La Casa di Carta 5 – Parte 2: recensione della stagione finale

La Casa di Carta 5 - Parte 2 segna la fine della serie TV Netflix con un finale che calza a pennello e un cast che si fa uno col pubblico. Recensione!

È arrivato il momento. La Casa di Carta è giunta al termine. Sono passate 5 stagioni e nel bene e nel male la serie creata da Álex Pina ha segnato la serialità contemporanea. Fin dal primo episodio del secondo volume della quinta stagione, arrivato su Netflix il 3 dicembre 2021, si comprende che questo è un capitolo particolare, che ha un valore particolare: lo stile è epico, il dramma si evince dalla musica, dal tono di voce ieratico e doloroso di Tokyo (Úrsula Corberó) che continua ad essere narratrice di questa storia. Il senso di questi cinque episodi di cui è composta l’ultima parte di questo volume è quello di mostrarci se la banda del Professore (Álvaro Morte) ce la farà di nuovo o se fallirà, se lui e i suoi ragazzi saranno in grado di salvarsi ancora o se moriranno come Tokyo appunto.

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La Casa di Carta 5 – parte 2: un finale metafora del rapporto tra la serie e il pubblico

Denver: “Tokyo è morta?”
Stoccolma: “Tokyo è morta”

Una morte che ha un senso e un valore, quella di Tokyo è una dipartita che cambia le carte in tavola, che distrugge il pubblico e anche tutta la banda da chi è rinchiuso nella Banca al Professore. Piangono disperati, urlano tutto il loro dolore: Tokyo è una di loro, Tokyo è una combattente che ha fatto qualsiasi cosa per la causa, è forte, coraggiosa. Si è sacrificata per amore, per loro, si è immolata in modo che gli altri riuscissero a salvarsi. Tokyo non è mai stata un personaggio come gli altri, ha dato forma alla serie, l’ha narrata, quindi la sua morte continua ad essere punto centrale anche negli ultimi cinque episodi, sarà ossessione di tutti, da Rio (Miguel Herrán) al Professore.

Il secondo volume della stagione finale è metafora della esperienza dello spettatore; Pina, insieme al suo team, celebra il pubblico e il rapporto che quest’ultimo ha avuto con lo show. Da dentro la Banca Lisbona (Itziar Ituño) e Rio vogliono dare un messaggio a chi li ha seguiti e in quelle parole c’è una chiara metafora della fine non solo del colpo ma anche della serie.

“Da oggi non siamo più qualcuno da seguire, acclamare, applaudire”
Lisbona con le lacrime agli occhi dice ai seguaci che Tokyo è stata una grande guerriera, che lei ha amato più di tutti gli altri, Rio prosegue dicendo che non usciranno mai da lì  e infatti per il pubblico ciascuno di loro indosserà per sempre la tuta rossa.
Rio: “Chiediamo alla grande marea rossa…di tornare a casa”
È un discorso che inevitabilmente ha un impatto forte e potente, addirittura commovente. Commozione per commozione, quella dei personaggi e degli attori, lacrime per lacrime, quelle dei seguaci della banda e quelle del pubblico, soprattutto quando la marea rossa – noi, il pubblico – risponde: “Noi non ce ne andiamo”.

L’oro, divinità pagana, per cui tutti combattono

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Tokyo: “Gli astrofisici dicono che quasi tutto l’oro che c’è sulla Terra è arrivato quattro miliardi di anni fa con una pioggia di meteoriti. Forse per quell’arrivo così violento è sempre stato un metallo maledetto. Per nient’altro si è ucciso così tanto come per il metallo della proposto di matrimonio. Pe nessuno si è generato tanto dolore, tanta follia.”

Pina torna al punto: questo è prima di tutto il racconto di una rapina alla Banca di Spagna. Il Professore e la sua banda hanno lavorato per portare fuori dalla banca quelle tonnellate d’oro ed è proprio l’oro diventa centro di tutto. Fonderlo e rifonderlo ancora, linghotti su linghotti, intorno a queste azioni ruota l’ultima tappa di questo viaggio. Non si tratta solo di un mezzo narrativo per portare avanti la storia, qui diventa qualcosa in più, di puntata in puntata emerge quanto sia parte di un sistema economico, con una sua quotazione – lo si comprende soprattutto nell’ultimo episodio -, che condiziona molti aspetti umani, sociali, politici.

Tokyo nelle sue parole lo evidenzia, è qualcosa di atavico, una forza costruttiva e distruttiva del mondo, una spinta per cui si combatte, per cui si difende. Il Professore ha scelto questi ragazzi perché avevano bisogno di questo danaro, simbolo di una rinascita, motivo per guardare al futuro con occhi nuovi. Per il linghotto La Casa di Carta si fa ancor di più divisione tra banda e polizia, eroi in tuta e esercito, eppure ad un certo punto sembra che tale divisione perda di valore, e inevitabilmente lo spettatore sa già da che parte stare.

Tokyo: “Sono un nome in più in questa lista di morti in cui solo il metallo dorato sopravvive. Perché quando tutto il resto marcisce, l’oro rimane intatto”

Le persone muoiono, sia di uno che dell’altro schieramenteo, cadono sotto i colpi, sotto le bombe invece il Metallo, divinità pagana rimane intatto. Quasi come il Sacro Graal diventa un materiale canto della Sirena che chiama e richiama i persoanggi che fanno qualunque gesto per ottenerlo.

La Casa di Carta 5 – Parte 2: una guerra in cui non ci sono né buoni né cattivi

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Rio: “In guerra i buoni non esistono”

Dentro la Banca di Spagna la banda ha subito gravi perdite ma, nell’ultimo fragoroso e violentissimo scontro, anche l’esercito ha perso uomini e dunque sia gli uni che gli altri devono ritovare il punto. La squadra dentro, il Professore fuori, l’esercizio dentro, la polizia del colonnello Tamayo fuori; la situazione dell’una e dell’altra parte è speculare. E poi, come tiratrice libera, c’è Alicia Sierra (Najwa Nimri), donna fortissima, coraggiosa, odiata addirittura, è lei la variabile. Ci si può fidare di lei? Da che parte stara? Dovra scegliere subito con chi stare. Nel primo episodio di questa seconda parte riesce a scappare perché il Professore si sta disperando per la morte di Tokyo, nessuno, neppure Marsiglia la sta osservando, può fuggire. La scelta sarà una sola e la tensione sarà fortissima.

Palermo: “Non esistono schieramenti giusti all’inferno”

Con queste palore Palermo (Rodrigo de la Serna) scrive una delle frasi simbolo di questa serie. In guerra tutto è concesso e ancora una volta La Casa di Carta mostra proprio questo, quando si è sprofondati nell’oscurità, quando si rischia di morire, tutto si mescola e non c’è una linea netta che divida le cose, le persone, l’ideologia. Il finale di questa stagione è proprio per questo potentissimo, nel luogo in cui le regole non esistono vale qualunque cosa e il Professore questo lo sa.

L’uomo, pieno di tutti i sensi di colpa del mondo, cerca di rialzarsi, di riprendere le forze e ricominciare a pensare. Il suo chiodo fisso è: già tanti sono morti, non possono morire altre persone ancora e quindi per mettere in pratica questo principio colui che è stato spesso, soprattutto all’inizio, nell’ombra deve scendere in campo per davvero, in carne ed ossa. Deve parlare con il nemico, deve scendere a patti con chi fino a ieri era dall’altra parte della barricata. Fino a che punto può arrivare, cosa può creare la sua mente? Forse nell’imponderabile, forse può arrivare a creare un progetto impossibile. Elementi importanti sono qui la suspense e la tensione che raggiungono livelli altissimi anche se come spesso capita lo spettatore deve sospendere l’incredulità perché sta tutto qui La Casa di Carta.

L’epica dei sentimenti nella serie TV Netflix

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Tokyo: “Dicono che quando qualcuno muore in modo tragico il suo spirito resti per un po’ dove ha perso la vita e che a volte, per pochi secondi, i vivi possono sentire i morti che hanno amato. E Rio l’ha sentito”

Oltre ad essere una serie di rapina, con regole, strategie, piani e alternative, è anche una narrazione spietata e struggente sulla forza contraria alla guerriglia, cioè l’amore, quello di Rio e di Tokyo che prosegue nonostante tutto attraverso quella porta magica di cui la donna ha parlato al ragazzo (da lì le persone che non ci sono più e quelle ancora in vita possono comunicare, parlarsi, farsi sentire), anche nonostante la morte, quello di Stoccolma (Esther Acebo) e Denver (Jaime Lorente) che deve ritrovare il proprio centro, quello di Lisbona e il Professore. Questi personaggi che, senza la rapina, non si sarebbero mai incontrati, sono qui più uniti che mai anche se si fanno del male, anche se si tradiscono, anche se mentono l’uno all’altra.

Questo secondo capitolo entra nel ventre molle del loro dolore, delle loro paure, delle loro fragilità, si parla di sentimenti e di identità perse e disperate. Ci si sacrifica per chi si ama, ci si butta nel fuoco per salvare il fratello o la sorella, tutti loro sono una famiglia che respira, vive, sente all’unisono. Il mondo violento e selvaggio viene reso più sopportabile dalla vicinanza dell’altro/altra: c’è Rio che continua a vivere con uno squarcio nel petto, la perdità di Tokyo gli ha spezzato il cuore, c’è Denver che è profondamente confuso, teme di non amare più la sua Stoccolma che a sua volta teme di essere preda di una crisi psicotica, ci sono poi Lisbona e il Professore che, come loro stessi dicono, litigano solo quando organizzano una rapina. E poi c’è Sierra che, solo ora, si sta aprendo allo spettatore, parla con il Professore della solitudine in cui è vissuta, piange addirittura perché si sente persa, vorrebbe un po’ di normalità – o almeno fingere che possa esistere – dopo tanta guerra.

Pina per dare tempo e spazio a tutti i personaggi spezza la storia di oggi con quella di ieri con molti flashback che mostrano qualcosa di più degli eroi e non si può non sentire un po’ di tristezza per il viaggio che sta volgendo al termine. Uno dei momenti più importanti è quello dedicato a Berlino (Pedro Alonso) – questi accenni sono fatti per lo spin-off di La Casa di Carta -, si passa dai primi passi per organizzare una rapina al rapporto con la moglie, Tatiana, e il figlio. Questi ritorni al passato fanno comprendere che anche lui ha un cuore, inciampa perché le sofferenze possono mettere in ginocchio addirittura chi appare come una statua di orgoglio e cinismo. In questi episodi emerge chiaramente il motivo per cui lui e il Professore sono i delinquenti che sono, perché sono ladri di mestiere, perché l’uno è così crudele e freddo e l’altro un nerd tanto rigoroso quanto impaurito dalla vita e dai sentimenti.

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La Casa di Carta 5 – Parte 2: il giusto finale per una serie che in un modo o nell’altro ha segnato un’epoca

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Quest’ultimo capitolo è un perfetto atto conclusivo di una serie che ha vissuto di alti e bassi. La Casa di Carta, serie iperbolica e simbolica, ha dato con questo ultimo volume un perfetto addio al pubblico, brilla di lacrime e sorrisi, di canti e di follia, di tute e maschere. Quella che sembrava essere solo una lotta partigiana contro i potenti, i poteri forti, la dittatura delle banche e dei governi diventa un racconto degli ultimi, degli emarginati che cercano di superare gli ostacoli, combattere per la verità. Non ha sempre convinto pienamente in questi anni per il suo caos, per la sua voglia di raccontare mondi così distanti, con questi ultimi episodi ha concluso un’era nel miglior modo possibile, con molta coerenza, dando il giusto peso a ciascun personaggio senza dimenticare nulla. La cosa più sensata da fare per non sentire la mancanza di questi ragazzi e di queste ragazze è tenere in mente quella porticina e pensare tutti lì, in un limbo tra la Zecca dello Stato e la Banca di Spagna, lì dove tutto è possibile mentre fondono l’oro e cantano Bella ciao.

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Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8