Miss Monica, Karim Brigante e il regista su Wrestlove: la magia del wrestling in un film

La coppia di wrestler italiana Miss Monica e Karim Brigante parla del film ispirato alla loro storia, Wrestlove, insieme al regista Cristiano Di Felice.

A margine dell’anteprima mondiale di Wrestlove – L’amore combattuto alla 37esima edizione del Sulmona International Film Festival abbiamo intervistato il regista Cristiano Di Felice e i due protagonisti Monica Passeri e Karim Bartoli, in arte Miss Monica e Karim Brigante, che insieme formano l’unica e solo coppia italiana di wrestler professionisti negli Stati Uniti.

Come è nato il progetto di Wrestlone?

Nella vita sto provando a fare il regista, per cui sono sempre a caccia di storie da raccontare. Quella al centro di Wrestlove è stata più facile del previsto da fare perché sono nato e cresciuto nello stesso paese dell’Abruzzo, Caprara, della co-protagonista Monica Passeri che insieme a Karim Bartoli formano l’unica coppia nella vita e sul ring italiana di wrestler. In realtà non sono un ex adolescente nato negli anni Ottanta con la passione per il wrestling, ma l’ho imparato a conoscere proprio grazie ai lunghi viaggi fatti con loro due. Stavo scrivendo quello che dovrebbe essere il mio prossimo lungometraggio di fiction, ma la loro storia continuava a frullarmi nella testa fino a quando, su spinta della mia compagna, una sera ho deciso di contattarli per fissare un appuntamento. E così è andata. Pensavo di trovarmi di fronte a dei personaggi, per poi incontrare due ragazzi umili e semplici, che non facevano gli eroi e proprio in quel non esserlo ho trovato la chiave del film.

Mi è subito piaciuta l’idea di raccontare accanto alla parabola sportiva la loro spensieratezza, come si approcciano al quotidiano e fanno diventare un lavoro così speciale, la normalità. Una normalità che si estende anche all’ambito casalingo, per mostrare come la famiglia di Monica si pone nei confronti della sua scelta di combattere su un ring, appoggiandola e senza mai ostacolarne la carriera. Insomma, com’è avere in casa la prima e unica campionessa professionista di wrestling italiana. Tutto questo viene vissuto sia dai protagonisti che dagli affetti con una serenità che è ammirevole, come se avessero un posto a tempo indeterminato in banca, e che ho trasformato nel baricentro narrativo del documentario, perché lo ritengo davvero uno straordinario esempio.   

Cristiano Di Felice su Wrestlove: “Mi è subito piaciuta l’idea di raccontare accanto alla parabola sportiva la spensieratezza di Monica e Karim, come si approcciano al quotidiano e fanno diventare un lavoro così speciale, la normalità”  

Wrestlove Cinematograhe.it

Ai due protagonisti abbiamo chiesto quali sono state le rispettive reazioni alla proposta di realizzare un documentario che parlasse della loro vita dentro e fuori dal ring. Il primo a prendere la parola è stato Karim Brigante: “Sono felice e lo siamo entrambi che qualcuno ha reputato la nostra storia degna di essere raccontata in generale e nello specifico in un film. Questo è stato da subito il primo pensiero a riguardo.” Mentre per Miss Monica… “Sicuramente siamo stati contentissimi, perché con Wrestlove abbiamo potuto vedere con i nostri occhi un po’ il risultato di tutti i sacrifici fatti in questi anni e la passione che abbiamo messo e che continuiamo a mettere in questo sport.   

Miss Monica su Wrestlove: “Con questo documentario abbiamo potuto vedere con i nostri occhi un po’ il risultato di tutti i sacrifici fatti in questi anni”

Entrambi vi siete messi a nudo nel corso di un film che palleggia tra il pubblico e il privato. Quanto è stato difficile per voi?

Karim Brigante: “Il wrestling prima di essere uno sport e un vero stile di vita. Quindi non è solo una disciplina da praticare, ma qualcosa per la quale devi giocoforza cambiare la tua vita a 360°. Noi facciamo intrattenimento nella vita e l’audiovisivo è un’altra forma di spettacolo, ma è pur sempre un intrattenimento e quindi abbiamo affrontato l’esperienza del film come una nuova sfida a livello artistico. Il wrestling da un certo punto di vista è più simili al teatro. Ma è stato interessante raccontare sullo schermo, tramite i nostri diversi background, le diverse esperienze ed emozioni che quotidianamente affrontiamo tanto nella sfera pubblica che in quella privata.

Prosegue Miss Monica: “volevamo essere i più sinceri possibile, così da rendere chiara al pubblico la nostra storia, come siamo veramente, senza fingere di essere qualcosa che non siamo. La sincerità nel concederci alla cinepresa era fondamentale per trasmettere tutto questo. Le scene del quotidiano sono state ovviamente più delicate da affrontare, perché se quando siamo sul ring siamo abituati ad avere gli occhi della gente e delle telecamere puntate, nella vita reale no. In generale ci siamo sentiti durante tutte le riprese del documentario sempre a nostro agio. Del resto, il ring è diventato ed è il nostro habitat naturale. È stato senza dubbio più complicato per noi essere filmati nei momenti di vita quotidiana, dove non sei abituato ad avere gli obiettivi delle cineprese addosso che ti seguono ovunque vai.

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Alle parole di Miss Monica ha fatto seguito ancora Karim Brigante: “Anche se il wrestling è uno spettacolo, il termine “finto” lo ritengo ingiusto nei confronti della disciplina in sé, perché può essere anche un’attività sportiva assai pericolosa nella quale alla meglio di fai male, alla peggio ti può fare davvero molto molto male. Questo è un messaggio importante che vogliamo trasmettere e che speriamo anche questo documentario aiuti a veicolare. Dico sempre che c’è comunque tanta realtà dentro nonostante si tratti di uno show. È come vedere un film, entri in sala e provi delle  emozioni nei confronti di quello che stai guardando. In quel momento le emozioni e i sentimenti sono autentici e veri. Tra noi che siamo sul ring e il pubblico si viene a creare una connessione empatica e un coinvolgimento fatto di scambi continui che dura per l’intero match. Nel wrestling si è soliti dire che si tratta di reacting più che di acting, non è recitare ma è reagire al contesto e alle emozioni del pubblico, al rumore della folla e a quello che affronti sul ring durante il match.            

Karim Brigante su Wrestlove: “Nel wrestling si è soliti dire che si tratta di reacting più che di acting, non è recitare ma è reagire al contesto e alle emozioni del pubblico, al rumore della folla e a quello che affronti sul ring durante il match”

Torniamo a dialogare con Di Felice al quale abbiamo chiesto: Visto che nel tuo percorso professionale il cinema di fiction ha avuto un ruolo determinante e a senso unico, perché stavolta hai deciso di puntare sul cinema del reale per raccontare la storia di Monica e Karim?

Sinceramente ho avuto moltissimo timore nell’iniziare questo film, perché prima di Wrestlove le mie esperienze pregresse, sia come regista che come produttore, andavano tutte nel campo della fiction, per cui non avevo mai realizzato documentari. Studiando la storia e trascorrendo del tempo con loro ho capito che il racconto si andava a collocare in quel limbo tra realtà e finzione, con il mio punto di vista che doveva assecondare quell’incontro. Tutto quanto il film è fondato sulla capacità di Monica e Karim di essere atleti e attori, sperando che le due componenti si siano amalgamate bene e in maniera equilibrata. Lì ho capito che pur non avendo esperienze pregresse da documentarista potevo alleviare i miei timori e colmare in parte le mancanze.”

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Poi mi sono allineato moltissimo alla figura di Karim perché le nostre storie private e i nostri trascorsi hanno dei tratti comuni. La sua vita parallela fuori dal ring e che viene raccontata nel film era molto simile alla mia. In tal senso, quando riconosci qualcosa che può essere più vicina a te diventa più facile raccontarla. Per quanto riguarda Monica, invece, in comune c’era la stessa terra di origine, ossia un paesino dell’Abruzzo di 900 abitanti, e l’incontro con la sua famiglia numerosa che ha accettato senza riserva alcuna la sua scelta di fare la lottatrice di wrestling. In tal senso, non sono mai andato a costruire o a forzare situazioni per cercare un conflitto che non esisteva. In generale mi sono fissato dei punti che mi interessavano nelle dinamiche di coppia e nelle loro singole esperienze e attraverso di essi ho costruito l’architettura del documentario. In tutto quanto questo volevo restituire in primis la loro ciclicità. Ogni volta che provavo a raccontare la loro vita privata questa prendeva il sopravvento con lo sforzo e i sacrifici professionali della quotidianità che in qualche modo ne diventavano una parte e non la totalità.   

Perché hai scelto la narrazione in prima persona attraverso il voice-over di Karim e non le classiche interviste?

Inizialmente avevo filmato una lunga intervista con entrambi, ma dopo avere montato il finale di Karim in cui vengono a galla i dettagli della sua vicenda privata e famigliare ho capito subito che questo film non poteva non essere raccontato in prima persona e dalla sua voce, non la mia o quella di un attore. Mi piaceva l’idea che fosse lui a traghettare lo spettatore nella loro storia, perché mi affascinava molto anche la visione che Karim aveva di Monica. Quindi raccontare Monica attraverso Karim e le sensazioni di quest’ultimo nel momento in cui entra in contatto con la famiglia della sua compagna di vita e di lavoro. È stata dunque una soluzione narrativa fisiologica, con il suddetto epilogo che ha determinato la scelta.   

Cristian Di Felice su Wrestlove: “Mi piaceva l’idea che fosse lui a traghettare lo spettatore nella loro storia, perché mi affascinava molto anche la visione che Karim aveva di Monica”

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Prima ci dicevi che non sei mai stato un appassionato o un conoscitore della disciplina del wrestling e che ha imparato a conoscerla frequentandola e attraverso i racconti dei due protagonisti. Di conseguenza, come hai elaborato e capito quale stile avresti dovuto utilizzare per filmare le sequenze di lotta sul ring?

Era difficile documentarsi sul tema perché tutto quello che c’era alla portata è legata all’immaginario e ridotto a una dimensione meramente televisiva. Per cui bisognava fare un altro tipo di studio e di preparazione, fatta prevalentemente sul campo. Come prima cosa sono andato a Napoli con Monica e Karim per vedere come funzionava un incontro di wrestling. Lì mi sono accorto subito che una macchina da presa sola non era sufficiente, perché non è come filmare un incontro di boxe. Nel wrestling l’azione si svolge per circa il 60% a terra. Di conseguenza per riprenderle nel migliore dei modi di cineprese ne servivano due che filmassero in simultanea: una doveva essere per forza posizionata a filo pavimento, quindi sempre per terra in modo da cogliere tutte le cadute degli atleti, mentre alla seconda toccava il compito di muoversi nello spazio per cattura ciò che avveniva sopra e ad altezza uomo. L’altra cosa importante da tenere presente era la costante doppia presenza in campo della coppia, che presupponeva il fatto di dovere girare sempre dei campi a due. Insieme al direttore della fotografia e all’operatore di macchina abbiamo attentamente valutato e scelto le focali più adatte e gli angoli migliori di ripresa per rispettare tale esigenza.   

L’Abruzzo non è una terra semplice dove girare, soprattutto da un punto di vista produttivo e di finanziamenti destinati all’audiovisivo. Detto questo, che tipo di aiuto c’è stato – e se c’è stato – da parte della regione per la realizzazione del film?

Partiamo dal presupposto che qualsiasi prodotto audiovisivo nasca dall’Abruzzo rappresenti un miracolo, indipendentemente dal risultato finale. Faccio un esempio: è come se nel calcio non esistesse la Lega o il CONI. Appartengo e apparteniamo all’unica regione in Italia dove non esiste una Film Commission, nel senso che esiste di fatto ma non ha un ufficio attivo. La mancanza di tale organo da oltre dieci anni fa si che non solo non esistono bandi dai quali attingere finanziamenti per realizzare prodotti audiovisivi, ma a cascata l’imprenditore o il produttore di turno non viene portato a conoscenza di ciò che è presente sul territorio in termini di competenze e non ha gli strumenti né economici né logistici per potere investire su un film. Quindi i progetti vengono spostati geograficamente da altre parti, peccato che questa storia nasce ed è cresciuta in questa regione e quindi non poteva in nessun modo essere sradicata da qui. Per fortuna Wrestlove si è potuto fare grazie, oltre all’impegno dei singoli, anche con il supporto dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Pescara e del Sindaco del Comune di Pizzoferrato, Palmerino Fagnilli, che è un grande coltivatore di sogni e appassionato di wrestling. Il loro contributo è stato importante per dare il via alle riprese.   

Cristiano Di Felice su Wrestlove: “Partiamo dal presupposto che qualsiasi prodotto audiovisivo nasca dall’Abruzzo rappresenti un miracolo, indipendentemente dal risultato finale” 

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Qual è seconde te una peculiarità di Wrestlove?

Vedo in Wrestlove l’opportunità di parlare di una generazione e di raccontarla in maniera diversa. Solitamente i film generazionali vengono descritti attraverso il dramma, mentre qui le parole chiave mediante cui si toccano determinati temi sono l’amore, la semplicità, la gioia del raggiungere il sogno. Su questi aspetti ho puntato tanto. Volevo – e spero di esserci riuscito – restituire la bellezza. La stragrande maggioranza dei protagonisti di pellicole analoghe mostrano sempre ventenni e trentenni alle prese con mille difficoltà insormontabili. Quella di Monica e Karim, invece, è una storia libera da questi retaggi. Dal canto mio, penso di avere raccontato di una coppia che ha saputo con complicità trovare la propria strada e percorrerla. Volevo portare sullo schermo questo straordinario esempio.