L’ultimo turno: recensione del film di Petra Volpe
L'ultimo turno si fa spaccato di cura e umanità, nonché denuncia di un sistema sanitario al collasso. Un film che attinge dalla nostra sensibilità per innescare una riflessione profondamente attuale.
L’ultimo turno, il film di Petra Volpe presentato alla 75ª Berlinale con il titolo Heldin e al cinema dal 20 agosto 2025 con BIM Distribuzione, provoca riflessioni sulla fine, su ciò che conta davvero, su chi va via e chi resta, sul ricordo, sull’amore che va oltre la passione, sul lavoro che si svolge e sull’identità che rimane, una volta tolto il camice e tornati a casa.
Una profonda umanità attraversa l’intero lungometraggio mentre seguiamo la protagonista del film, l’infermiera Floria Lind, interpretata dall’attrice tedesca Leonie Benesch. La sua giornata è una discesa negli inferi del reparto di chirurgia in cui lavora, scandito da lamenti, richieste talvolta insignificanti, tempi difficili da rispettare, chiacchiere liberatorie, disperazione e sollievo, farmaci da somministrare, emergenze da gestire. Floria si muove in lungo e in largo tra i corridoi freddi dell’ospedale – che la fotografia di Judith Kaufmann ritrae con glaciale perfezione – schermando il dolore altrui con una professionalità disarmante. Sul suo volto si poggia, come un calco di creta, tutta la cura che riserva al prossimo, tutto l’amore che mette nel suo lavoro.
I meccanismi di Petra Volpe e l’interpretazione di Leonie Benesch

Andare, controllare, medicare, rispondere al telefono, risolvere, ricominciare da capo. Petra Volpe costruisce una sceneggiatura dall’impalcatura meccanica, instillando fin dal principio l’idea che la fine della storia ci riservi il peggio: un errore, un incidente, una catastrofe personale. Ma nulla esplode, tutto implode, si distrugge e ricrea nel perimetro limitato della personalità della protagonista, la quale si fa argine di tutto il malessere umano.
Basta poco allo spettatore per sentirsi parte di quell’ambiente così asettico, vissuto come se non ci fosse un fuori, come se il tempo si dilatasse a dismisura senza lasciare posto al riposo, al sé che vive fuori dal lavoro. Leonie Benesch è un corpo in tensione, uno sguardo che resta sempre un passo indietro, prossimo all’uscita di sicurezza; una mano che si avvicina ma non sosta troppo a lungo. La sua Floria è il camice che indossa e con esso tutto ciò che dovrebbe sempre essere.
Come vive Floria? Dove? È felice nella vita che abita? Ciò che trapela sono solo frammenti che emergono dalle rare conversazioni con i pazienti e i colleghi, mentre il senso dell’esistenza diviene discreta presenza e la morte un passaggio obbligato quanto naturale, una liberazione dalla sofferenza, una cura da riservare a chi resta.
L’ultimo turno è una carezza fragile, uno spaccato di riflessione e umanità

Le musiche di Emilie Levienaise-Farrouch lasciano una scia di contorno, disegnano nell’aria l’idea che qualcosa stia per finire, che un’altra sia appena iniziata. Poi lì ecco che si accende una luce, nell’altra stanza se ne spegne un’altra. E affanni, fretta, corse, palpitazioni. Qualcuno sta morendo, un altro vive altrove e la musica scorre, si infila, libera i polmoni e poi ci rimette con la testa sotto il cuscino. Ci fa toccare con l’udito la fatica di vivere piano, di vivere appieno, anche quando non è più vita, proprio quando è appena finita.
“Vale la pena tutto questo strazio?” chiede, con una serenità disarmante, una giovane madre malata di tumore. E poi c’è chi teme il peggio, non per sé, ma il proprio cagnolino di 11 anni, chi se ne occuperebbe se lui non ci fosse più? Deve trovare qualcuno prima che sia troppo tardi! E poi figli che vorrebbero finalmente lasciar andare i padri, mentre altri farebbero di tutto per trattenerli ancora con sé, nonostante tutto. E chi temeva una diagnosi feroce e si è salvato, quindi al diavolo, “domani mi licenzio!”.
Per questi spaccati di vita, fragile e spietata, dispiegata nei ritmi frenetici di un ambiente freddo e che nessuno vorrebbe mai chiamare “casa”, L’ultimo turno si fa spaccato di cura e umanità, un agglomerato di vulnerabilità in cui tutti sono sullo stesso piano.
Un film che ci sorregge con cautela, iniziando da un punto imprecisato del giorno, che però dal titolo apprendiamo essere l’ultimo istmo di una giornata fatta di turni massacranti, fino a condurci al termine effettivo della giornata, in una città dall’identità imprecisata, in cui le luci si riflettono sui vetri dell’autobus e si può finalmente sprofondare sulla spalla di qualcuno, riprendersi un granello di quella cura che per tutte le ore addietro hai donato, senza pretenderla indietro.
E mentre Hope There’s Someone di Anohni and the Johnsons suona in sottofondo – “Hope there’s someone/ Who’ll take care of me/ When I die, will I go? […]” – L’ultimo turno ci ricorda che: “Nel 2030 in Svizzera mancheranno 30.000 infermieri qualificati. Il 36% del personale infermieristico di ruolo abbandona il posto entro 4 anni. La carenza di personale infermieristico rappresenta un rischio sanitario globale. L’OMS stima che entro il 2030 mancheranno circa 13 milioni di infermieri nel mondo”.
L’ultimo turno: valutazione e conclusione

L’ultimo turno di Petra Biondina Volpe non è solo un film sulla morte, bensì un’opera che attinge dalla nostra sensibilità per innescare una riflessione sulla vita, senza tuttavia gongolare sulla poeticità filosofica della stessa, piuttosto costringendoci a mettere il dito nella piaga purulenta, a vedere con i nostri occhi l’emergenza sanitaria in cui siamo già dentro, l’atteggiamento errato che spesso riserviamo a chi ci cura, il collasso di un sistema che la politica ha dilaniato, di un ruolo che la nostra società ha svilito. Se la canzone di Anohni and the Johnsons custodisce una speranza silenziosa – “Who’ll take care of me/ When I die, will I go?/ Hope that someone/ Will set my heart free” – noi abbiamo il dovere di lavorare affinché quella speranza sia certezza.
Il film, al cinema dal 20 agosto 2025 con BIM Distribuzione, è stato prodotto da Zodiac Pictures e vede nel cast, oltre che dalla già citata Leonie Benesch, anche Jasmin Mattei, Alireza Bayram, Aline Beetschen, Lale Yavas, Margherita Schoch, Jürg Plüss, Sonja Riesen, Ali Kandas, Andreas Beutler e Doris Schefer. Il montaggio è di Hansjörg Weissbrich.