Gli uccelli del monte Qaf: recensione del film documentario da Venezia 82

Una storia poetica e struggente sull’esilio, sulla memoria. sugli affetti e sui luoghi nei quali non è possibile tornare.

Una storia poetica e struggente sull’esilio, sulla memoria, sugli affetti e sui luoghi nei quali non è possibile tornare. Su posti e persone che continuiamo a tenere in vita con lo sguardo e che possiamo visitare solo attraverso i sogni, la tecnologia o la nostalgia. Il film documentario Gli uccelli del monte Qaf, scritto e diretto da Morteza Ahmadvand e Firouzeh Khosrovani e prodotto da Fifi Film, Antipode Films, ZaLab Film con Rai Cinema è in concorso alla 22esima edizione delle Giornate degli Autori del Festival del Cinema di Venezia. I registi Firouzeh, regista di documentari, e Morteza, artista visivo, da oltre un decennio fondono le loro visioni creative in una partnership potente. Il lavoro precedente, Radiograph of a Family, mostrava uno stile artistico e narrativo unico. Peculiare è anche il linguaggio di quest’opera il cui titolo originale è Past Future Continuous, ispirata alle esperienze personali di amici e familiari che hanno lasciato l’Iran in cerca di nuove vite all’estero che porta sullo schermo una singolare storia di videosorveglianza. Come in un Grande Fratello, i registi ci fanno entrare in ogni stanza di una casa familiare, in un habitat domestico in cui si ripetono giorni identici. Si tratta di una “misura estrema di vicinanza” congegnata dalla protagonista, che le permette di essere contemporaneamente presente/assente da quei luoghi e per le sue persone speciali.

Gli uccelli del monte Qaf – Quando in Iran la rivoluzione trionfa e gli amici attivisti di Maryam vengono incarcerati o giustiziati, la sua famiglia decide di metterla in salvo

Inquadrature fisse, schermo scomposto in parti diverse (in cui ciascuna mostra una stanza della bellissima casa dei genitori di Maryam che si trova a Teheran), uccelli in volo, brevi video d’infanzia e soprattutto una solitudine e un senso di smarrimento che erompono da ogni frame. Nella mitologia persiana il Monte Qaf è una catena montuosa immaginaria che segna i limiti della Terra, chi prova a raggiungerla ritorna sempre alla partenza. Maryam è fuggita dall’Iran all’età di vent’anni, avvolta in una pelle di pecora, nascosta tra un gregge che attraversava il confine montuoso tra Iran e Turchia. La rivoluzione aveva appena trionfato e i suoi amici politicamente attivi erano stati imprigionati o giustiziati. La famiglia della giovane, composta da un architetto e da un’insegnante, decise di salvarla a ogni costo...

Quando la comunicazione trascende parole e azioni

Nel film la comunicazione trascende parole e azioni. I luoghi e le case lasciate indietro vivono nello sguardo. Nello sguardo di Maryam che abita in Occidente. Ha lasciato l’Iran e non vi ha fatto mai più ritorno, mentre i luoghi e le persone rimaste laggiù stanno invecchiando sotto il suo sguardo. In Iran, però grazie all’aiuto dei suoi amici, fa installare telecamere di sorveglianza in tutta la casa dove ancora vivono i suoi genitori che non ricevono mai alcuna visita. Il suo collegamento con la casa, che controlla appena può (persino mentre è al lavoro, dal cellulare) è un collegamento tremolante con il passato, proiettato per lo più su uno schermo nella sua abitazione americana. Quando, a causa della guerra, si interrompono le connessioni, le immagini si bloccano o svaniscono. E si recide anche il legame con la sua terra d’origine.

Gli uccelli del monte Qaf: valutazione e conclusione

Quasi ogni iraniano rimasto nel Paese ha pensato almeno una volta di partire, mentre alcuni emigrati hanno spesso desiderato tornare. Gli uccelli del monte Qaf sposta il focus dall’atto della partenza ai luoghi e alle case lasciate indietro – spazi che col tempo si svuotano sempre più. E in questa prospettiva aumenta il valore dell’opera sceneggiata sempre da Firouzeh Khosrovani e Morteza Ahmadvand. Un lavoro che riflette sulla perdita silenziosa del legame, sul calore che svanisce in questi luoghi. Sull’amore…che resiste a ogni cosa.  «Dormo e sogno per sfuggire alla nostalgia», si sente dire dalla voce fuori campo di Maryam, che è la voice-over di una persona che richiede un’attenta comprensione. Una “voce coccolosa” che completa il linguaggio degli occhi. Incorporando presente, passato e immaginazione e portandoci su quello spazio unico e terribilmente sfuggente che segna i limiti della Terra. Così i registi danno vita a ciò che manca.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5