sua cella è uno squallido scantinato insonorizzato. Il predatore si mostra solo mascherato, da lontano Gwen le tenta tutte interrogando le sue visioni, combinando poco. Su una parete della prigione c’è un telefono nero. Non lo sente mai squillare, Ethan Hawke, ma noi lo sentiamo e Mason Thames lo sente. All’altro capo del filo c’è l’aiuto insperato. Voci amiche, un po’ confuse sul dove e il quando, aiutano il ragazzo a cavarsela nell’ora più buia offrendo consigli, spunti, memorie dolorose. Il mostro inscena con le sue giovani prede un gioco abbastanza perverso, accettarlo o rifiutarlo può solo dare un po’ di tempo in più. Non la salvezza, quella Finn dovrà guadagnarsela imparando a lottare.

Il film horror dosa con economia i suoi ingredienti, qui sta la sua forza

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C’è una forte attenzione al dettaglio umano che garantisce a Black Phone una dignitosa profondità, uno spessore che lo isola e lo distingue dalla gran parte degli horror contemporanei, più attenti allo shock fisico e a una caratterizzazione stereotipata e rapida. In un cast di volti esordienti e di consumati caratteristi (Jeremy Davies) tocca a Ethan Hawke, qui insolitamente cattivo, cattivissimo, portare la croce del prestigio e dell’appetibilità presso il grande pubblico. Recita costantemente camuffato, mascherato, il suo è un lavoro ai margini del personaggio; la posa, le intonazioni, la “leggibilità” dello sguardo. Il film, senza nulla togliere al pregevole lavoro del cast italiano di doppiaggio, andrebbe sperimentato in lingua originale proprio per cogliere al meglio la galleria di sfumature che strutturano l’inquietante emotività di un cattivo di cui sappiamo, per la verità, molto poco.

Black Phone non ha nessun interesse a chiarire i retroscena biografici del villain, per fortuna. Il male non spiegato, allusivo, opaco, è intrinsecamente più cinematografico perché è nel mistero, nell’ambiguità che trova una sua granitica ragion d’essere. D’altronde il film funziona perché sa dosare con economia i suoi ingredienti. La dialettica tra reale e sovrannaturale è gestita con sobrietà, il racconto mai barocco punta all’essenzialità dell’emozione, non sovraccarica. L’oppressione nell’aria, l’atmosfera di cupa malinconia che permea la vita in questa piccola comunità suburbana è stemperata da lampi ironici.

Non siamo dalle parti di Stranger Things, in nessun modo il focus di Black Phone è sul piacere della ricostruzione storica e della rievocazione pop del sentimento di un’epoca. Il film si limita a definire le coordinate essenziali del quadrante storico di riferimento per poi dedicarsi all’obiettivo principale, che è il racconto di un’innocenza giovane ferita da una malvagità matura. Un oscuro percorso di formazione, il giovane Finn che impara a sue spese a fare i conti con il male e a crescere, sfidando paure e insicurezze grazie al supporto di una rete di solidarietà generazionale, qui evocata guardando all’irrazionale puro. Un elogio della creatività, dell’astuzia, della pelle dura dei ragazzi permeato di sfiducia verso i padri simbolici e reali; ideologicamente sarebbe piaciuto a Truffaut. Quel che resta fuori dal perimetro del film, comprensibile ma è anche un peccato, un discorso più elaborato sul dopo, sull’impatto cioè di questo male non spiegato sulla vita intima e pubblica dei personaggi principali e della comunità.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 4
Emozione - 3

3.3