Beata te: recensione del film con Serena Rossi e Fabio Balsamo
Serena Rossi è una regista teatrale quarantenne single, Fabio Balsamo l'Arcangelo Gabriele che le annuncia la nascita di un figlio. Che fare? Beata te, su Sky Cinema e in streaming su NOW dal 25 dicembre 2022.
Per la serie, la forza di una metafora e fin dove ci si può spingere con un racconto a metà strada tra realismo e dilatazione fantastica, ecco a voi Beata te. Film Sky Original, disponibile dal 25 dicembre 2022 su Sky e in streaming solo su NOW, diretto da Paola Randi e scritto da Lisa Nur Sultan e Carlotta Corradi, dallo spettacolo teatrale “Farsi Fuori” di Luisa Merloni. Libera scelta, maternità e pressione sociale sono temi importanti, delicati, ma il film si fa un punto d’onore nell’affrontarli con quanta più leggerezza è possibile.
Protagonisti Serena Rossi e Fabio Balsamo, coppia speciale per una convivenza ancor più speciale. Insieme a loro, Elisa Di Eusanio, Valentina Correani, Corrado Fortuna, Alessandro Riceci. Con la partecipazione di Herbert Ballerina e con Paola Tiziana Cruciani e Gianni Ferreri.
Beata te: un’incredibile annunciazione e una convivenza speciale
Marta (Serena Rossi) è una regista teatrale quarantenne, single e senza particolari rimpianti o motivi di frustrazione. Sta per portare in scena l’Amleto, ha una bella casa nel centro di Roma, tante amiche e un rapporto turbolento ma simpatico con la mamma Ornella (Paola Tiziana Cruciani). Insomma, tutto nella norma. Con la norma, però, non si girano film interessanti. Nel giorno del suo quarantesimo compleanno, Marta riceve la visita più sconcertante della sua vita. Le bussa alla porta un visitatore d’eccezione. L’Arcangelo Gabriele (Fabio Balsamo).
Forse sarebbe meglio sbarazzarci di una vocale e chiamarlo Gabriel. Parla infatti italiano ma con inflessione spagnoleggiante, non va spoilerato troppo il motivo ma fa tutto molto ridere, adora Tiziano Ferro, ha un’estetica da età del jazz corretta da una spolveratina di Old Hollywood, è vanesio, eccentrico, megalomane ma empatico nei confronti della protagonista e dei suoi bisogni. Gabriele arriva a casa di Marta vestito di tutto punto, condito di un paio di ali enormi (semine piume dappertutto) che fanno a pugni con la metratura del soggiorno, le case moderne sono un po’ un problema per un arcangelo scrupoloso sul lavoro. Gabriele raggiunge Marta per annunciarle una gravidanza.
Marta, però, non ha le idee chiare. Non è pronta a dare una risposta immediata, chiede tempo e lo ottiene. Beata te è la storia di due settimane, come da protocollo in casi del genere, da vivere in compagnia dell’Arcangelo/orologio biologico prima di prendere una decisione definitiva: figlio sì, figlio no. Se Marta è indecisa, altrettanto non si può dire della gente che le sta intorno. La pressione sociale si fa sentire in ogni modo: dalla mamma che ovviamente muore dalla voglia di avere un nipotino, all’esempio incosapevole delle tante amiche e compagne di strada. Ognuna di loro, da Emma (Elisa Di Eusanio) che una bambina ce l’ha ed è un po’ sotto stress, a Ilaria (Valentina Correani), che invece è l’incarnazione della vita da single dura e pura, sbatte in faccia a Marta diverse soluzioni per lo stesso problema. Che non è la maternità, piuttosto il diritto-dovere di ogni donna di definirsi in autonomia e in pace. La vita di Marta insieme a Gabriele è un bel caos. C’è pure uno spettacolo da portare in scena.
Realismo e fantasia, questa la combinazione di Beata te
Amleto e i suoi dubbi. Il teatro è il fantasma ingombrante di Beata te. È la professione della protagonista, l’origine del progetto film e tante altre influenze più o meno sotterranee. Il dubbio amletico di Marta è essere o non essere madre ma le realizzatrici, che la produzione è interamente femminile e questo è più di un semplice valore produttivo, ci tengono a farci sapere, a ragione, che non si può ridurre l’esistenza di una donna a questa sola dimensione biologica. La sfida della protagonista è di confrontarsi con una parola universale, felicità, una parola che, presa da sola, non significa un bel niente, per calarla in un contesto particolare, il suo contesto. E adattarla alle sue necessità. La morale della favola di Beata te non riguarda tanto l’essere o non essere madre. Piuttosto è importante avere il coraggio di fare una scelta. Rimanendo completi/e nelle proprie imperfezioni anche dopo.
Il testo teatrale da cui il film origina, molto divertente, spiegano Lisa Nur Sultan e Carlotta Corradi, ha una struttura e ambizioni tematiche che poco si sposano con le necessità e le convenzioni di una commedia. La soluzione delle sceneggiatrici, d’accordo con Paola Randi, è di posare un fondo di leggerezza su un tema importante, serio, puntando sull’effetto superficiale (termine da non intendere in senso critico) e la risata piuttosto che sullo scavo in profondità della realtà osservata. Il modo più immediato ed efficace di riuscirci è guardare alle scintille generate dalla frizione tra i caratteri diversissimi dei due protagonisti. Tra una Serena Rossi quotidiana, moderna e felicemente insicura e la surrealtà adorabile dell’Arcangelo Fabio Balsamo.
D’altronde il gioco di Beata te consiste principalmente nel tenersi in equilibrio tra gli estremi. Film realistico e fantastico, divertente ma con un pizzico di malinconia, un po’ come la Roma catturata dall’immagine, monumentale e quotidiana. La coerenza del progetto deriva anche dalla capacità dei protagonisti, una chimica forte, di raccogliere tutti questi impulsi e restituirli con brio e umanità (vale anche per un arcangelo). La forma, l’ideologia e il respiro sono quelli della commedia, della leggerezza condita di umorismo. Beata te ha un buon ritmo, non cerca il messaggio edificante e non va mai, deliberatamente, troppo oltre. Punta sulla qualità di una buona scrittura e una regia frizzante per offrire un intrattenimento veloce ma non banale, anche se talvolta, un esempio la satira delle app di dating che suona un po’ datata, non originalissimo.