Black Phone 2: recensione dell’horror di Scott Derrickson

Mason Thames, Madeleine McGraw e un cattivissimo Ethan Hawke sono i protagonisti di Black Phone 2, il riuscito sequel dell'horror del 2021. Regia di Scott Derrickson, in sala dal 16 ottobre 2025.

Non c’era ragione di continuare, dopo il film del 2021. Meglio, non era possibile continuare, dopo il film del 2021. O forse no. Black Phone 2 arriva nelle sale italiane il 16 ottobre 2025 per Universal Pictures International Italy. È il sequel del popolare horror (made in Blumhouse) del 2021, Black Phone, e perché non si potesse andare avanti è presto detto: il temibile villain altrimenti conosciuto come The Grabber (Il Rapace) – furgoncino nero, mascherato, rapisce e uccide ragazzini – era uscito di scena in un modo parecchio irreversibile. Ora, siccome non basta una quisquilia come la morte a saziare la sete di Hollywood per la serialità, ecco qui il sequel. Teoricamente è impossibile che funzioni e invece funziona, perché c’è metodo nella follia cinematografica di Scott Derrickson, regista e sceneggiatore con C. Robert Cargill.

L’horror che non avrebbe ragione di esistere esiste, e questo perché il suo regista fa la cosa giusta: trova nella psicologia dei personaggi la chiave per andare avanti, e ribalta le regole del gioco. Allo storytelling claustrofobico di Black Phone – era la storia di un carceriere e di una prigione – corrispondono spazi più larghi, e un rapporto insinuante tra realtà e sogno (incubo). I personaggi sono gli stessi del primo film, con qualche aggiunta. Il materiale di partenza è ancora una volta il racconto “The Black Phone” di Joe Hill. Cast: Mason Thames, Madeleine McGraw, Jeremy Davies, Demián Bichir, Miguel Mora, Anna Lore e, ovviamente, mr. Rapace in persona, Ethan Hawke.

Black Phone 2: il mostro ora vive nei sogni

Black Phone 2; cinematographe.it

Il Rapace, ma potrebbe chiamarsi Freddy Krueger. Black Phone 2 è ambientato nel 1982, quattro anni dopo il primo film. Molta acqua è passata sotto i ponti, non per Finn (Mason Thames) e Gwen (Madeleine McGraw). Per loro è sempre il 1978, e soprattutto è sempre Il Rapace (Ethan Hawke). Finn è l’unico scampato alla ferocia del killer, e il responsabile della sua morte; tira avanti sfogando la rabbia repressa sui compagni e stordendosi con l’erba. È leggermente di lato alla storia, stavolta, perché il focus è spostato sulla sorella Gwen (Madeleine McGraw); lei ha un carattere focoso e delle strane visioni. Le visioni – soprattutto quelle della prima metà sono la cosa più riuscita del film – mettono a dura prova la salute mentale della ragazza: corpi di bambini straziati parlano da un campo ricreativo invernale degli anni ’50 e implorano di essere ritrovati, che di loro si è persa traccia. Addirittura, durante una di queste sconcertanti fantasie notturne, Gwen ha l’occasione di parlare con una versione molto giovane, 1957 o giù di lì, di sua madre Hope (Anna Lore), morta da tempo. Nel campo sono conservate verità orribili sul passato del Rapace, e bisogna indagare. Non dovrebbero esserci problemi. Il Rapace è morto. E chi è morto non può far danni. Non proprio.

Black Phone 2 è un sequel intelligente. Scott Derrickson sa che non c’è modo di eludere la domanda: come si prosegue, e si dà un senso, a un discorso che si era brillantemente chiuso col successo del film del 2021? La sua risposta è uno scacco in tre mosse. Uno: gira un film che, più che ai fatti, guarda alle conseguenze; è l’eredità del trauma – Finn, Gwen e il papà, Terrence (Jeremy Davies), sentono ancora l’ombra del Rapace sulle loro vite – il vero villain dei personaggi. Due: ribalta lo status quo. La claustrofobia dell’originale è rimpiazzata dall’ampia disponibilità di spazio del campo invernale, dove Gwen, Finn e Ernesto (Miguel Mora) indagano. C’è una tempesta di neve che complica le cose e aumenta la suspense, e c’è un simpatico gestore, Armando (Demián Bichir), ad aiutarli.

Tre: trova il modo di rimettere in pista Il Rapace. Morto l’uomo, largo al fantasma. E se il fantasma non si tocca, non si vede e non si sente nel mondo reale, bisogna farlo vivere nei sogni. I sogni di Gwen, surreali fantasie di morte squarciate da una violenza raccapricciante e incorniciate dalla fotografia, sporca e granulosa, di Pär M. Ekberg, sono incursioni destabilizzanti dell’irrazionale nella fragilità del reale. Il Rapace è un Freddy Krueger riveduto e corretto che si muove nell’impalpabilità dei sogni per dar sfogo alla sua sete di sangue. Il rapporto tra realtà e sogno è il motore destabilizzante e ipnotico della suspense e della paura del film.

Storia di due fantasmi: un killer e gli anni ’80

Black Phone 2; cinematographe.it

Ecco un altro fantasma cui è difficile sfuggire: gli anni ’80. Se il morboso attaccamento per l’immaginario del decennio è la spia più allarmante della doppia crisi, d’identità e originalità, del cinema americano – l’omaggio è possibile finché c’è un originale a consentirlo, cosa succede quando non ci sono più originali? –  di derivativo, in Black Phone 2, c’è meno di quanto sembri. Forse è più giusto dire che Scott Derrickson sa cosa vuole dal film – in termini di estetica, e di emotività – e riesce a costruire una mitologia in bilico tra studiato citazionismo e creatività. In parole povere, il film attinge all’iconico universo del film di Wes Craven (Nightmare – Dal profondo della notte, 1984, e seguenti) ma non trasforma Ethan Hawke e il suo cattivissimo Rapace in un Freddy Krueger del dormiveglia solo per il superficiale, ruffiano piacere di minimizzare i rischi battendo strade collaudate.

Sarebbe bello vivere in un mondo in cui Black Phone 2 assesta i suoi colpi senza bisogno di appoggiarsi a mitologie e universi cinematografici altri da sé, ma il richiamo a un modello preesistente è gestito con sobrietà. Anche la cronaca familiare del film, il triangolo di rapporti papà Jeremy Davies e figli Mason Thames e Madeleine McGraw, non ha la calcolata, zuccherosa insistenza del cinema commerciale contemporaneo. Il citazionismo è un mezzo per un fine: Black Phone 2 non cerca solo di raccontare il peso fisico e psicologico del trauma, ma ha interesse anche a mostrarci come il trauma trovi terreno fertile nell’immaginazione delle persone. Scott Derrickson usa il film per rispondere all’interrogativo più pressante, per un horror: come dare forma all’impalpabililità per eccellenza, alla paura.

Per riuscirci, fa a pezzi la distanza tra sogno e realtà e catapulta i suoi attori – a cominciare dalla convincente, intensa e sboccata Madeleine McGraw – in un dormiveglia ipnotico e alienante, non del tutto incubo né interamente realtà, terra di nessuno dell’immaginazione in cui gli incubi si concretizzano in forme terribili; basta sfiorarle e scompaiono, e la paura ricomincia il suo giro. Non c’è, nel racconto della quotidianità, nulla che pareggi la forza disturbante delle violentissime – vedere per credere – sequenze oniriche di Black Phone 2, horror d’atmosfera che sa essere disgustoso e violento quando serve. È un ragionato compromesso tra originalità e ispirazione, e importa il giusto che la realtà non tenga testa alla forza emotiva e visiva delle scene oniriche. Scott Derrickson ha trovato un senso dignitoso a un sequel teoricamente impossibile.

Black Phone 2: valutazione e conclusione

La claustrofobia del primo film non è accantonata, ma rivista. Stavolta, la prigione è la mente, e per irrobustire il messaggio Scott Derrickson contamina con diabolico compiacimento incubo e realtà. Black Phone 2 tende a risolvere i suoi conflitti con una certa fretta sul finale, sconfessando in parte l’elaborata e ansiogena prima metà della storia; il racconto della realtà non ha l’ambiguità e la sottigliezza delle sequenze oniriche. Il film ha comunque molte frecce nel suo arco.

Un’atmosfera destabilizzante, un modo interessante di mischiare passato e presente, un’estetica onirica e opaca, esplosioni di violenza inconsuete per forza emotiva e dolorosa, e un uso della macchina da presa più sofisticato dello standard di tanto horror. Non può fare a meno di essere derivativo, ma usa in maniera intelligente l’omaggio. Non si poteva chiedere molto di più a un horror che riapre, in modo sensato, un discorso già chiuso.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3