Venezia 73 – The Age of Shadows: recensione del film di Kim Ji-woon

The Age of Shadows, presentato fuori concorso alla 73. Mostra d’arte Cinematografica di Venezia, è un film di Kim Ji-woon. Pellicola ispirata all’attentato che avvenne nel 1923, da parte di Hwang Ok, durante la dominazione giapponese in Corea contro una stazione di polizia.

Kim Ji-woon ci catapulta direttamente all’inizio secolo scorso, in una Corea oltraggiata dal regime giapponese, in cui un gruppo di ribelli della resistenza tenta di soppiantare l’ordine con sistemici attacchi per stravolgere l’oppressione.

Uno dei protagonisti in questo racconto corale di spionaggio è Lee Jung Chool (Song Kang-ho), un coreano che lavora nella polizia giapponese, ex membro attivo del partito d’indipendenza, un uomo a cui viene affidato il compito di doversi infiltrare tra i sovversivi coreani per scoprire quali fossero i loro piani di dominazione.

Durante le sue ricerche apprende di un negozio di antiquariato sospetto e nota alcuni personaggi singolari che frequentano il posto; considerato che il proprietario in questione, Kim Woo-jin (Gong Yoo) è un intenditore di oggetti preziosi e di falsi, per entrarci in stretto contatto gli porge un cimelio, una statuetta religiosa presumibilmente d’oro.

In The Age of Shadows l’inganno è sempre li dietro l’angolo a sconvolgere la narrazione.

I due si intendono fin da subito. Cominciano a frequentarsi dopo che le loro maschere decadono completamente. L’uno apprende della condizione dell’altro ma con il fine di fare non solo il doppio ma il triplo gioco tra le parti della resistenza e del regime.
Ma Lee è un commissario con simpatie anarchiche, mentre Kim è un sovversivo con interessi economici. Tuttavia i suddetti interessi economici sono finalizzati per l’acquisto di un pacco avente un contenuto molto particolare, che non riesce a valicare il confine giapponese e che deve necessariamente arrivare in Corea.

Lee entra in stretto contatto con Kim e i rivoltosi ed è sempre più coinvolto con i ribelli; fa rapporto al suo comandante ma con scarsi successi o solo quelli di facciata: egli lentamente si lascia affascinare da antiche amicizie strette durante l’indipendenza finché la sua alleanza col regime viene totalmente distrutta da Hashimoto (Um Tae-goo), sua spalla nelle operazioni di spionaggio che diventa il suo antagonista più temibile, essendo un segugio incredibile.

Le scene diventano sempre più violente, da dita mozzate a colpi di pistola a ritmo serrato che si concludono con scintillanti sgorgate di sangue che quasi ridestano i fotogrammi inglobati nelle tinte cupe e nelle tenebre caratteriali.

The Age of Shadows

La copertura di Lee è sempre più sul filo, è al limite, sta sempre lì lì per saltare ma lui riesce, con un innato talento, a rigirare a suo favore qualsiasi dilemma, qualsiasi dubbio dei suoi gerarchi, finché i ribelli, la polizia ed egli stesso non si troveranno su un treno che li vedrà misurarsi l’uno con l’altro da vicino, in preda ai sospetti, tradimenti e omicidi. Su quel treno, che li porta da Shanghai alla Corea, nascerà il vero sodalizio tra le parti sempre in bilico che li vedrà scontrarsi con furore cannibalico. Le scene diventeranno sempre più cruente tra interrogatori, prigioni e tribunali: questi saranno i simboli più forti di un regime che da sempre ha ostentato la sua forza.

The Age of Shadows è un film stratificato e complesso, che si misura con la pluralità di tanti generi.

Fin da subito si colgono delle falle nella narrazione che si misura con l’intento di narrare un evento storico; una pellicola che nasce come politica, per poi tramutarsi in un noir che scorre lento come sangue rappreso su una ferita, che incanala le forze di in un thriller investigativo e che termina nella cospirazione tra stati, le cui fazioni dialogano tra loro, ossia Corea e Giappone.

The Age of Shadows

Le evidenti dissolvenze, la camera che passa dal ritmo funesto a quello lento e misurato si inseriscono perfettamente nel contesto che vanno ad inquadrare. Il primo asservito al mondo anarchico dei rivoltosi; il secondo, più pacato, mostra le vicende nei palazzi del governo, un modo per confrontarsi con una dittatura vera, reale e conosciuta fin troppo bene dal popolo coreano.

Ma generalmente The Age of Shadows dimostra quanto il cinema coreano e le narrazioni storiche siano da portare in auge, da proteggere e Kim Jee-woon, che sa perfettamente come tenere lo spettatore col fiato sospeso (memento del suo I Saw the Devil dai toni horror) prova, seppur in modo claudicante, a descrivere quanta insofferenza alberghi un agente segreto, come ci si misuri con la propria coscienza che sa di dover rispettare le leggi ma che d’altro canto sa che la cosa giusta da fare è a portata di mano ma a volte si è troppo vigliacchi per poterla mettere in pratica.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

3.1