Venezia 73 – Une Vie: recensione del film di Stéphane Brizé, tratto dal libro di Guy de Maupassant
Une vie è un film di Stéphane Brizé, presentato in concorso a Venezia 73 con Judith Chemla, Jean-Pierre Darroussin, Yolande Moreau e Swann Arlaud.
Une Vie è tratto dal libro omonimo di Guy de Maupassant e narra della vita di Jeanne (Judith Chemla), giovane aristocratica figlia del barone Simone-Jacques Le Perthuis.
1819, Jeanne è piena di speranze, una giovane donna tornata dal collegio, che torna a vivere nel suo lussuoso castello in Normandia. Ben presto si fidanza e va in sposa al visconte Julien de Lamare. I suoi giorni matrimoniali sono entusiastici e passionali, lui è un uomo gentile e straordinariamente affascinante, ma sposare chi non si conosce a pieno porta molto spesso a rivelazioni disattese. Julien in modo quasi istantaneo svela i suoi innumerevoli difetti. Non era la persona che si era dimostrato essere nei primi tempi, in realtà è un essere molto presuntuoso, egocentrico e avido.
Determinato a cacciare di casa la serva Rosalie perché incinta di uno sconosciuto, Jeanne non si riserva di difenderla con tutta se stessa. Rosalie è come una sorella, hanno avuto la stessa balia e si trova messa alle strette e in enorme difficoltà, senza una vera famiglia. Jeanne non gli può permettere una tale cattiveria.
Ma i veri motivi di un allontanamento del genere, frettoloso e spregiudicato qual è, hanno delle basi, delle ragioni fortissime. Jeanne scopre tutte le menzogne e le ignobili malefatte del marito; prova a perdonarlo e non smette mai di amarlo (platonicamente). La sua condizione viene ribaltata da una forza, o da una cecità, che la costringono a dimenticare tutto il dolore che le ha arrecato e davanti alla contrizione e all’asservimento di lui, dei genitori e del prete, cede e il loro matrimonio apparentemente si consolida.
Ma un fedifrago difficilmente abbandona i suoi passi; a maggior ragione quando poi si stringono patti e due si sposano per tacita convenienza, nonostante l’affetto incondizionato di lei per Julien.
La sua vita tempestosa è illuminata dalla nascita di Paul, suo figlio, la sua unica gioia, l’amore che per una vita ha atteso ora può essere finalmente ricambiato. Ma chi nasce con Saturno contro è quasi destinato a trovar pene ovunque.
Paul è prima un bambino incompreso, pieno di disordini interiori, poi crescendo arpiona il suo ideale cordone ombelicale e si distacca dalla madre per fuggire con una donna di dubbia moralità. Il dolore che ne consegue e che si abbatte su Jeanne è implosivo e devastante. La sua esistenza continua in modo funesto, a spartiti di sventure, di quanto in quanto le sue piccole gioie arrivano ma non riescono a rischiarare un cielo perennemente in tempesta.
Quando la bellezza estetica incontra l’impraticabilità narrativa ci si trova in imbarazzo di fronte a un paradosso che ci pone nella condizione di dover giudicare una pellicola per le sue evidenti falle espositive, nonostante una mise-en-scène precisa e meno dozzinale ma non sufficiente per una resa soddisfacente nella sua interezza.
Quindi ci poniamo nell’ottica da romanzo d’appendice e pensiamo all’autore. Per chi ha avuto il piacere di soffermarsi su questo scritto, Une Vie è un racconto ad una voce eppure nessun personaggio è lasciato ai margini, cosa nella pellicola è assolutamente falso, la narrazione naturalista restituisce al lettore quell’oggettività, quella denuncia sociale che è incoerentemente pallida nella trasposizione.
La sconfitta di Guy de Maupassant
Ecco, ogni buon lettore sa perfettamente quanto Guy de Maupassant come romanziere e come autore illustre sia stato sconfitto: sconfitto da una prosa filmica scarna, demolita, e condizionata da una ipotassi narrativa, la trama dipende totalmente dal dolore della protagonista, non c’è altra via d’uscita, non c’è altro a parte le lacrime che solcano per un’ora e mezza di film il volto del personaggio, e dell’attrice dopo tutto, che ha sottratto a Jeanne il suo reale temperamento e quel carattere che sottende ogni tipo di umanità.
Une Vie rappresenta tutto ciò che cinematograficamente si dovrebbe evitare. Jeanne è un personaggio a due volti, il primo ride il secondo piange, incapace di andare oltre la trama di un soggetto basato sul Maupassant degli inizi, quello imperniato sull’interiorità, sulla psicologia e la condizione della donna, ma non drammaticamente così basso e dialetticamente da dimenticare.
Trattasi di una commedia da canale televisivo Tele Emozioni o Rete strappami una lacrima che onestamente in un Festival come quello di Venezia, certo con i suoi paradossi e le sue ambivalenze, non avrebbe meritato di tenere il pubblico, sfortunato quello pagante, a subire due ore di incertezze attoriali, un adattamento da far voltare nella tomba anche il francofilo più convinto, il cui unico merito sta nelle ambientazioni, la pioggia, le foglie morte sulla via di casa, che malauguratamente sono la cosa più viva ed espressiva del film.
Quindi andare in sala per vedere due ore di foglie morte può valere il senso di un festival? Non lo sappiamo, ma la prossima volta il parco dietro casa, quello con l’erba mai tagliata e quel gusto fresco di spaccio e preservativi rotti acquisterà un suo fascino d’ora in poi.