American Horror Story: 1984 – recensione del pilot della nona stagione

La nostra recensione del pilot di American Horror Story: 1984, nona stagione della serie di Ryan Murphy che, questa volta ci porta negli slasher movies.

Anche senza avere avuto un feedback e dei numeri certi riguardanti il gradimento oppure no nei confronti di quello che da qui a poco scorrerà anche sugli schermi italiani, la premiata ditta formata da Ryan Murphy e Brad Falchuk ha già annunciato tramite i rispettivi profili Instagram una decima stagione di American Horror Story. Il tutto mentre la nona – American Horror Story: 1984 – è attualmente in rampa di lancio, pronta a soddisfare la fame dei tanti appassionati e cultori della pluridecorata e amata serie a stelle e strisce.  Evidentemente si tratta di un franchise nelle cui vene scorre un elisir di lunga vita, che tanto ha ancora da raccontare e soprattutto da mostrare al suo vastissimo pubblico.

AHS 1984: i mostri non sono solo fuori, ma anche dentro di noi

La ricetta in tal senso ha fatto sin da subito centro grazie alla volontà da parte degli sceneggiatori di rompere lo stereotipo dell’orrore portandolo nelle nostre vite, perché chiariamoci l’orrore fa parte del nostro quotidiano e siamo tutti in un certo qual senso attratti da esso, chi più e chi meno. American Horror Story ha la capacità di parlarne al di fuori di quello che può essere il modus operandi e il concetto basilare delle storie di sangue, di mostri e di fantasmi, elevandole a un livello superiore. In tal senso, se riavvolgiamo le lancette sino al 2011, nella prima stagione dal titolo Murder House alla fine la morale della favola era che i veri mostri siamo noi, gli esseri umani. In tutte le stagioni che si sono succedute in questi anni, AHS è riuscita a consegnare al pubblico un focus sull’orrore a partire dalla Società stessa, allargando il discorso di volta in volta alla psicologia, alla politica, agli affetti, alle diversità intese come altro, alle Istituzioni e via dicendo. American Horror Story è proprio questo, ossia il ritratto più vicino che noi abbiamo della nostra Società attraverso un genere tra i più popolari, l’horror.

Ebbene purtroppo, loro e nostro malgrado, tali caratteri fondanti e punti di forza nella nona stagione sono stati letteralmente dilapidati come un patrimonio nella mani di un incapace, tenendo conto che le prime e preoccupanti avvisaglie di una possibile débâcle si erano manifestate già nell’opus otto battezzato Apocalypse. Per cui serviva una scossa per ritornare agli antichi splendori, qualcosa che potesse in qualche modo riportare in quota la serie. E cosa migliore se non rivolgere uno sguardo al passato strizzando l’occhio a qualcosa in grado di ridare linfa vitale e una nuova spinta propulsiva alla scrittura. Ed è così che Murphy e Falchuk hanno deciso di percorre la strada più semplice e meno frastagliata, quella del revival e del fattore nostalgico. Ancore, queste, alle quali in molti si sono aggrappati nei momenti di difficoltà, ma che poche volte sono riuscite a mantenere in piedi la baracca.

American Horror Story: 1984 – una strizzata d’occhio al passato per rendere omaggio agli anni ’80 e allo slasher

Nella season 9 gli anni Ottanta tornano prepotentemente con tutto l’immaginario e l’iconografia al seguito. Il titolo della stagione, vale a dire 1984, è la cartina di tornasole, il biglietto da visita della volontà degli showrunner di rimescolare le carte in tavola e dare una veste diversa al progetto, andando a puntare diritto sull’omaggio vero e proprio a un genere che spopolava tra i teenagers e non solo dell’epoca, lo slasher movie, che tanti stomaci era riuscito a mettere in subbuglio. Quello che ci apprestiamo a vedere è a tutti gli effetti un sentito, ma anche un po’ furbetto, omaggio a un filone che in quegli anni ha avuto la sua massima espressione per poi conoscere periodi bui fatti di pochi alti e molti bassi.

E in quanto tale, la premiata ditta Murphy & Falchuk sono andati a riprendere lo spirito di quelli che sono stati cult come Venerdì 13, Halloween o Nightmare, per poi metterli al servizio di questa nuova stagione, che andrà in onda a partire dal 7 novembre 2019 ogni giovedì su Fox Italia, a meno di due mesi dal debutto negli Stati Uniti.

American Horror Story: 1984

Noi ne abbiamo avuto un piccolo assaggio nel corso della seconda edizione di FeST – Il Festival delle Serie Tv, che ha ospitato l’anteprima del primo dei nove episodi diretto da Bradley Buecker dal titolo Camp Redwood. E la visione ci ha confermato quelli che potevano essere i timori nei confronti dell’operato degli sceneggiatori. Certo è riduttivo sparare sentenze dopo avere posato gli occhi sul pilot, ma se il buongiorno si vede dal mattino, chi non ben comincia non è a metà dell’opera, specialmente nel caso delle serie tv, dove l’episodio inaugurale è già un banco di prova decisivo ai fini del cammino futuro. Per cui, salvo stravolgimenti tanto potenti da ribaltarne le sorti, riteniamo che il risultato portato nelle nostre case dalla nona stagione non riuscirà a soddisfare le aspettative degli spettatori.

American Horror Story: 1984 – nel suo vagabondare topografico stavolta la storia ci catapulta in un Summer Camp maledetto

Detto ciò nel suo vagabondare topografico tra ambientazioni disparate, AHS 1984 ci catapulta senza rete di sicurezza in un Summer Camp immerso nel bosco di turno, location tra le più gettonate del filone in questione. Qui sorge il campeggio che presta il suo nome al primo capitolo, il Camp Redwood, laddove i cinque malcapitati, cinque amici di Los Angeles, si recano per lavorare in qualità di animatori. Tuttavia, mentre si stanno ambientando nella loro nuova occupazione, i protagonisti scoprono presto che a rendere ancora più spaventose le storie raccontate al campo è il loro passato che torna a perseguitarli! Di cosa si tratta?

La risposta ce la consegna l’incipit, collocato temporalmente 14 anni prima, quando quei luoghi si trasformarono nello scenario di un’autentica carneficina ai danni dei giovani ospiti dell’epoca. L’artefice lo ritroviamo nel presente storico del racconto da lì a pochi minuti dopo rinchiuso in un manicomio dal quale riuscirà a fuggire. Per dove? Ma ovviamente per il campeggio così da completare quello che aveva lasciato in sospeso e per mietere nuove vittime.

American Horror Story: 1984

Insomma, niente di nuovo sul fronte drammaturgico, al contrario si assiste a un plot e a delle dinamiche volutamente disegnati su un copione già masticato che tra citazioni più o meno palesi, omaggi e rievocazioni, prova a trovare un motivo di essere. Sinceramente a noi è sembrato uno sforzo davvero esiguo, di quelli che dimostrano un serbatoio delle idee rimasto a secco. Se non fosse per qualche scena degna di nota che si contano sulle dita di una mano (tra cui la mattanza del serial killer Mr. Jungle nel dormitorio femminile), dove lo schermo si tinge di rosso e di arti mozzati in onore al genere d’appartenenza, il pilot si scioglierebbe come un gelato al sole a causa di situazioni già viste, facilmente leggibili in chiave mistery e animate da personaggi costruiti su modelli pre-impostati che hanno matrici di ben altro spessore e dei quali sono cloni partoriti per l’occasione.

American Horror Story: 1984 – una maionese impazzita di analogico, hit, vhs e sonorità carpenteriane

Ciò che resta è la solita maionese impazzita che nel richiamare in causa i modelli ai quali ha deciso di fare riferimento si limita a restituire sul piccolo schermo un’overdose di analogico nell’epoca del digitale, con una patina e una grana fotografica vintage che consegna agli occhi quello che è stato veicolato al tempo da nastri, vhs e flicker. Il tutto accompagnato da una compilation di sonorità elettroniche alla Carpenter che si mescolano con una serie di hit, tra cui Cruel Summer dei Bananarama.  

  

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 1

1.8

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