Poveri, ma ricchissimi: recensione

Dopo Poveri, ma ricchi arriva al cinema dal 14 dicembre Poveri, ma richissimi, una commedia che non mantiene le promesse del primo film

I Tucci sono nuovamente ricchi, anzi sono Poveri, ma ricchissimi in quest’ultima commedia italiana diretta da Fausto Brizzi che riprende la famiglia di periferia capitanata da mamma Lucia Ocone e papà Christian De Sica, riportandola al cinema ancora una volta con le tasche piene di soldi e la mente vuota da qualsivoglia pensiero.

Come sappiamo, la famiglia Tucci non è più povera. O meglio, non lo è mai più stata da quando una vincita alla lotteria di cento milioni di euro li ha investiti improvvisamente conducendoli dalla loro Torresecca all’europea Milano. Ma la ricchezza, banalmente, non fa la felicità e il piccolo Kevin (Giulio Bartolomei) è riuscito a ristabilire l’equilibrio della sua famiglia facendole credere di aver perso ogni singolo soldo e riportandola nel suo paese di origine. Svelato però l’inganno, per i Tucci è il momento di fare le cose in grande: rendere Torresecca indipendente dall’Italia, istituendo un principato. E tutto questo per non pagare le tasse di una friggitoria. Una serie di eventi che porteranno ancora i membri della sempliciotta famiglia a confrontarsi con le conseguenze del denaro e di come questo incida nelle relazioni umane.

Poveri, ma ricchissimi non è un buon film. E non per le accuse!

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Poveri, ma ricchissimi non è un buon film. E non per le accuse mosse all’innominabile regista (presente tra l’altro nei titoli di coda e perciò punito soltanto di facciata in quanto assente nella promozione della pellicola) né per le imbarazzanti dichiarazioni di uno dei suoi protagonisti principali, il comico – che con le sue parole ha saputo solo far piangere – Enrico Brignano. Poveri, ma ricchissimi non è un buon film perché perde la sua base di sostegno posta dalla sceneggiatura originale alla quale si ispirava liberamente, causando un caos di qualunquismo e becera auto-critica nazionale capace solo di affossare quelle due o tre cose riconoscibili che il film precedente aveva di salvabile.

Perso quindi il sostegno presente grazie al film francese Les Tuches di Oliver Baroux, la commediola si ritrova, senza possibilità di fuga, impantanata in un’ignoranza sbandierata, ma che oramai non riesce più a far ridere, non riesce più a far svagare. E questo perché talmente esaltata, così ostinatamente sbandierata, da voler ricercare la battuta facile, la polemica sterile, il richiamo cinematografico messo tanto inutilmente quanto per pura barzelletta alla portata di tutti. Una trama sconclusionata pur sovrabbondata con esagerazione da elementi che vanno a comporre la sostanziosa trama, dove nessuna delle linee narrative è in grado di cavarsela per conto proprio, figurarsi nella grande, ingarbugliata baraonda che viene messa in piedi dal regista e dallo sceneggiatore Marco Martani.

Poveri, ma ricchissimi – La mediocrità della famiglia Tucci in un caos inefficace

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Con personaggi definiti solamente dalla pochezza intellettuale che li unisce, ad esclusione del piccolo Kevin interpretato da Giulio Bartolomei, il film si perde montando di minuto in minuto una storia che non trae nulla di produttivo dai suoi sempre più caotici avvenimenti e risolvendosi nella stessa maniera in cui era cominciato: con una soluzione troppo facile e inefficace. Nessuno degli attori sembra poi poter andare oltre la scrittura del proprio personaggio restituendone quindi tutta la mediocrità, ad esclusione della simpatica Lucia Ocone, la quale avrebbe meritato, data la sua spiccata vena comica, una possibilità migliore.

Tolte pochissime battute da risata, caso veramente isolato all’interno dell’intera pellicola a fronte delle continue gag da animazione villaggi, con Poveri, ma ricchissimi l’indignazione verso il suo fautore non sarà più solo di carattere umano, ma anche artistico. Una commedia non povera, ma poverissima.

 

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 1.5

1.8