Da Scorsese a Sorrentino: 10 film in cui il cinema ha raccontato la mafia

La mafia, la malavita, il malaffare finiscono spesso per essere protagonisti dei film di grandi registi come Francis Ford Coppola, Brian De Palma e Martin Scorsese. Prima di loro, fu Howard Hawks a cimentarsi nel cosiddetto gangster movie con Scarface del 1932. Col film, il regista aveva costruito il personaggio di Tony Camonte ispirato ad Al Capone, gangster sanguinario e tormentato, la cui complessità psicologica suscita insieme fascino, odio e repulsione, mix di straordinaria efficacia cinematografica. Accanto a questo genere che vuole decifrare il codice etico ed estetico delle mafie, interpretarne i controversi sistemi di valori, il linguaggio, il cattivo gusto nell’arredamento, nel modo di vivere e di vestire -l’immedesimazione in Al Capone fu per De Niro in The Untouchables un’esperienza talmente interessante che insistette per indossare gli abiti confezionati dallo stesso sarto di Al Capone. legati al tema della mafia vanno pure considerati quei film di denuncia di stragi e crimini che hanno caratterizzato gli anni ’70 e ’80 e su cui, oggi come ieri, si stende il velo pietoso dell’omertà e della rassegnazione.

Il cinema che ha raccontato la mafia: scopri qui i 10 film da non perdere!

Il padrino (1972) di Francis Ford Coppola

Scorsese

Coppola ha realizzato un’opera che è una commistione dei generi più apprezzati dal pubblico del grande schermo: noir, pulp, drammatico. Il successo fu immediato e ancora oggi la pellicola, con i suoi sequel parte II e parte III, è tra le più amate della storia del cinema.

Il film ha anche sancito il ritorno trionfale di Marlon Brando sul grande schermo. L’interpretazione di Vito Corleone, boss mafioso di origine siciliana emigrato a New York, valse all’attore un Oscar come Miglior attore protagonista. Il premio, come in molti ricorderanno, fu rifiutato e alla cerimonia comparve un’attivista degli Indiani d’America. Con Il padrino sono state gettate le fondamenta di un’epica sulle organizzazioni criminali mafiose ormai divenute parte della cultura e della storia americana, esplorate attraverso una saga familiare avvincente e cruenta, che vede come protagonista i Corleone, per i quali tutto è lecito, escluso disonorare il sacro vincolo familiare. Coppola insegna che non c’è nulla di paradossale in questo, almeno considerando i paradigmi etici e comportamentali dei mafiosi, per conoscere i quali questo film diventa necessario.

Quei bravi ragazzi (1990) di Martin Scorsese

Scorsese

Ray Liotta, Robert De Niro e Joe Pesci in un trio indimenticabile che fece ottenere a quest’ultimo il premio come Miglior attore non protagonista agli Academy Awards, nei panni di Tommy, ritratto mostruoso di un mafioso psicopatico ed inutilmente violento.

Henry Hill (Ray Liotta) di origini italiane ed irlandesi cresce in un quartiere degradato di Brooklyn entrando a far parte della banda dei bravi ragazzi (The Goodfellas, che dà il titolo al film) facendo carriera nella malavita sperimentando ogni genere di crimine: dai furti alla sede della Lufthansa, al traffico di droga, alle aggressioni.

La critica di Scorsese nei confronti dello stile di vita mafioso, per quanto necessariamente velata, resa quasi impercettibile, per evitare troppo facili e stucchevoli moralismi, è presente e decisa. Come in ogni film di Scorsese è curatissima la colonna sonora che prevede pezzi di artisti vari dal punk di Sid Vicious allo swing di Tony Bennett che oltre a rendere vivace ed estremamente godibile il film, riesce a far rivivere a pieno il clima del trentennio che il film copre con le sue quasi tre ore.

The Untouchables – Gli intoccabili (1982) di Brian De Palma

Scorsese

Il film racconta della squadra degli intoccabili, gli impeccabili, incorruttibili poliziotti che riuscirono a far capitolare Al Capone (Robert De Niro) e la sua banda, impegnata nel contrabbando di alcol nella Chicago degli anni ’30. I quattro sono: Eliot Ness (Kevin Costner), Jimmy Malone (Sean Connery che ha ottenuto il premio Oscar come Miglior attore non protagonista per questo ruolo), George Stone (Andy García) o meglio Giuseppe Petri prima che il poliziotto decidesse di cambiare nome -perché il peso di avere un cognome italiano non doveva essere indifferente in quel contesto -e Mike Dorsett (Richard Bradford). La trama ha un sapore classico: la lotta tra il bene e il male, il coraggio di pochi eroi e la loro determinazione nel perseguire la giustizia, l’intimidazione dei mafiosi ad un passo dalla vittoria dei giusti. L’eleganza della cinepresa di Brian De Palma e il cast eccezionale, oltre alle virtuosistiche citazioni a pietre miliari del cinema come quella più evidente alla Corazzata Potëmkin di Sergej Eisenstein, rendono la pellicola un’opera monumentale su un’epoca cruenta della storia statunitense ed un immancabile riferimento per il genere gangster.

Scarface (1983) di Brian De Palma

Scorsese

De Palma riprende da Hawks il personaggio di Tony Montana interpretato brillantemente da un istrionico Al Pacino, scelto dal regista in seguito al rifiuto di De Niro. Cambia invece l’ambientazione: non più la Chicago degli anni del proibizionismo protagonista del precedente capolavoro del regista, The Untouchables, ma la Miami degli anni ’80.

La storia è incentrata sull’ascesa e sul declino di un trafficante di cocaina che tenta di perseguire la sua depravata idea di sogno americano. La pellicola è diventata un cult anche grazie alla sceneggiatura di Oliver Stone che, interessatosi ad un confronto con ex criminali ed agenti dell’antidroga riuscì a conferire un realismo mai visto prima in film del genere. Ma Brian De Palma preferisce andare oltre adottando uno stile barocco, scenografie e costumi trionfalmente kitsch, compiacendosi della violenza eccessiva ed ingiustificata che domina le quasi tre ore di film.

Casinò (1995) di Martin Scorsese

Scorsese

Cash, paillettes e fiches da casinò sono gli elementi che meglio sintetizzano e descrivono l’universo patinato e scintillante di Las Vegas, in cui Sam “Asso” (Robert De Niro) ha da poco inaugurato un nuovo casinò che gli è stato affidato come riconoscimento per la sua abilità innata nelle scommesse dalla Chicago Outfit. Come in Quei bravi ragazzi, Joe Pesci interpreta uno di quei “mangia spaghetti” dalla mano pesante, irrequieto, nevrotico, un ottimo ottuso scagnozzo cui è stato ordinato di difendere Asso. La scena in cui Nicky Santoro (Joe Pesci, per l’appunto) pianta una biro al collo di un avventore che in un bar ha dato una risposta sgarbata ad Asso è di una violenza inaudita e lo stesso Sam resta esterrefatto. Ginger (Sharon Stone nella performance migliore della sua carriera che le valse la nomination agli Oscar) è la degna compagna di quest’ultimo: abilissima truffatrice, bionda e priva di scrupoli, femme fatale e reginetta della roulette francese.

All’uscita del film, qualcuno pensò che fosse il seguito di The Goodfellas, ingannato forse dalla presenza di De Niro e Joe Pesci nel cast. Ma Scorsese è stato in realtà molto più ambizioso, infatti scelse per l’occasione di rimettersi in gioco con un adattamento cinematografico di un altro romanzo di Nicholas Pileggi, Casino: Love and Honor in Las Vegas. L’energica colonna sonora, composta prevalentemente da brani rock, suggella il made in USA di questo altro grande classico scorsesiano del genere.

The Departed (2006) di Martin Scorsese

Scorsese

“Quando avevo la tua età, i preti ci dicevano che potevamo diventare poliziotti o criminali. Oggi quello che ti dico io è questo: quando hai davanti una pistola carica, qual è la differenza?” – questo è quanto Francis “Frank” Costello (Jack Nicholson) dice ad un giovane Colin (Matt Damon) ed il nucleo del film. Mentre Colin, figlioccio di Costello, un boss della malavita irlandese insinuatasi nei sobborghi di Boston, è riuscito ad inserirsi brillantemente nella polizia passando informazioni a Frank, Billy (Leonardo DiCaprio) cerca di farsi strada come poliziotto iniziando da un’operazione segreta per cui deve infiltrarsi nella banda di Costello per poi incastrarlo. Scorsese gioca a confondere i ritratti di Matt Damon e Leonardo DiCaprio, impegnati da parte loro in una gara di bravura, scegliendo per questi costumi simili, atteggiamenti simili, costruendo un ménage à trois con una psicologa che passa da Billy a Colin, a sottolineare la similitudine dei due personaggi, entrambi “talpe” per necessità e le cui vicende sono parallele e gli obiettivi opposti. A sfidare i due talenti sul set è anche Jack Nicholson, criminale-filosofo che cita John Lennon, iconico nei suoi inquietanti sorrisi sardonici.

La vulcanica colonna sonora, l’eccellente recitazione e l’impeccabile regia di Scorsese, vero appassionato del genere, fanno di questa pellicola il miglior film del regista dell’ultimo decennio, senza in ogni caso raggiungere la compiutezza di Casinò e Quei bravi ragazzi. 

I cento passi (2000) di Marco Tullio Giordana

Scorsese

Una poesia di Majakóvskij penetra violenta nell’animo di un giovanissimo Peppino Impastato (Luigi Lo Cascio), poco dopo che i mafiosi hanno fatto saltare in aria l’automobile di suo zio. Arriva come consolazione per il lutto e diventa, in seguito, una dichiarazione di impegno civile per Peppino, fondatore del circolo Musica e Cultura, un’esperienza unica dal punto di vista culturale per la piccola città di Cinisi, e di Radio Aut, il mezzo principale attraverso cui il ragazzo ed i suoi amici denunciano le attività illecite dei mafiosi della loro città, prendendo in giro ognuno di questi, senza risparmiare nessuno. Neanche suo padre. Il padre di Peppino è infatti legato alla mafia che di fatto gli ha dato la possibilità di aprire un’attività e quindi crescere i figli, come non mancherà di rinfacciare il boss Don Tano a Peppino, il quale tuttavia continuerà a contrastare fieramente e allegramente l’indolenza del padre ed ogni genere di sopruso esercitato da parte dei mafiosi e rimasto impunito. Il giovane Peppino vede nel socialismo l’unica forza politica in grado di opporsi alla società mafiosa non lasciandosi influenzare neppure, come forse era facile a quei tempi, da certe ingenuità sessantottine, mantenendo sempre i piedi per terra e facendosi ugualmente beffa di mafiosi e fricchettoni che ballavano nudi in spiaggia:

“Qui non siamo a Parigi, non siamo a Berbley, non siamo a Woodstock e nemmeno all’isola di White. Qui siamo a Cinisi in Sicilia, dove non aspettano altro che il nostro disimpegno, il rientro nella vita privata.”

Il ritratto di Peppino che Giordana ci consegna è quello di un ragazzo coraggioso, impegnato, onesto, non di un eroe. Al regista piace immaginare Peppino come un ragazzo gioioso che ancora, ogni tanto, alla politica preferiva ballare il rock con i suoi amici. Giordana non si fa scrupoli nel citare Rosi di Le mani sulla città, manifestando chiaramente la volontà di porsi in linea di continuità con l’opera di questi, raccontando l’Italia degli anni di piombo come fece più tardi con La meglio gioventù, affiancato sempre da Lo Cascio.

Le conseguenze dell’amore (2004) di Paolo Sorrentino

Scorsese

“Progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dell’amore” annota Titta di Girolamo (Toni Servillo) nel suo taccuino dopo aver conosciuto Sofia (Olivia Magnani, proprio niente a che vedere con la nonna Anna, ma adatta alla parte). Un amore puro, salvifico, che nasce in Titta insieme ad un sentimento di disprezzo verso se stesso e verso l’attività che è costretto a portare avanti. Titta vive in un hotel di lusso in Svizzera da otto anni, provvede a depositare in banca i soldi di Cosa Nostra, un lavoro tedioso ed umiliante che la mafia gli ha assegnato per aver mal investito i soldi di questa in un’operazione precedente. È sposato e separato, ha tre figli che lo odiano, una vita distrutta dall’insonnia e dalle abitudini: giocare ad asso piglia tutto nella hall dell’hotel e iniettarsi una dose di eroina ogni mattina sono per Titta passatempi ugualmente penosi. Le conseguenze dell’amore sono l’abbandono della formalità o almeno dell’ipocrisia con cui Titta difendeva la propria solitudine nei rapporti con gli altri.

La regia ricercata ma sobria di Sorrentino, lo scrupolosissimo lavoro di sceneggiatura, la colonna sonora malinconica, ansiosa, meravigliosa, contribuiscono a rendere questo film un ottimo lavoro.

La mafia uccide solo d’estate (2013) di Pierfrancesco Diliberto

Scorsese

Vent’anni di mafia: dalla strage di viale Lazio a quelle di Capaci e di via d’Amelio del ’92, raccontati con ironia ed una leggerezza innocente da Pif, che in ogni caso non riesce -e non vuole- a svilire né a ridimensionare la drammaticità degli eventi che coinvolsero Palermo in quegli anni. Raccontare quel ventennio disgraziato attraverso la storia di Arturo (Pif), un bambino che sogna di diventare giornalista per conquistare Flora, la sua graziosa compagna di classe, sembra essere il modo migliore per accrescere la consapevolezza dello spettatore nei confronti del fatto che la mafia esiste, è una realtà che condiziona la vita di chiunque. Questione non troppo facile da accettare negli spensierati anni ’80 in cui persino il presidente del consiglio Giulio Andreotti preferiva andare ai battesimi piuttosto che ai funerali di chi, come il prefetto di Palermo Dalla Chiesa, aveva da un lato provato a contrastare Cosa Nostra, dall’altro non mancava di far presente la scarsità di mezzi che lo stato gli metteva a disposizione per quella missione che gli valse la vita. La scena in cui il piccolo Arturo si presenta ad una festa in maschera vestito da Andreotti e recitando: “Il popolo sbaglia spesso, tranne in cabina elettorale” con tutta l’ingenuità di un bambino è esilarante e per questo indimenticabile.

Gomorra (2008) di Matteo Garrone

Scorsese

Basandosi sull’omonimo best seller di Roberto Saviano, il regista romano ha selezionato alcune storie intrecciandole tra loro per dar luce ad un film dalla bellezza straziante. Le Vele di Scampia sono l’oscuro palcoscenico che ospita la guerra tra il clan Di Lauro e gli scissionisti, mentre altrove Marco e Ciro, due adolescenti, giocano a fare i delinquenti con le armi della camorra, vivendo nel mito di Scarface e sognando di far parte del sistema; il sarto Pasquale è costretto a rinunciare alle soddisfazioni della professione in cui eccelle per diventare camionista, mentre il giovane Roberto, assistente di un trafficante di rifiuti tossici rinuncia ad assaggiare le pesche provenienti dai territori che contribuisce egli stesso in una certa misura a contaminare, facendoli morire di cancro ed intossicazione. Il film di Garrone è una raccolta di racconti, in cui l’indiscussa protagonista è la camorra.

Il napoletano del film è una lingua straniante, arricchito e completato dai termini utilizzati nel gergo camorristico, al punto da rendere necessari i sottotitoli: artificio attraverso il quale Garrone fa presente che le province di Napoli e Caserta costituiscono una realtà a parte, una terra straniera, le cui leggi non possono essere comprese da tutti.

Testo di Francesca Menna