I leoni di Sicilia: la storia vera della famiglia Florio dietro la serie TV Disney+

Smontiamo qualche mito sui Florio: tra Giuseppina e Ignazio non ci fu nulla e l’amore irregolare tra Vincenzo e Giulia fu solo un incidente di percorso

Quanto c’è di vero in ciò che racconta I Leoni di Sicilia, la serie disponibile su Disney+, diretta da Paolo Genovese? Cerchiamo di scoprirlo!

Nel corso di tre generazioni, i Florio, da ‘bottegai’, diventarono industriali di caratura internazionale, paragonabili, nel Novecento, agli Agnelli e ai Berlusconi. Partiti da Bagnara Calabra – ma la famiglia è originaria dell’Aspromonte –, conquistarono la Palermo delle belle speranze, contribuendo a ridefinire l’immagine della Sicilia pre-unitaria: da regione isolata e immobile a terra promessa dell’imprenditoria. 

La verità dietro la “scomparsa” di Vittoria, la nipote di Paolo e Ignazio Florio, orfana di padre, che partì con loro da Bagnara Calabra

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Nel primo dei quattro episodi dei Leoni di Sicilia diretti da Paolo Genovese e ora disponibili su Disney+, adattamento della versione della storia già romanzata da Stefania Auci, Paolo Florio (1772 – 1807) convince il fratello minore Ignazio (1776-1828) a lasciare Bagnara Calabra dopo il terremoto del 1802: la città era già stata colpita da una terribile scossa sismica nel 1783 e, in quell’occasione, i due fratelli avevano perso la madre.  

Paolo e Ignazio, a Palermo, hanno una bottega di aromaterapia – una drogheria: i bagnaresi, in Sicilia, si occupano perlopiù di smerciare spezie e ‘droghe’ – che li attende: quella che Paolo ha acquistato, nel 1793, assieme al cognato Paolo Barbaro, marito della sorella Mattia, la donna a cui Giuseppina, moglie di Paolo, nella serie scrive accorate lettere di rimpianto per il paese perduto. Con Paolo Barbaro, Paolo Florio si era messo in mare appena adolescente, forse già dodicenne, imparando lì, tra le onde, il mestiere di ambulante.  

I due fratelli Florio non sono, però, i primi emigranti della famiglia: già nonno Domenico, padre di loro padre Vincenzo, nei primi decenni del Settecento, aveva lasciato, per Bagnara, Melicuccà del Priorato, un paesino di 1500 anime sul versante settentrionale dell’Aspromonte di cui era originario e in cui suo padre, mastro Tommaso, si era costruito nel tempo fama di gran lavoratore e aveva acquisito rinomanza per l’abilità nella ferratura dei quadrupedi. 

All’epoca del trasferimento da Bagnara Calabra a Palermo, Paolo Florio aveva un figlio di tre anni: Vincenzo, l’ultimo della dinastia a nascere in Calabria. Il piccolo era venuto al mondo nell’aprile del 1799 dal matrimonio di Paolo con donna Giuseppa Saffiotti, la cui nonna materna era una Barbaro – come Paolo, marito di Mattia Florio – e le cui condizioni economiche erano migliori rispetto a quelle della famiglia del suo sposo. Con loro, al momento della partenza per Palermo, c’era anche Vittoria, la figlioletta orfana di Francesco, un altro fratello Florio, ma la serie non reca traccia della sua presenza, nonostante il romanzo ne faccia invece riferimento.

Gli affari di Paolo Florio, a Palermo, prosperarono in fretta, complice anche il commercio del chinino, alcaloide utilizzato come farmaco anti-malaria: le disponibilità della famiglia crebbero, anche se Paolo Florio, sua moglie Giuseppina, il piccolo Vincenzo e Ignazio Florio, rimasto celibe, continuarono a vivere in affitto fino al 1806. Nel 1807, Paolo Florio, appena trentacinquenne, si ammalò di tubercolosi e, in poco tempo, si spense, non prima di aver nominato, nel testamento, erede universale il figlio Vincenzo, allora ancora bambino. 

I leoni di Sicilia e l’amore tra Giuseppina e Ignazio: una storia vera o semplici coinquilini?

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Ester Pantano interpreta Giuseppina Saffiotti da giovane.

Dopo la morte di Paolo Florio, la vedova Giuseppina continuò a vivere sotto lo stesso tetto con il cognato, e lo fece fino alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 1828. Eppure, tra i due, a differenza di quello che mostra la serie tv, non dovette esserci nulla. Secondo quanto riferisce, nel suo documentato libro sui Florio, lo storico Orazio Cancila, professore emerito dell’Università degli Studi di Palermo, cronache del tempo descrivevano Giuseppina come una donna “virtuosa”, “esempio e modello alle madri cristiane”, dotata di “maschie virtù”. D’altro canto, era usanza del tempo sposare la vedova del proprio fratello e non sarebbe dunque stato affatto anomalo se Ignazio lo avesse fatto: se ciò non è avvenuto, è perché non c’è stata volontà da parte sua. La serie non edulcora la codardia di Ignazio Florio, ma forse, semplicemente, più che codardo, il fratello minore del defunto Paolo non ebbe mai alcun interesse sentimentale per la cognata.

Nel 1814, Ignazio associò il nipote nell’attività, la cui ragione sociale divenne la Ignazio e Vincenzo Florio. Nello stesso anno, allargò gli interessi dell’attività al commercio all’ingrosso di generi coloniali. Nonostante gli alti e bassi di mercato, dovuti anche alle alterne sorti politiche dell’isola, gli anni della gestione di Ignazio Florio furono proficui: il patrimonio dell’azienda triplicò nel decennio tra 1807 – anno della morte di Paolo – e 1817. Come mostra anche la serie Disney +, furono però gli anni in cui Vincenzo entrò in affari, dopo il compimento della maggiore età nel 1817, i più determinanti nell’ascesa dei Florio: grazie al mentore Benjamin Ingham, ricchissimo imprenditore inglese di stanza a Palermo, Vincenzo riuscì a introdursi nel mercato internazionale e a dare avvio all’esportazione all’estero di prodotti siciliani. Nel 1820, i Florio cominciarono a spedire a Marsiglia grosse quantità di zolfo. Nel tempo, avrebbero prodotto ed esportato all’estero anche una prestigiosa versione di Marsala, più adatta di quella già in commercio ai palati raffinati.

Grazie a una macchina acquistata in Inghilterra, i Florio, nel 1824, avviarono anche la produzione della china in polvere e, soprattutto negli anni successivi alla morte di Ignazio, le loro attività si estesero a diversi settori commerciali e produttivi, tra cui ricordiamo in particolare l’armatoria e la produzione di tonno.

I Leoni di Sicilia: Vincenzo Florio e Giulia Portalupi, amore tormentato o incidente di percorso?

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Miriam Leone e Michele Riondino sono Giulia Portalupi e Vincenzo Florio.

Le dedizione totalizzante al ‘business’ rallentò a lungo la vita affettiva di Vincenzo Florio: arrivato a 34 anni senza essersi ancora sposato, viveva con sua madre e, nel frattempo, intratteneva una relazione con Giulia Portalupi, una milanese di dieci anni più giovane, incontrata al Regio Teatro Carolino di Palermo. Nella serie che adatta il romanzo di Stefania Auci, Vincenzo vive da adolescente un trasporto amoroso per Isabella Pillitteri, baronessina che finisce per sposare un altro a causa delle differenze di rango, mentre anni più tardi si lascia convincere dalla madre a sposare una nobildonna, senza riuscire, però, a trovare immediatamente una candidata adatta. In realtà, pare che molte giovani aristocratiche cercarono per prime di sposare Vincenzo Florio all’apice del suo successo imprenditoriale, quando cioè aveva già almeno più di vent’anni; con una di queste, arrivò a stringere un accordo, salvo poi ritirarsi quando la famiglia della futura sposa pose come condizione alle nozze la sua rinuncia definitiva a maneggiare denaro.

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Dall’unione con Giulia Portalupi, nacquero tre figli: prima, due femmine, Angelina, nel 1835, e Giuseppa, nel 1837. Il nome della secondogenita voleva essere un omaggio alla nonna materna, forse un tentativo di addolcirla, dal momento che questa osteggiò fino all’ultimo la relazione tra il figlio e la milanese, nella speranza che il primo sposasse un giorno un’aristocratica e, verghianiamente, facesse il salto di classe che mancava alla consacrazione della famiglia Florio a dinastia regnante (pur senza corona) di Sicilia. Tuttavia, dopo la nascita, nel dicembre del 1838, del terzo figlio, primo e unico maschio, a cui la coppia diede nome di Ignazio (come lo zio, e non il padre, di Vincenzo), Giulia Portalupi poté vantare qualche credito agli occhi di Florio e di sua madre: Vincenzo la sposò, però, solo nel gennaio del 1840. Un matrimonio per procura, come avveniva di solito quando si trattava di nozze riparatrici.

Ignazio fu l’ultimo nato, ma il primo dei tre figli della coppia a essere riconosciuto da Florio come suo: venne registrato all’anagrafe all’indomani della nascita dal padre stesso, mentre le sue sorelle maggiori dovettero aspettare ancora dieci mesi, vale a dire l’ottobre del 1839, per essere riconosciute figlie legittime: la primogenita aveva già quattro anni. Fino ad allora, entrambe portarono soltanto il cognome della madre. Non esattamente un comportamento da uomo d’onore (e ancor meno da uomo innamorato) quello di cui fu responsabile Vincenzo Florio, che forse nutrì invano la speranza di riuscire a rimpiazzare Giulia Portalupi con una donna che potesse dargli ciò che gli mancava: il titolo nobiliare. Sposando Giulia, Florio si rassegnava a morire nella stessa posizione in cui era venuto al mondo: quella di borghese. Sarebbe toccato a Ignazio, il suo terzogenito, di riscattare la delusione del padre e di esaudirne il sogno: fu lui, infatti, il primo Florio ad accasarsi con una nobile, donna Giovanna D’Ondes Trigona