Avatar – La leggenda di Aang: recensione della serie live-action Netflix

La recensione dell’atteso remake in live-action dell’acclamata serie animata targata Nickelodeon, disponibile su Netflix dal 22 febbraio 2024.

C’è sempre una grandissima attesa mista a curiosità ad accompagnare l’uscita di progetto che nella sua precedente vita, qualsiasi essa sia stata, ha lasciato il segno nei fruitori di allora e anche nell’immaginario. È il caso di Avatar: The Last Airbender, l’acclamata serie animata ideata da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko in onda su Nickelodeon dal 2005 al 2008, con tre stagioni per un totale di 61 episodi, che ha conosciuto una fama planetaria tale da portare poi alla creazione negli anni successi di un sequel animato (La leggenda di Korra), di una saga a fumetti e di graphic novel altrettanto fortunata in termini di riscontri e persino di un film live-action con la regia di M. Night Shyamalan (L’ultimo dominatore dell’aria) che suo e nostro malgrado si è rivelato purtroppo un clamoroso disastro. La pellicola infatti ottenne il maggior numero di candidature ai Razzie Awards 2010, vincendone cinque, tra cui quello per il peggior film, spingendo il cineasta statunitense e i produttori ad abbandonare l’idea di realizzare una trilogia. Quel tentativo non andato a buon fine di portare sullo schermo un adattamento con attori in carne ed ossa non ha però scoraggiato Netflix, che sull’onda del successo di One Piece, ha voluto ritentare la sorte ed ecco che ha fatto finalmente la sua comparsa sulla piattaforma il 22 febbraio 2024 un nuovo remake in live-action, stavolta in chiave seriale (8 episodi da 60 minuti circa cadauno), battezzato Avatar – La leggenda di Aang.

Avatar – La leggenda di Aang è un remake in live-action che lascia l’amaro in bocca

Avatar - La leggenda di Aang - cinematographe.it

Trasporre un’opera così amata era già di per sé un gigantesco salto nel buio e il flop ottenuto da un cineasta del calibro di Shyamalan con il lungometraggio del 2010 poteva e doveva essere letto come un campanello d’allarme, che a quanto pare è stato ignorato e con esso tutti i potenziali rischi del caso. Del resto abbiamo visto tutti come sono andate a finire malamente altre operazioni analoghe come quelle delle trasposizioni in live-action di Dragon Ball piuttosto che de I Cavalieri dello Zodiaco. Riprova che non tutte le ciambelle escono con il buco e che esistono esperienze indimenticabili che non possono essere replicate. Ed è quanto accaduto anche ad Avatar – La leggenda di Aang, la cui prima stagione della serie targata Netflix, nonostante sia balzata immediatamente nelle prime posizioni della top ten probabilmente sull’onda della curiosità degli abbonati, ha lasciato in chi l’ha vista tutta d’un fiato come noi un fortissimo amaro in bocca, quel sapore inconfondibile dell’occasione gettata al vento. Eppure le premesse per fare bene – o quantomeno meglio di così – c’erano tutte, a cominciare dalla presenza nei credits di Albert Kim (Il mistero di Sleepy Hollow, Nikita) nel ruolo di showrunner, produttore esecutivo e sceneggiatore, di Jabbar Raisani (Lost in Space, Stranger Things) e Michael Goi in quello di registi insieme alle colleghe Roseanne Liang e Jet Wilkinson. Un team di tutto rispetto, questo, che però non è riuscito nell’impresa di dare una nuova veste seriale in grado di tenere testa alla matrice originale.

I cambiamenti nel plot nativo sono serviti agli autori per avvicinare più facilmente i neofiti e non-appassionati della serie animata alla nuova versione

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Nonostante le buone intenzioni degli autori e l’enorme sforzo produttivo profuso per dare forma e sostanza alla suddetta operazione di restyling, Avatar – La leggenda di Aang non ha raggiunto i risultati desiderati e sperati. Il lavoro di semplificazione in fase di riscrittura di Kim e del suo staff, che ha portato ogni episodio della serie a racchiuderne all’incirca due del cartone animato, rispettando così l’ordine stabilito un decennio fa degli eventi narrati, ha consentito di creare un ponte di collegamento tra le due opere, rendendole comunque indipendenti l’una dall’altra. Il ché significa che al netto delle fisiologiche modifiche dettate dal processo di traslazione da un linguaggio a un altro, da un formato all’altro, la costruzione della serie in live-action è stata concepita sulla base di pochi ma necessari cambiamenti nel plot nativo al fine di consentire anche ai neofiti e non-appassionati di avvicinarsi con più facilità alla nuova versione. In questo modo, chi non fosse venuto precedentemente a contatto con la sorgente può con tutta tranquillità andare ad abbeverarsi narrativamente e drammaturgicamente sulla piattaforma, laddove gli otto episodi sono stati concepiti proprio in funzione di una tabula rasa del pregresso. La storia quindi a grandissime linee è rimasta la stessa e per la cronaca racconta le mirabolanti avventure di un ragazzo di nome Aang, noto come l’Avatar, che deve imparare a controllare i poteri dei quattro elementi per salvare un mondo in guerra e combattere un nemico spietato deciso a fermarlo. Al suo fianco due amici fidati, fratelli e membri della Tribù dell’Acqua del Sud, Sokka e Katara. Quest’ultimi sono interpretati rispettivamente da Ian Ousley e Kiawentiio, mentre a Gordon Cormier è toccata la responsabilità non da poco di calarsi nei panni del protagonisti.

Sulla versione in live-action pesa il tentativo di cercare di ottenere un compromesso strutturale tra l’originale e il rifacimento

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Tutti hanno dato il massimo anche fisicamente per rendere credibile e il più coinvolgente possibile il racconto, ma la scrittura non ha saputo replicare e riadattare la formula vincente che aveva a suo tempo conquistato il pubblico. Sulla versione in live-action pesa infatti il tentativo di cercare di ottenere un compromesso strutturale tra l’originale e il rifacimento, mantenendo inalterate delle cose e rimodellandone altre quando forse dei cambiamenti più drastici avrebbero potuto sortire dei benefici. La serie animata dei primi anni Duemila aveva delle caratteriste specifiche non replicabili, motivo per cui forse bisognava distaccarsene per ottenere dei risultati di ben altro livello. Sul piano narrativo infatti Avatar – La leggenda di Aang non riesce a coinvolgere e appassionare lo spettatore di turno come la sua matrice. Il motivo è uno e uno solo, ossia l’estrema difficoltà di restituire la complessità di quel mondo e dei personaggi che lo popolano dovendo fare a meno della potenza immaginifica e senza limiti dell’animazione. Mondi e storie come questi non rendono ovunque, di conseguenza non è detto che basti passare da un linguaggio a un altro per ottenere i medesimi risultati. I rendering dei combattimenti tra i vari Dominatori, gran parte dei quali spettacolari e dal forte impatto visivo, oltre alla regia dinamica e alla confezione qualitativamente elevata, non riescono ad essere epici ed emozionanti come quelli nell’originale. Non ci sono effetti speciali, per quanto perfetti e tecnologicamente avanzati, in grado sopperire a tale mancanza.

Avatar – La leggenda di Aang: valutazione e conclusione

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Una confezione qualitativamente elevata, delle scene d’azione dal forte impatto visivo e una regia dinamica non bastano a questo adattamento in live-action per raggiungere o quantomeno eguagliare il livello di coinvolgimento e di emozioni della matrice animata. Avatar – La leggenda di Aang è un prodotto seriale che dal punto di vista spettacolare sa il fatto suo, ma narrativamente non soddisfa nonostante i tentativi in fase di scrittura di semplificarlo e renderlo accessibile anche ai neofiti. E sono proprio questi cambiamenti strutturali nel racconto originale a depotenzializzare il plot e il disegno dei personaggi.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 2

3.1

Tags: Netflix