Trilogia dei colori: 6 curiosità sul capolavoro di Krzysztof Kieślowski

L'indimenticabile opera del regista polacco è stata riproposta al cinema in 4K

Blu, bianco, rosso, libertà, uguaglianza, fraternità, gradazioni del sentimento, gradazioni del dolore; a 30 anni dall’uscita del primo dei tre lungometraggi, poi distribuiti in rapida successione tra il 1993 e il 1994, la Trilogia dei colori è tornata al cinema, grazie a Lucky Red, in versione restaurata in 4K. L’ultimo lavoro del maestro del cinema Krzysztof Kieślowski, scomparso prematuramente nel 1996, all’età di 54 anni, rimane una dell’esperienze cinematografiche più intime e accurate di sempre: la cura emotiva e simbolica smania lungo le 3 pellicole che si legano l’una all’altra in maniera brillante, predicando concetti macroscopici veicolati dai personaggi, soggetti scardinati dalla loro realtà e indagati nella profondità del proprio tormento. L’autore del Decalogo (serie composta da 10 mediometraggi ispirati ai comandamenti biblici), tramite la sua ultima creazione, conferma quel suo stile devoto al dilemma esistenziale e concentra tutta la propria attenzione sui protagonisti, in una sfumatura evolutiva che colora i tre valori fondamentali dello stato francese. Di seguito andiamo a scoprire 6 curiosità riguardo a Film Blu, Film Bianco e Film Rosso, dal senso stesso dei colori allo studio particolareggiato di ogni parte che ne ha composto il successo.

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1. Il senso dei colori

Trilogia dei colori cinematographe.it

Blu, bianco e rosso; pur avendo, Kieślowski, più volte dichiarato che la scelta dei tre colori da parte della produzione fosse stata dettata unicamente dal fatto che la Francia fosse la principale fonte di finanziamento per il film, si ravvede, al contrario, qualcosa di molto più profondo nella motivazione di questa scelta. I colori si rifanno, sì, alla bandiera francese ma, oltre che per un fatto puramente estetico, anche, soprattutto, per il rimando ai tre ideali rivoluzionari rappresentati da quello stesso emblema: libertà (blu), uguaglianza (bianco), fratellanza (rosso).

2. Il collante interno alla Trilogia dei colori

Numerosi sono i punti di contatto tra le tre pellicole, alcuni espliciti e lampati ed altri tenuti nascosti e proposti solamente per gli occhi più attenti. A livello narrativo vi sono alcune sequenze che incidono trasversalmente l’intera trilogia ma è una la scena che fa da fil rouge e che amplifica inconfutabilmente gli elementi i quali, connettendo tra loro le 3 parti, esemplificano il pensiero e i concetti diretti dal regista. Nell’espletarsi dei tre racconti un’immagine ricorrente torna e si sviluppa in maniera differente: se il punto di partenza è sempre quello dell’anziana che, invano, prova a gettare i rifiuti in un cassonetto, il prosieguo è sempre differente: in Film Blu la libertà di Julie (Juliette Binoche) fa sì che ella non si accorga dell’anziana, in Film Bianco, Karol (Zbigniew Zamachuowski), si riconosce come ugualmente in difficoltà ma non fa nulla per intervenire ed è solamente Valentine (Irène Jacob), in Film Rosso, a mostrarsi fraterna e ad aiutare la donna.
Inoltre, se il primo film termina con un freddo e rigido blu, rischiarato da una luce intesa che introduce l’opera seguente, nella scena iniziale di Film Bianco vediamo apparire Julie (protagonista di Film Blu) per qualche fotogramma. Al termine della pellicola conclusiva, invece, i protagonisti di tutti e tre i lungometraggi si ritrovano assieme, sopravvissuti a un grosso incidente.

3. Una produzione inarrestabile

La Trilogia dei colori cinematographe.it

Sono bastati meno di 10 mesi affinché il regista polacco Krzysztof Kieślowski portasse a termine la produzione dell’opera completa, comprensiva di tutti e tre i titoli. La direzione ha avuto origine a settembre del 1992 e a maggio dell’anno successivo egli aveva già in mano i tre film nello loro completezza. In maniera alquanto curiosa, la prima scena ad essere stata girata dell’intera trilogia, voluta insistentemente dal direttore della fotografia Piotr Sobocinski, è stata la sequenza finale di Film Rosso, uscito poi come atto conclusivo.

4. Trilogia da festival

Assieme al produttore Marin Karmitz, prima dell’uscita delle tre pellicole, l’autore decise che ognuna di esse sarebbe stata proposta ai tre festival cinematografici per eccellenza: Venezia, Berlino e Cannes. Film Blu ha debuttato, a settembre 1993, alla 50ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, aggiudicandosi il Leone d’oro (ex aequo con America Oggi di Robert Altman) e la Coppa Volpi alla migliore attrice per Juliette Binoche. Film Bianco è stato presentato nel febbraio 1994 al Festival internazionale del cinema di Berlino, dove Kieślowski ha conquistato l’Orso d’argento per la regia. Film Rosso, infine, ha visto i suoi natali al Festival di Cannes nel maggio 1994; qui non ha ottenuto la Palma d’oro, vinta quell’anno da Pulp Fiction, ma ha conquistato grande seguito, ricevendo poi diversi riconoscimenti, tra cui 3 nomination agli Oscar.

5. Lo studio del suono nella Trilogia dei colori

Film Rosso cinematographe.it

Dopo aver musicato l’intero Decalogo e La doppia vita di Veronica, altra pellicola targata Kieślowski e scritta dal suo fedele sceneggiatore Krzysztof Piesiewicz, al suo fianco anche nella stesura della trilogia, il compositore Zbigniew Preisner collabora nuovamente con i due cineasti dando un enorme contributo alla riuscita empatico-esistenziale dell’intreccio. La colonna sonora del primo film, che si apre con la scomparsa della figlia e del marito della protagonista, compositore musicale, è stata realizzata prima dell’inizio delle riprese, così da poter modulare su di essa la recitazione e la fotografia; il tema musicale di Film Bianco, invece, può essere rintracciato all’interno della terza pellicola quando Valentine si trova al negozio di musica.

6. Identificazione del regista

Il giudice Joseph Kern, personaggio coprotagonista del terzo film, interpretato eccezionalmente da Jean-Louis Trintignant, sembra essere un chiaro richiamo a Kieślowski stesso. Ritiratosi a vita privata, egli dedica le sue giornate alla contemplazione e all’analisi degli altri; uno studio antropologico di cui egli si nutre e tramite il quale tenta di comprendere i rapporti umani e la sensibilità dell’individuo.

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