Venezia76 – Beyond the Beach – The Hell and the Hope: recensione
Beyond the Beach - The Hell and the Hope (2019) è il documentario di Emergency sui volontari nelle zone di guerra, nei rifugi e sulle navi Ong.
“Avevo tutto, ma non ero soddisfatto”. È la frase di molti volontari che partono per le zone di guerra, dove di quel tutto a cui hanno accennato non è rimasto più nulla. Anzi, non c’è mai stato. È la presa di coscienza di medici, infermieri, semplici volontari, che della loro vita hanno scelto di fare uno strumento per salvarne altre. Una, due, dieci, cinquanta. Quante più anime è possibile preservare. E dove avviene questa carneficina incontro a cui molti volontari vanno? Esattamente oltre la spiaggia, oltre quelle distese ambrate che per molti significano vacanza, mentre per altri approdo sicuro, rifugio in cui poter finalmente vivere un’esistenza senza mine, bombe, sparatorie. Ma è comunque il mare che intercorre tra loro e la morte.
Beyond the Beach – The Hell and the Hope è il documentario di Emergency diretto da Graeme Scott e Buddy Squires, che entra in una quotidianità che non dovrebbe essere tale e ne inquadra senza sensazionalismi o ricatti emotivi le atrocità della guerra. La normalità di uomini e donne che hanno deciso di rendersi mezzo per aiutare il proprio prossimo; rischiando ogni giorno, rischiando soprattutto la vita, ma che avrebbe rischiato, quest’ultima, di rimanere vuota e inconsistenze senza la possibilità di dare concretamente un aiuto. Partendo da un camion-bomba a Kabul, per spingersi fino al lavoro sulle Ong nel cuore del Mediterraneo, il lavoro di Scott e Squires si spinge nella realtà di un mestiere esplicitato attraverso riprese e testimonianze dirette, che parla con onestà quando mette in scena le azioni, e aumenta l’empatia con le interviste ai suoi medici e volontari.
Beyond the Beach – The Hell and the Hope: le tre fasi della salvezza
Costruendosi in tre fasi, Beyond the Beach – The Hell and the Hope parte, dunque, dai teatri di rappresaglia in cui è l’insostenibilità delle famiglie a pagarne il prezzo. Dove sono in misura esorbitante i civili le vere vittime dei conflitti a fuoco, quelli che più fanno visita all’ospedale nel cuore della città afgana e che dimostrano come in fondo siano quelle più indifese, le vite strappate dalla loro innocenza. Condizioni inammissibili, con cui i volontari scendono a patti per poter dare un significato alle proprie conoscenze e alle loro possibilità, in un documentario che rispecchia il pericolo, ma anche la profonda gratificazione nell’assistere chi, con la guerra, non vuole avere niente a che fare.
È spostandosi nei rifugi di quelle terre ostili che il lavoro di Graeme Scott e Buddy Squires continua il suo reportage, nello stazionarsi di famiglie su famiglie, bambini su bambini, prigionieri della loro stessa libertà. È, infatti, il desiderio di poter trascorrere i loro giorni lontano dalle esplosioni e dall’ira dilagante a comprimerli in un’unica tenda, una sola abitazione che possa avere la parvenza di un nido a cui sentirsi legati. Ma come si può chiamare casa un filo recintato che ti avvolge tutto attorno, dove è ancora Emergency a collaborare, tentando di allietare quegli interminabili momenti di passaggio?
Beyond the Beach – The Hell and the Hope: dalle zone di guerra all’incognita del Mediterraneo
È il mare il fine ultimo a cui puntare, la speranza finale di approdare in un Paese dove c’è l’opportunità di ricominciare. Finisce sulle Ong Beyond the Beach – The Hell and the Hope, in una terza parte che fa imbarcare lo spettatore insieme ai componenti della nave e ne mostra i salvataggi di fortuna; i racconti strazianti di chi ha dovuto attraversare l’inferno per arrivare alle acque del Mediterraneo, e che comunque non ha ancora la certezza di riuscire a sopravvivere al viaggio. La vicinanza a chi sta mettendo a repentaglio la propria vita scuote lo spettatore al punto tale da farlo entrare in profonda connessione con le emozioni più umane. La comprensione di un gesto estremo perché unica alternativa alla morte sempre più certa, che deve affrontare l’incognita del mare se vuole vedersi risollevare.
È la brutalità che talvolta riserva la vita a commuovere il pubblico con il documentario, che nel solo rendere evidenti le condizioni a terra e a bordo di tantissime persone, ne riesce a restituire il dolore rendendolo percepibile fin sotto pelle. Emozioni che sono reali, come le lacrime dei volontari, la forza dei cittadini dei rifugi, la gratitudine negli occhi di chi, nel bel mezzo del solo mare, vede tendersi una mano e ci si aggrappa con tutta la propria forza. Un documentario sull’oggi e su un mondo tanto chiacchierato, ma mai dibattuto con tale coerenza e semplicità. Un’opera che apre all’umanità più sincera, che non tenta mai di educare o convincere, ma espone semplicemente dei fatti che sono così, delicati e indigesti da trattare. Un lavoro che spinge ad interrogassi su cosa potrà riservare il domani a intere popolazioni, che potranno sempre contare su chi, pur avendo tutto, sa che potrebbe avere e fare qualcos’altro. Qualcosa di decisamente buono.