Venezia 75 – A Tramway in Jerusalem: recensione

A Tramway in Jerusalemn racconta dei costumi e dei problemi del paese attraverso i passeggeri di un mezzo pubblico.

Amos Gitai è israeliano. È un regista, un attore, uno sceneggiatore. Originario di Haifa, l’autore ha dedicato spazio ai luoghi delle sue radici durante il corso della sua carriera, parlando del suo luogo natale nel film della trilogia delle città Giorno per giorno (1998), preceduto dall’opera su Tel Aviv L’inventario (1995) e venuto prima del film conclusivo Kadosh (1999), ambientato a Gerusalemme.

Ed è proprio la capitale d’Israele a tornare protagonista nel suo ultimo lavoro presentato Fuori Concorso alla 75ª edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, un’opera sulla società che popola la città e, soprattutto, i suoi mezzi pubblici. È dal titolo A Tramway in Jerusalem il viaggio girato interamente all’interno di un tram (o nelle sue fermate) come una serie di attimi rubati, piccole tratte che possono riempirsi di parole e dare un quadro della situazione di una capitale, rintracciandone i disagi e le speranze.

A Tramway in Jerusalem – Il viaggio in tram della società odiernaa tramway in jerusalem cinematographe

Riportando ogni volta un grande orario in bianco su di uno schermo completamente nero, A Tramway in Jerusalem vive delle persone che varcano la soglia del mezzo di trasporto, che di volta in volta – anche ripetendosi e riprendendo dal punto in cui si erano interrotte – mettono in scena situazioni ideali a cui chiunque può assistere mentre torna a casa, mentre si reca al lavoro, mentre si dedica puramente alla visita e alla scoperta delle strade di Gerusalemme. Preti, madri apprensive, tifosi di calcio, giovani donne con i loro problemi amorosi: una fauna varia per ogni tipologia di approccio narrativo che il regista e sceneggiatore – alla scrittura dell’opera insieme a Marie-José Sanselme – ha voluto dare alle storie.

Un’ottima trovata quella di Amos Gitai: poter esprimersi sulla città di Gerusalemme creando l’illusione che siano le persone della città stessa a parlare. Un collage di momenti che si succedono a mano a mano, giungendo tutti al completamento di un film che attraversa una serie sostanziosa e importante di temi. Dalla religione alla letteratura, dalla vita quotidiana alle diverse tradizioni, il tram guidato da Amos Gitai è la convivenza di un paese che racchiude al suo interno cristianesimo e islamismo, palestinesi e israeliti, in un bilanciarsi non ancora del tutto compiuto e di cui il film mostra anche le fratture che lo dividono.

A Tramway in Jerusalem – Un mezzo di trasporto che non va sempre nella giusta direzionea tramway in jerusalem cinematographe

E tramite il passaggio per i quartieri di Gerusalemme, parole e suoni delineano la storia e la cultura di un Paese, non riportandone soltanto i costumi locali, ma volendo puntare anche sull’aggiunta di un’emotività più personale, rendendo i racconti dei passeggeri qualcosa che li riguarda personalmente e, per questo, riflettendo una sorta di intimità. Storie con in sottofondo le note del jingle per annunciare le fermate, un aprire e chiudersi di porte che può rivelare sempre qualcosa di nuovo.

L’idea di Amos Gitai ha dunque le potenzialità per mostrarsi come un riflesso reale di una comunità, ma il film si appesantisce quando non si va più usando la tecnica dei siparietti – più o meno comici, più o meno seri – incisivi per l’arguzia e la velocità utilizzata, ma si dilunga con brani estratti dalla Bibbia o dalla bibliografia mondiale, puntando quindi più sul discorso in quanto tale che sull’omogeneità dell’opera. Un equilibrio che in quegli attimi crolla, soffocato dalle pareti del tram protagonista, che ritorna a respirare con gli episodi successivi. Un biglietto per salire a far parte di un film che ripropone l’immagine attuale di Israele, da cui però si ha più volte la tentazione di voler scendere.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2