Cannes 2016 – aspettando la Palma d’Oro fra delusioni ed entusiasmi

Mancano ormai poche ore alla proclamazione del vincitore della Palma d’Oro di Cannes 2016, ed è tempo di tirare le somme, oltre che di azzardare qualche pronostico. Un’edizione, quella che sta per finire, caratterizzata da grandi nomi e relative aspettative che – purtroppo – non sono state sempre soddisfatte. Colpa o responsabilità di una scelta dei film in concorso non molto brillante, dettata forse dalla necessità di portare sul red carpet attori e registi popolari, mettendo in secondo piano la sostanza che, in numerosi casi, si è rivelata molto deludente. Affrontiamo allora un excursus attraverso i film in concorso, partendo proprio da quelli da cui ci saremmo aspettati di più.

Ma Loute, di Bruno Dumont

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Un film attesissimo, con un cast di fuoriclasse (dalla nostra Valeria Bruni Tedeschi a Fabrice Luchini a Juliette Binoche) e un regista molto amato soprattutto in Francia, a causa del suo linguaggio ironico e amante dei messaggi tra le righe. In Ma Loute, Dumont sceglie di dare vita ad un commedia che, nonostante l’inizio convincente, non fa che ripetersi durante le sue due ore di durata, riproponendo senza sosta buffe cadute, giochi di parole, grida e momenti di puro eccesso che rendono il film ben presto stucchevole, se non insopportabile. Un film che ha diviso la critica ma che, in generale, non ha entusiasmato, a riprova del fatto che non basta difendersi dichiarando di aver voluto trasmettere un messaggio: una commedia deve innanzitutto divertire e poi – semmai  – far riflettere.

Julieta, di Pedro Almodòvar

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Non un brutto film, anzi, ma sicuramente sottotono rispetto ad altre sue opere, a causa di un desiderio di calcare la mano per suscitare emozioni che non emergono naturalmente, col risultato di regalare più di una scena stile soap-opera. Un film in cui Almodòvar racconta innanzitutto se stesso e le proprie paure, evidentemente catartico ma lontano dalla potenza di altre sue pellicole. Un sì debole, soprattutto per le perle a cui il regista spagnolo ci ha abituato.

Juste la Fin du Monde, di Xavier Dolan

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Discorso simile per quanto riguarda il film del giovane regista canadese, osannato in Francia. Il suo è un buon film ma non all’altezza di Mommy, incantevole rappresentazione del rapporto madre- figlio e dei limiti reciproci nel gestirlo, sullo sfondo di una relazione con un mondo troppo sulla difensiva per riuscire ad accogliere la diversità. Juste la Fin du Monde sembra voler in un certo modo ostentare – forse con un briciolo di presunzione – quello stile a grande impatto emotivo, basato su una  forte sinergia fra immagine e colonna sonora, caratteristica principale del talento (abbondante) di Dolan. Un film che ha sofferto forse anche di un copione vincolato dall’opera da cui è tratto e dell’impossibilità di esprimersi con quella spazialità in grado di far fare grandi cose al regista. Fatto sta che – nonostante le emozioni non manchino – il suo ultimo film risulti più barocco e meno sincero degli altri. Peccato.

The Last Face, di Sean Penn

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Qui il disappunto della critica è stato unanime: che Sean Penn fosse molto meglio come attore ha già avuto i suoi riscontri, ma The Last Face è sinceramente un film irreparabilmente brutto. Non bastava un tema scottante come quello della guerra e scene sanguinarie degne di un film splatter a corredo della testimonianza simil-documentaristica nelle intenzioni del regista: ci voleva pure la storia d’amore melensa e dagli scambi di battute e situazioni irripetibili e le ambizioni da colossal, sottolineate dal coinvolgimento sprecato di Hans Zimmer per le musiche. Il risultato è un’accozzaglia di scene forzatamente strappalacrime che, in più punti della proiezione stampa, hanno invece strappato risate. Non c’è molto altro da dire. A salvare questa spericolata scelta della Giuria, solo l’occasione di un red carpet di bellissimi che, come accennato all’inizio, purtroppo e per fortuna ha una funzione fondamentale nella realtà del Festival di Cannes.

Cannes 2016: tante delusioni ma anche qualche colpo di fulmine, nella speranza di una Palma d’Oro entusiasmante

Fortunatamente, nella massa di film brutti o non entusiasmanti, Cannes 2016 ha riservato anche qualche opera memorabile ed originale, frutto della creatività e dell’entusiasmo di registi indipendenti che vi hanno riversato tutto il loro amore per il Cinema. Vediamo quali sono stati i nostri preferiti.

I, Daniel Blake, di Ken Loach

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Che dire di questo bellissimo film che – con il cuore in mano ma senza mai perdere dignità – racconta una vicenda fatta di empatia ed insormontabili difficoltà burocratiche, alleggerite solo dall’amicizia disinteressata e inaspettata tra persone che in comune hanno solo la sensibilità e la sfortuna di avere bisogno del sostegno dello Stato. Un film dall’enorme potere comunicativo,  che racconta la rabbia senza mai alzare i toni, facendo parlare le immagini ed i protagonisti con rara maestria. Ken Loach si dimostra ancora una volta soave maestro nel parlare del sociale, facendo sì che I, Daniel Blake si annoveri tra i favoriti per un premio, almeno quello della Giuria.

Personal Shopper, di Olivier Assayas

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Ancora una volta, Olivier Assayas si dimostra abile auriga di viaggi all’interno degli abissi della mente umana. Personal Shopper è un’acuta ghost story, che racconta i fantasmi interiori più che quelli dell’aldilà, mostrando una bravissima Kristen Stewart alle prese con la ricerca dell’anima del gemello defunto che – in un intrigante gioco di specchi – finisce per essere la sua. Un film da premio, dotato di ritmo, contenuto e suspense. La nostra  (pressoché impossibile) Palma d’Oro.

The Neon Demon, di Nicolas Winding Refn

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E qui ritorna l’estrema divisione della critica. Nicolas Winding Refn si veste da Re della provocazione per prenderci in giro con l’aspettativa di un horror che si rivela, invece, acutissimo thriller psicologico, dotato di una psichedelia da cinema d’avanguardia. The Neon Demon affronta il tema della bellezza e della insidie che si nascondono dietro al considerarla unico valore dell’individuo, creando un delirio visionario ed incantevole che, pur con qualche virata splatter forse risparmiabile, si annovera il titolo di opera più interessante ed originale di Cannes 2016. I posteri gli daranno ragione.

Elle, di Paul Verhoeven

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Quest’edizione del Festival di Cannes ha lasciato il meglio per la fine. Elle ne è la riprova, con il suo irresistibile mix di intelligenza, ironia e intrigo. Un film in cui il cineasta olandese propone le tematiche a lui care (erotismo, moralità, vendetta) e sembra giocare con lo spettatore e con se stesso, strizzando l’occhio con un film che si fa geniale parodia di pellicole per il quale la critica lo ha massacrato, come il celeberrimo Basic Instinct. Una prova vincente, coronata da un’attrice protagonista, Isabelle Huppert, assolutamente da premio.

Menzione d’onore va anche a Paterson, poetico viaggio attraverso le emozioni quotidiane di una vita semplice, Loving per la delicatezza con cui Jeff Nichols espande la sua ricerca di riparo, già magistralmente messa in scena con Take Shelter rendendosi silenzioso testimone del potere della perseveranza nel raggiungere obiettivi che sembrano impossibili, Bacalaureat, storia di un padre disposto a scendere a qualunque compromesso con la propria moralità pur di salvare la figlia e Forushande (The Salesman) per l’originalità con cui Asghar Farhadi sovrappone il teatro come spazio artistico al teatro della vita, raccontando il sottile ma fondamentale confine fra vergogna ed umiliazione, sullo sfondo della precarietà della situazione iraniana. Una probabile Palma d’Oro che potrebbe mettere d’accordo l’eterogeneità della giuria, grazie al suo equilibrio fra originalità, impegno sociale ed introspezione.

La nostra analisi ha volutamente lasciato fuori film papabili del titolo come il rumeno Sieranevada, molto apprezzato dalla critica, e l’originale American Honey. Film interessanti per tematica e sviluppo ma a nostro avviso appesantiti da quell’ambizione di avvicinarsi ad un realismo che, in alcuni casi, fa perdere un po’ di vista un attributo del Cinema fondamentale per chi scrive: avere una storia da raccontare e suscitare emozioni che non si dissolvano con i titoli di coda.
È la nostra speranza per la Palma d’Oro di quest’anno: che sia consegnata ad un film memorabile e che invogli una seconda visione, desiderio che – al di là dei facili intellettualismi – molte opere di quest’anno, valutate a 4 stelle, non suscitano, nemmeno secondo chi li ha osannati.