Black Butterfly: la recensione del thriller con Antonio Banderas

Brian Goodman dirige Antonio Banderas e Jonathan Rhys Meyers in un thriller metanarrativo prendendo a piene mani dagli stilemi del genere.

Prima di addentrarci nella recensione di Black Butterfly, è necessaria una breve presentazione del regista Brian Goodman. Appena dodicenne, Goodman decide di lasciare la scuola e vivere in strada. Dopo aver venduto droghe e aver passato del tempo in prigione, è stato il cinema a cambiargli la vita. Ormai cresciuto, comincia a fare provini come attore e soprattutto a dedicarsi alla scrittura. Nel 2008, assieme a Donnie Wahlberg (fratello di Mark), scrive la sceneggiatura di Boston Streets, che lo vede anche alla regia, unica prova in quel ruolo prima di Black Butterfly.

Il motivo di questa premessa risiede nel fatto che il film in questione, al di là degli intenti thriller (genere in cui è facilmente collocabile), ha infatti nel meta-racconto cinematografico, estensibile alla narrativa tutta, il suo centro gravitazionale04

Black Butterfly: la recensione del thriller con Antonio Banderas

Ma andiamo con ordine. La storia si apre con Paul (Antonio Banderas), attempato scrittore che combatte contro l’immancabile blocco creativo. Separato e improduttivo, cerca l’ispirazione perduta in una baita isolata, nel frattempo messa in vendita poiché bisognoso di contanti. Con la transazione che fatica a decollare, forse anche per via dell’inesperta agente immobiliare Laura (Piper Perabo) che sta gestendo l’affare, le monotone giornate di Paul, scandite da battute di caccia e numerose pause alcoliche, subiscono un drastico cambiamento quando lo scrittore accoglie in casa il misterioso Jack (Jonathan Rhys Meyers), un giovane girovago che lo aiuta durante una lite al diner locale.

Presto però, lo scrittore si trova prigioniero nella sua stessa dimora, alla mercé di questo sconosciuto, ossessionato dal voler aiutare Paul nel suo lavoro di sceneggiatore e in cui il sequestrato comincia a vedere il possibile artefice di una serie di omicidi avvenuti nelle vicinanze.

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Brian Goodman confina l’azione di Black Butterfly quasi interamente tra le mura della baita, con una manciata di personaggi e praticamente solo tre ruoli a portare su di sé il peso della narrazione. Il regista è a suo agio nel prendersi tutto il tempo necessario per preparare il palco alla follia che di lì a poco prenderà il sopravvento, in un crescendo sempre maggiore.

Dopo un inizio che del thriller ha più che altro il sentore, attutito da ambienti luminosi e dalle vaste lande naturali in cui lo scrittore vive, il film rende anche noi ostaggi in una partita a due che sovrappone la storia che percepiamo come spettatori, vissuta in prima persona Jack e Paul, e quella che quest’ultimo sta tentando di trasformare nella sua sceneggiatura. Un intreccio di prospettive all’interno del quale la partecipazione dello stesso Goodman nei panni di attore assume un particolare significato.

Black Butterfly: la lotta fra due vite che scrivono a vicenda il loro finale

In realtà, sequestratore e sequestrato si scontrano nei loro tentativi di plasmare la realtà, su carta e nel mondo reale, ciascuno determinato a scrivere la fine della loro storia e, conseguentemente, della vita dell’altro. Non è chiaro, sino al finale, quale sia il vero scopo di Jack e cosa spinga Paul a tenere in casa uno sconosciuto che presto si approfitta dell’ospitalità più del dovuto.

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I colpi di scena non mancano, accorpati nell’atto conclusivo, ma mancano di impreziosire la sostanza, compreso l’ultimo twist, che pur trova un perché in quella che probabilmente era l’idea di fondo partorita da Goodman e dai suoi sceneggiatori. Mentre ci si prepara a lasciare la sala, è difficile non riflettere sulla mancanza di visionarietà che permea l’ossatura di Black Butterfly.

Mettendo da parte la quantità sovrumana di cliché, che ancora una volta trovano una parziale giustificazione nell’essenza stessa del film, il thriller si snoda discretamente fra la lotta per la sopravvivenza di Paul e la sua valenza meta-narrativa di cui abbiamo già discusso, tentando di collimarle nella scelta finale.

Sfortunatamente, giunti all’epilogo, questo matrimonio avviene in modo tutt’altro che auspicabile, colpa in gran parte di una scrittura che si rivela man mano sempre meno ispirata, mal supportata dalla regia di Brian Goodman, che guarda scolasticamente soprattutto al lato thriller della storia.

Black Butterfly: una tensione crescente che perde però di vista il tracciato

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Il materiale dal duplice valore sembrava invece abitare vicino al Roman Polański più morboso, maestro nel mettere in scena la psiche e le psicosi dei suoi personaggi, o di un Giuseppe Tornatore di Una pura formalità (proprio con Polański co-protagonista e incentrato su uno scrittore), i cui ambienti e atmosfere rendono palpabili, facendosi anche loro specchio, le vicende malsane messe in scena; nel film di Goodman tutto ciò sembra essere delegato semplicemente ai titoli di testa e di coda, che richiamano l’aspetto più psicologico attraverso il tema delle macchie di Rorshach.

Il risultato è così un thriller costellato di buone intenzioni, che però manca di assestare il colpo vincente, facendo perdere il tutto di sapidità. Se non altro, Black Butterfly riesce a interessare per buona parte della sua durata, comunque non troppo lunga da sostenere, grazie anche alle intense interpretazioni di Banderas e Rhys Meyers.

Black Butterfly (QUI il trailer), diretto da Brian Goodman da una sceneggiatura di Marc Frydman e Justin Stanley, uscirà in Italia il 13 luglio, distribuito da Notorious Pictures. Il cast è composto da Antonio Banderas, Jonathan Rhys Meyers, Piper Perabo, Abel Ferrara, Vincent Riotta, Nathalie Rapti Gomez, Randall Paul e Katie McGovern.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8