FEFF 2021 – 800 eroi: recensione del blockbuster cinese

Nel 1937, un reggimento della Resistenza cinese formato da 800 soldati viene inviato a Shanghai a difendere il forte Sihang, ultima roccaforte prima della resa nei confronti dell'esercito imperiale giapponese. Una missione suicida, ma dall'alto valore simbolico...

800 eroi (titolo internazionale: The Eight Hundred) di Guan Hu si presenta al pubblico italiano – in anteprima al Far East Film Festival di Udine, e poi in sala a partire dal 25 giugno – preceduto da una roboante fama. Si tratta infatti del primo film cinese girato interamente in IMAX, un blockbuster da 80 milioni di dollari che in patria ne ha incassati ad oggi 390. Con corollario di misteri e polemiche: pare infatti che la ferrea censura asiatica abbia bloccato la pellicola per oltre un anno, a causa di una visione troppo “morbida” dell’esercito giapponese e delle sue maestranze. Nulla che non ne abbia poi alimentato il mito, con la vietatissima ricerca da parte dei cinefili più accaniti dei 13 minuti epurati dalla versione finale.
Siamo dalle parti del patriottismo più intransigente, quello che rende – o dovrebbe rendere – una popolazione fiera della propria appartenenza: l’azione si svolge nell’ottobre del 1937, in piena guerra sino-nipponica, e Shanghai cade nelle mani del nemico. Al 524° Reggimento dell’Esercito Rivoluzionario viene ordinata a questo punto una missione suicida: occorre difendere il Sihang Warehouse, un edificio di sei piani di proprietà delle quattro maggiori banche cittadine, fino alla morte. I giapponesi non possono rischiare di sganciare bombe perché il magazzino si trova in riva al fiume, proprio di fronte alla Concessione britannica, e lanciano quindi una serie di estenuanti attacchi furtivi.

800 eroi: una fragorosa epopea di guerra

800 eroi - Cinematographe.itCome nella maggior parte dei film militari cinesi, il coinvolgimento emotivo è limitato dall’esaltazione dello sforzo di gruppo rispetto all’eroismo individuale, a prescindere da tutti i sacrifici sanguinosi messi ripetutamente in mostra. Che si tratti di veterani brizzolati, patrioti convinti, disertori timorosi e civili non addestrati, nessuno merita il centro della scena, in confronto al grande olocausto collettivo. Persino i personaggi che sembrano intesi come surrogati del pubblico, come i due fratelli Zhang e Ou coinvolti negli eventi mentre fuggono dalla loro provincia settentrionale invasa, cadono nel dimenticatoio narrativo o vengono uccisi bruscamente.

Questo non significa che 800 eroi sia un film asettico e freddo, anzi: la cura del dettaglio è straordinaria e il dinamismo delle scene d’azione lascia senza fiato. Visivamente, l’opera di Guan è articolatissima e più che soddisfacente, anche se a pagarne le conseguenze è una narrazione qua e là ben poco credibile, fondata su iperboli impossibili da verificare storicamente (come la sequenza della bobina da portare da una parte all’altra del ponte, sotto il fuoco del nemico). Il risultato alla fine – soprattutto per uno spettatore “neutro” lontano dal fervore che anima la vicenda – è più estenuante che entusiasmante, ma non si può negare che l’imponente realizzazione tecnica richieda attenzione dall’inizio alla fine.

“Quando sarò polvere, mi vedrai sorridere…”

800 eroi - Cinematographe.itParagonato a 1917 di Sam Mendes e a Dunkirk di Christopher Nolan, 800 eroi ricalca in effetti il medesimo tipo di climax drammatico e di “elegia della sconfitta”. I personaggi – di cui poi, come già sottolineato, ci si sbarazza troppo facilmente – sono costantemente costretti a fare delle scelte e a forgiare i propri codici di moralità: gli ufficiali devono decidere se obbedire agli ordini o fare la cosa più onorevole, i codardi sono combattuti tra fuggire o avvisare i compagni del pericolo, i civili devono scegliere tra portare aiuto o stare lontani dal fuoco incrociato. E così, mentre a nord del fiume si consuma la nobile tragedia e a sud la vita nelle Concessioni prosegue in un’atmosfera sfavillante e piena di luci, si sprecano dialoghi e immagini fortemente metaforici, come l’apparizione di un cavallo bianco a rappresentare l’immolazione dei giusti.

Ed è forse proprio la fotografia di due mondi separati da un canale, uno intriso di sangue e l’altro che gode dell’impunità diplomatica, l’elemento più efficace del film, in quanto simbolo delle divisioni sociali tutt’ora presenti nella Repubblica Popolare Cinese. Se è facile immaginare il pubblico asiatico galvanizzato dall’eroismo e dall’impetuosità del racconto (“Se fossimo tutti eroici come loro, i giapponesi non avrebbero scampo”), colpito nell’orgoglio da una Resistenza strenua e coraggiosa fino al martirio, resta in verità difficile riuscire a capire come un blockbuster bellico cinese di due ore e 30 minuti (che esce in Italia in piena estate) possa avere un pubblico di riferimento oltre i propri confini. Ma questo è un problema distributivo che esula ovviamente dalla qualità o meno del film in sé.

Regia - 4
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 3

3.5