Tulsa King: recensione della serie con Sylvester Stallone

Sylvester Stallone capo mafia in esilio in Oklahoma. Tulsa King, su Paramount+ dal 25 dicembre 2022 con i primi due episodi, è narrazione gangster, umorismo e azione.

Due buoni motivi per cui vale la pena di sottolineare che Tulsa King è disponibile su Paramount+ Italia con la prima coppia di episodi a partire dal 25 dicembre 2022, poi uno a settimana fino al gran finale (sono dieci in tutto). Il primo è che la serie, creata da Taylor Sheridan (Yellowstone) e con showrunner Terence Winter, sodale di Martin Scorsese e creatore di Boardwalk Empire (ve la ricordate?), è stata immediatamente rinnovata per una seconda stagione. Rinnovo col brivido, però. Secondo motivo, più importante e più interressante, è che con Tulsa King il format in questione accoglie un protagonista davvero speciale. Ha resistito più a lungo degli altri, ma alla fine anche Sylvester Stallone ha finito, consapevolmente, per cadere nella tela del ragno (seriale). Completano il cast Andrea Savage, Jay Will, Martin Starr, Max Casella e Garrett Hedlund.

Tulsa King: la vita in esilio e la banda di Dwight Manfredi

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Come si convince una leggenda di Hollywood a fare il grande passo? Puntare su una proposta del tipo “mix di sapori”, è un modo. Tulsa King è serialità di genere (gangsteristico), umorismo, moralità in bilico, credenziali action molto solide, introspezione e un pizzico di malinconia. Dwight Manfredi (Sylvester Stallone) è un capo della mafia di New York che, dopo essersi fatto 25 anni in galera senza fiatare, come ricompensa viene spedito dai superiori in una sorta di esilio-mascherato-da-incarico-serio in Oklahoma. A Tulsa per la precisione, lontano mille miglia da qualunque cosa significhi per lui la parola casa.

Dwight da casa manca da tanto, troppo tempo, Tulsa è qualcosa di molto diverso. Per un professionista del crimine di New York, terra vergine, inesplorata, carica in egual misura di promessa e di minaccia. Senza perdersi d’animo, l’uomo fa comunque del suo meglio e comincia a costruire il suo impero criminale, un mattoncino (gangster) dopo l’altro. Cominciando con Tyson (Jay Liss), ex tassista e d’ora in poi autista e braccio destro, con evidente sconcerto della famiglia. Bodhi (Martin Starr) che ha un curriculum, diciamo così, stupefacente, supporto finanziario. Poi c’è Armand (Max Casella) una vecchia conoscenza di Dwight con cui, superate le iniziali incomprensioni, è bello lavorare di nuovo insieme. Mitch (Garrett Hedlund), il barista con un passato. Soprattutto, Stacy (Andrea Savage).

Stacy è una boccata d’aria fresca nella vita di Dwight; quel tanto di calore umano, la speranza di un contatto vero. Un sentimento nato accumulando un equivoco dietro l’altro; lei non afferra subito l’età di lui, quando capisce come stanno le cose si spaventa, ma non c’è gap anagrafico che tenga. Lui invece non si preoccupa di informarsi sul lavoro della donna. Stacy è un’agente dell’ATF, il Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives, il che aggiunge vibrazioni shakespeariane sul fondo di questo amore (?) contrastato. Nella vita di Dwight non c’è spazio solo per il business degli spargimenti di sangue. C’è la famiglia, quella vera. Soprattutto, a New York, una figlia tenuta volontariamente lontana per gran parte della sua vita con cui provare a ristabilire un rapporto, se possibile ricostruirlo. Ma forse è troppo tardi.

Tre diverse famiglie da gestire per un Sylvester Stallone in versione mattatore

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Dwight Manfredi ha un concetto di famiglia molto, molto forte. In effetti, tutto quello che succede a lui, per estensione tutto quello che capita in Tulsa King, è questione di famiglia. Dwight ne ha tre di cui occuparsi. La famiglia malavitosa che lo usa, se ne disfa appena ne ha l’occasione ma continua a influenzarne ogni mossa, dettando legge nel lavoro e nel privato. La famiglia originale, il richiamo del sangue, che se ne sta ai margini, nella terra del rimpianto. E quella nuova, costruita strada facendo a Tulsa, irregolare, a suo modo moderna e anche molto complicata. Tulsa King è la storia di un uomo costretto a pensare al tempo che passa, a misurare lo scarto tra ciò che può essere recuperato e ciò che invece è perso. Ricostruirsi, nella professione e nella vita privata, è un modo di assestare la propria identità. Non il meccanismo narrativo più originale.

Problema relativo, perché Taylor Sheridan e Terence Winter conoscono il modo di bilanciare la tendenza della storia a battere sentieri noti puntando su due elementi, se non di novità, comunque rinfrescanti. In primo luogo, una bella dose di ambiguità morale. Tulsa King è, letteralmente, la storia del serpente all’assalto del giardino dell’Eden; il focus professionale del protagonista è abitare una realtà vergine nei confronti di un certo tipo di impresa criminale, occupandola con la sua particolare forma di corruzione. Una soluzione interessante, almeno nei primi episodi lasciata correre con eccessiva noncuranza. Poi c’è la questione dell’umorismo. La serie diverte, anche quando si infila in vicoli bui, dal punto di vista, appunto, dell’etica o della rappresentazione della violenza.

L’umorismo stempera le asprezze di Tulsa King, protegge quel tanto di originalità che una premessa di questo genere può ancora conservare, consentendo agli attori di abitare personaggi e caratteri con relativa tranquillità. Ecco, se c’è una cosa che salta all’occhio, di questa prima parte di Tulsa King, non giungerà al lettore come una novità, è che la serie è costruita su, per e con Sylvester Stallone. Mattatore incontrastato, nelle pieghe del racconto trova il modo di confrontarsi con il proprio retaggio (action) leggendario, offrendo al pubblico il ritratto di una fisicità appesantita dagli anni ma non ancora al tappeto, per usare un’analogia pertinente. Tulsa King è una serie “nobilitata” da Sylvester Stallone, bastano il carisma e la disponibilità dell’attore a offrirsi in maniera intelligentemente autoironica a nascondere alcuni difetti di un’operazione nel complesso strutturata e gradevole.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.6