Venezia 79 – Amanda: recensione del film di Carolina Cavalli

La recensione dell’opera prima di Carolina Cavalli con Benedetta Porcaroli, Galatéa Bellugi e Giovanna Mezzogiorno. Nelle sale dal 13 ottobre 2022 con I Wonder Pictures dopo le anteprime ai festival di Venezia e Toronto.

Per entrare in sintonia e apprezzare un film come Amanda bisogna prima di tutto accettarne le regole d’ingaggio, pena l’allontanamento repentino da una fruizione che potrebbe tramutarsi ben presto in uno stillicidio, tipo quello che l’esigente platea degli addetti ai lavori e degli accreditati alla Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica è solita riservare a quei prodotti poco graditi. L’opera prima di Carolina Cavalli, che alla kermesse lidense è stata inserita nella sezione Orizzonti Extra, diventando di fatto l’unico titolo battente bandiera italiana a prendere parte contemporaneamente ai Festival di Venezia e Toronto prima dell’uscita nelle sale nostrane con I Wonder Pictures il 13 ottobre 2022, è una di quelle pellicole che se non compresa e approcciata dal verso giusto rischia seriamente di finire nel tritacarne.

Amanda è un’opera che si allontana volutamente dagli stilemi e dai canoni della commedia classica e nazionalpopolare made in Italy

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Motivo per cui quello in questione è un film che necessita di un’apertura mentale e di una certa disponibilità al dialogo tra mittente e destinatario, con il primo che ha dato forma e sostanza a un’opera che si allontana volutamente dagli stilemi e dai canoni della commedia classica e nazionalpopolare made in Italy. Ed è questo l’aspetto che maggiormente abbiamo apprezzato di un’operazione che con coraggio prova a prendere le distanze da quella che può considerarsi una comfort zone, per strizzare l’occhio a quelle dramedy dal forte retrogusto indie provenienti da oltreoceano. Insomma, esattamente quel genere di commedie fuori dagli schemi e sopra le righe, dallo humour sottile e al contempo urticante, che si è soliti incontrare ad esempio nelle line-up del Sundance. Commedie, queste, che possono piacere e non poco agli alternativi da una parte e fare storcere il naso ai conservatori e tradizionalisti dall’altra. Ecco perché Amanda a causa del suo DNA e per le scelte di chi l’ha concepita sin dalla fase di scrittura, è un’opera destinata a dividere.

Un romanzo di formazione sui generis e su di tono che affronta le tematiche chiave del filone in questione

Chiarito questo è finalmente possibile immergersi con lo spirito giusto nella visione di Amanda, nella quale l’esordiente regista milanese racconta le vicissitudini quotidiane di una ventiquattrenne di buona famiglia che vive nella piena apatia, in cerca di affetto e di amicizie per animarla e uscire una volta per tutte fuori dal guscio. Quando trova tutto questo in una compagna di vecchia data di nome Rebecca con la quale aveva perso i contatti da tempo, che come lei vive isolata, priva di stimoli, disillusa e nella noia più totale, la ragazza proverà a riconquistarla e a convincerla che sono ancora migliori amiche. Con questo romanzo di formazione sui generis e su di tono, la Cavalli affronta le tematiche chiave del filone in questione, a cominciare dalla ricerca dell’identità e del proprio percorso sentimentale e affettivo. Lo fa pedinando giorno e notte, tra le mura sontuose di case, la piscina in giardino, delle stalle, dei motel di quarta categoria, dei bar malconci di periferia e i cessi pubblici dei rave, un personaggio che cinica e apatica quanto basta si muove come narcotizzata in cerca disperata di se stessa e di esistenze con le quali proseguire il percorso di vita, per sentirsi amata e anche un po’ meno sola.

Amanda ci propone una Benedetta Porcaroli e una Giovanna Mezzogiorno in una chiave inedita

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A dare corpo e voce ad Amanda una Benedetta Porcaroli inedita, che esplora colori diversi della tavolozza interpretativa rispetto a quelli con i quali ha tinteggiato la sua carriera sino ad oggi. Così come risulta una piacevole sorpresa la performance di Giovanna Mezzogiorno, anche lei presentatasi davanti la macchina da presa in una veste mai affrontata in precedenza, qui impegnata in un’altra delle sue rare apparizioni sullo schermo nei panni di una madre naïf e svampita. Entrambe si prestano al gioco, mettendosi al servizio del film e dei messaggi dei quali si fa veicolo.

Tra le maglie del racconto, sotto la superficie del coming-of-age, scorre nemmeno troppo sotterranea una scia di riflessioni sui giorni nostri e una critica alla borghesia

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Tra le maglie del racconto, sotto la superficie del coming-of-age, scorre nemmeno troppo sotterranea una scia di riflessioni sull’incomunicabilità dei giorni nostri, la difficoltà costante a un avvicinamento emotivo non solo virtuale della nuove generazione, la disillusione e il disinteresse di queste nei confronti del futuro e di ciò che le circonda, ma anche sul bisogno epidermico di amare ed essere amati tanto fuori che dentro le mura domestiche. Riflessioni alle quali, la regista aggiunge un palese quanto diretto attacco rivolto alla borghesia, che sottopone costantemente al fuoco incrociato delle battute sarcastiche e delle reazioni allergiche e ostili della protagonista. Certo non siamo al cospetto di una critica feroce e devastante, che lasciamo a chi come Luis Buñuel ha saputo infliggere fendenti al cuore della borghesia, ma quella firmata dalla Cavalli ha comunque qualcosa di interessante da dire a riguardo.            

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.9