I Leoni di Sicilia: recensione della serie TV Disney+

Abbiamo visto i primi episodi de I Leoni di Sicilia, la serie TV in arrivo su Disney+, presentata alla 18ma Festa del Cinema di Roma.

Una storia d’amore, di famiglia, di lavoro, di Sicilia e del nostro Paese. Questo è il centro di I Leoni di Sicilia, la serie TV di Paolo Genovese – che è anche produttore creativo –, di 8 episodi, liberamente tratta dal bestseller di Stefana Auci, che entra nel catalogo di Disney+ il 25 ottobre 2023 con i suoi primi quattro episodi, gli altri quattro una settimana dopo (1 novembre 2023). I Leoni di Sicilia è una fotografia politico, sociale e culturale dell’Italia attraverso la vicenda dei Florio, la sui saga letteraria ha conquistato il pubblico, le vicende di Ignazio e Paolo Florio hanno l’involucro duro delle storie vere e l’interno morbido di storie meravigliose di uomini che hanno creduto a tal punto nel valore dei loro sogni da farli avverare. Il romanzo e quindi anche la serie portano nel 1799, quando i Florio sbarcano a Palermo, da Bagnara Calabra, vogliono solo una cosa, arrivare più in alto di tutti, diventare ricchi e così, irrequieti e ambiziosi, si rimboccano le maniche e lavorano. In breve tempo, i fratelli Paolo e Ignazio rendono la loro bottega di spezie la migliore della città, poi avviano il commercio di zolfo, acquistano case e terreni dai nobili palermitani, creano una loro compagnia di navigazione. Nel momento in cui Vincenzo, figlio di Paolo, diventa abbastanza grande, sarà l’uomo di casa e il viaggio è inarrestabile. Genovese prende la storia scritta da Auci e ne fa una serie in costume che narra sentimenti e emozioni, spinte e mancanze facenti parte della vita di ogni essere umano.

I Leoni di Sicilia: osservata da una Sicilia calda e bellissima, la famiglia Florio ambisce a costruire un impero

Giuseppina: “La famiglia è la cosa più importante”

La famiglia Florio, questa è la grande protagonista della serie; Paolo e Ignazio, Giuseppina e il piccolo Vincenzo sono i personaggi che lo spettatore incontra subito, colti in una notte di terrore, durante il terremoto. Paolo, capostipite e guida, decide, partiranno per Palermo, città delle mille luci e dei mille profumi. Abbandonano Bagna Calabra, lasciano lì tutto ciò che è stato e c’è, ricordi e luoghi, e il dolore perché partire è sempre uno strappo, perché hanno perso tutto sotto le macerie. Davanti a loro però c’è il futuro, c’è Palermo, luogo in cui pensano di poter costruire qualcosa.

Paolo e Ignazio sono l’uno l’opposto dell’altro, il primo, interpretato da un intenso e rude Vinicio Marchioni, è un maschio di una certa Sicilia, autoritario, spesso violento, maschilista, figlio di un tempo che non dà spazio a niente e a nessuno, soprattutto se si tratta della propria moglie, il secondo, interpretato da Paolo Briguglia, è succube del fratello che fa e disfa, che sceglie e ordina, si lascia guidare da colui che per costituzione prende le redini della vita – non solo sua. I Leoni di Sicilia è una storia di ambizione e rivincita, Paolo le sente dentro come belve feroci ed è così che lui si muove, sbranando ogni cosa, distruggendo ciò che gli si para davanti. Vuole ricchezza, potere, sa benissimo che le spezie sono l’unico mezzo attraverso cui loro, arrivati dal niente, senza nulla in mano oltre alla fatica, possono farsi rispettare. Se gli altri sono nome e casata, loro possono solo puntare sui soldi, sui “piccioli” che non hanno ma a cui anelano, molto e con forza. Palermo osserva silenziosa e stupita il climax ascendente dei Florio, ciò che resta a molti è provare invidia e disprezzo, la loro arma è quella di sottolineare come non siano di antico lignaggio, non siano uomini con un titolo.

Ad assistere a tutto ciò ci sono Giuseppina – a vestire i panni di quella giovane c’è Ester Pantano, di quella matura, Donatella Finocchiaro -, la coraggiosa moglie di Paolo, forte e intensa, desiderosa di ribellarsi ad un mondo non fatto per le donne (“sempre gli altri hanno scelto per me, prima mio padre e poi mio marito”), e anche il figlio Vincenzointerpretato quando è adulto da Michele Riondino –, un bambino che ha già ben chiaro non solo il luogo in cui cresce con il suo sistema (ricchi e poveri, grandi e piccoli) ma anche le dinamiche familiari. Vincenzo impara due lezioni, quella del padre (“Lo senti l’odore delle spezie? Lo senti? Questo siamo”) e quella dello zio, da una parte la brama di successo e potere, dall’altra il principio secondo cui la violenza non è mai l’arma giusta.

Giuseppina si scontra con il marito, parla con fermezza a Ignazio, è costretta ad accettare le situazioni e il cursus honorum femminile, non può e non deve reagire, per nessun motivo, Palermo può parlare e spesso, come capita in quella società, di quel periodo ma non solo – pensiamo a L’amica geniale per esempio -, si tratta di onore (“l’unica ricchezza di cui dispone una donna”) della donna che sta ad indicare quello di un’intera famiglia. Giuseppina è madre e per questo ha rinunciato a tutto, Vincenzo è la sua gioia ma il matrimonio è una spada di Damocle sulla testa delle donne, diventa una questione di affari e  un mezzo per “vendere al miglior offerente” la donna/merce in modo da arricchirsi o avere un titolo. 

I Leoni di Sicilia: Vincenzo, l’uomo nuovo (ma non troppo) che sogna in grande

Vincenzo è pieno di voglia di fare, di pensare, di agire, è un uomo che mette in atto ciò che ha nella testa, spesse volte dice di non avere scrupoli perché l’importante è raggiungere ciò che desidera. Rispetto allo zio, ha idee rivoluzionarie (come non pensare al desiderio del giovane di comprare delle nuove macchine, moderne, macine che fanno il lavoro di 10 operai) e grazie al suo talento e al suo sognare in grande potrà fare grandi cose. L’uomo, ormai adulto, si mostra forte come suo padre, con un proprio progetto diverso da quello dello zio e da solo costruisce un impero, si concentra sul lavoro ma si dimentica di vivere. A travolgere la sua esistenza è l’incontro con Giulia Portalupi – che entra nel suo cuore appena incrocia il suo sguardo -, una meravigliosa Miriam Leone che incarna perfettamente le caratteristiche del suo ruolo, donna forte e intelligente, in contrasto con le rigide regole della società del tempo. In I Leoni di Sicilia è chiara l’importanza delle figure femminili, sia Giuseppina che Giulia tentano di trovare il proprio posto in una società che non pensa a collocarle in altri “luoghi”, sono entrambe donne eccezionali che compiono gesti piccoli o grandi, nella quotidianità, potentissimi per l’epoca. Accanto a uomini sicuramente facilitati dall’essere tali, devono subire soprusi, storture sociali eppure dignitosamente vogliono scegliere da sole, combattendo la loro battaglia personale. 

A fare da sfondo c’è l’Italia d’inizio Ottocento, alle prese con i nuovi assetti socio-politici dell”Europa, divenuta la scacchiera di Napoleone, e dove ci si scontra a suon di dazi, imposte e veti doganali. È l’Italia borbonica, pre-garibaldina in cui il tricolore è ancora un sogno, quella dove il borghese è solo un “pizzente arricchisciuto”. Per Palermo, i Florio sono “stranieri”, “facchini” il cui sangue “puzza di sudore” ma a loro questo non interessa perché hanno una missione molto più grande. Questa è una terra in cui Paolo, Ignazio e Vincenzo dopo di loro, vivono momenti complessi, sulla loro pelle subiscono angherie e umiliazioni, pagano mazzette ai doganieri, tentano nuove rotte commerciali, prendono schiaffi e rendono pugni al nobile di turno che rinfaccia loro di essere solo “facchini”

Mentre si assiste a queste vicende non si può non pensare a Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, quella Sicilia è la stessa dei Florio ma se l’uno racconta il declino della società aristocratica, i secondi raccontano la spinta verso un futuro che, nei momenti drammatici è difficile vedere, ma c’è, un futuro pronto ad accogliere i sognatori. Don Fabrizio Salina è figlio di una Sicilia immobile in cui poco importa se fai bene o se fai male e, come dice Tomasi di Lampedusa, “il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’”, mentre in questa famiglia la spinta è contraria, Paolo e Ignazio prima, Vincenzo poi, lavorano senza sosta. Lo splendore perduto dei nobili siciliani, degli ultimi Gattopardi di Sicilia, è il contraltare di questi Leoni, i borghesi, uomini nuovi che plasmano se stessi dalla miseria e dal sudore.

I Leoni di Sicilia: valutazione e conclusione

I Leoni di Sicilia di Genovese fa rivivere bene ciò che Auci ha scritto su carta, lo spettatore partecipa alla storia d’Italia attraverso gli occhi di personaggi realmente esistiti e che per questo acquistano ancora più sostanza. La serie riesce bene, grazie ad un cast che incarna perfettamente l’indole dei suoi personaggi, a rendere universali e paradossalmente moderni, problemi, questioni e aspirazioni del passato, mostra donne forti e coraggiose che aspirano ad avere più libertà, svincolate da un ordine prestabilito, patriarcale e avvizzito, castrante, uomini che vogliono un domani ricco, all’altezza delle speranze. Quella di I Leoni di Sicilia è un’unione di piccole e grandi storie, le vicende della Sicilia dell’800 e le “voglie” di un paese che ambisce all’unità vanno di pari passo a quelle di una famiglia che vive di moti tutti personali ma non meno potenti.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.9