Superman Returns: recensione del film di Bryan Singer

Un capitolo rivisitato che non trova equilibrio durante il suo svolgimento. Brandon Routh guida un cast indovinato ma non valorizza le scene a dovere.

Un grande sforzo produttivo si nasconde dietro la lavorazione di Superman Returns, rivisitazione della mitologia dell’Uomo d’Acciaio firmata Bryan Singer (X-Men, X-Men 2, I Soliti Sospetti). Un’operazione rischiosa, azzardata per certi versi. L’obiettivo era quello di valorizzare nuovamente la figura del supereroe più amato di sempre, con un cast aggiornato e una direzione più dinamica e all’avanguardia. La resa complessiva non convince appieno, soprattutto sul fronte del ritmo e del bilanciamento di toni.

Superman Returns: non abbiamo più bisogno di Superman

superman returns recensione cinematographe.it

Nell’esplorare lo spazio profondo per ritrovare i suoi antenati, senza un riscontro positivo, l’incorreggibile Kal-El (Brandon Routh) torna sulla Terra per allacciare di nuovo i rapporti con le persone che lo hanno accolto e cresciuto fin da bambino. Il cuore del film sta nell’analisi di un uomo sconfitto nello spirito e in cerca di una casa per proteggere il suo lato più vulnerabile, una sensibilità non comune malleabile e in grado di indebolirlo notevolmente. Non c’è più un posto fisso per lui, con il popolo di Metropolis che ha cominciato ad adattarsi senza la presenza di Superman.

Nel frattempo si seguono le vicende di un altro personaggio importante e degno di nota: Lex Luthor (Kevin Spacey). Parallelamente alla parabola discendente di un eroe senza rifugio, Lex sta progettando un piano che sconvolgerà l’assetto strutturale dello strato terrestre con la creazione di un nuovo continente. Due punti di vista vengono approfonditi, senza trovare un punto di incontro convincente fra sezioni movimentate e ricchi di effetti digitali e dialogo costruito in modo da affezionarsi al personaggio di Kal-El. Il simbolo della superpotenza americana svolge il ruolo di guida, di condottiero e portatore di grandi valori da riscoprire. Il successo dei precedenti film sull’Uomo d’Acciaio era dovuto perlopiù alle innovazioni tecnologiche e non cambia la formula con la pellicola di Singer.

Un grande sfoggio di orpelli visivi ancora validi

superman returns recensione cinematographe.it

Visivamente Superman Returns si mantiene fresco, in linea con gli standard previsti dalle produzioni odierne. L’intervento della computer grafica è impeccabile, in particolare nelle sequenze in cui Superman deve far fronte a catastrofi causate dalla tecnologia del suo pianeta natale, Krypton. Lex Luthor non si fa scrupoli per ingigantire il suo ego e rivoluzionare di netto la facciata di una città flebile e sull’orlo del caos. Un elemento di trama vincente da trattare per il regista statunitense, in prima linea per presentare un campionario di poteri e ritocchi visivi ancora al passo coi tempi.

La Sony Pictures Imageworks (Spider-Man: Un Nuovo Universo) ha contribuito a rendere viva e vibrante la città di Metropolis, con le sue strutture in verticale che non riescono a toccare il cielo quanto l’eroe dal mantello rosso. Le soluzioni visive vorrebbero prendere il controllo del girato, ma bisogna fare i conti con la delineazione e l’analisi caratteriale dei protagonisti assoluti di Superman Returns. Sotto questo determinato aspetto, la scrittura appare non particolarmente efficace e poco propensa a rendere tridimensionali il trio composto da Kal-El/Clark Kent, Lois Lane (Kate Bosworth) e Lex Luthor.

Gli attori sono stati selezionati accuratamente ma nell’approcciarsi alle riprese in fase di rifinizione non regalano performance travolgenti: Brandon Routh è il fisico giusto da proporre per far brillare un film dalla durata piuttosto estesa (si parla approssimativamente di 150 minuti). Il suo Superman è spavaldo ma al contempo innocente, assume un atteggiamento mansueto quando veste i panni di Clark Kent, ma non risulta espressivo al punto giusto per immedesimarsi in lui. Il resto del cast segue un copione predefinito che conduce ad una esplosiva resa dei conti senza risvolti eclatanti e meritevoli di considerazione. Un Bryan Singer ispirato nella forma ma condizionato da una scrittura debole nelle ultime battute ricalca le orme del suo modello di ispirazione, il Superman del 1978 diretto da Richard Donner, con risultati non particolarmente eccelsi ma nel complesso godibili se ci si sofferma sul cammino del kryptoniano combattuto e desideroso di affetto.

[badge-votazioni)

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.8