Shame: recensione del film con Michael Fassbender

In Shame, a Michael Fassbender spetta il delicato compito di esprimere ogni possibile sfaccettatura della parola vergogna: un lavoro da fuoriclasse in cui l'attore offre una performance semplicemente memorabile.

Shame, autentica opera d’arte firmata Steve McQueen, ha un solo difetto: il rischio di essere ricordata principalmente per il nudo integrale di Michael Fassbender che, con questa pellicola, conferma di meritare di essere apprezzato molto più per il suo talento eccezionale che per l’innegabile fascino di cui Madre Natura l’ha dotato. Un’opera in cui le scelte registiche hanno un ruolo determinante, permeata di potenti simbologie che prendono vita grazie alla perfetta ambientazione nella quale collocare la vita sregolata e solitaria di Brandon, la città dalle mille possibilità: New York. Seguendo le parole del regista:

New York è l’epicentro del capitalismo, ne mostra tutte le derive. E da un punto di vista scenografico la verticalità estrema, tutta cielo e finestre è affascinante.

Shame Michael Fassbender Cinematographe.it

Michael Fassbender in una scena del film

Non solo: la verticalità di New York si erge a chiave di lettura dell’intero film, fatto di rapidi passaggi dalle altezze vorticose di appartamenti tra le nuvole agli abissi della metropolitana, in uno scambio continuo fra attori e ambienti che parla della deriva di Brandon, vittima di quella dipendenza circolare e crescente dall’estasi fisica che, al posto di lenire le sue profonde ferite, non fa che spingerlo sempre più in basso, negli inferi del suo stesso malessere. L’alienante ripetitività della vita del protagonista (sintetizzata perfettamente nella prima scena di nudo frontale, in cui Brandon cammina per casa spostandosi circolarmente tra camera da letto, telefono e bagno) si rispecchia anche nelle peculiarità fisiche del suo appartamento, sospeso lassù, dove nessuno lo può vedere e giudicare: un assemblamento elegante e asettico di acciaio e vetro, quasi privo di carattere e colore, uno spazio esteticamente sfacciato ma che non rivela niente della personalità di chi lo abita, un luogo in cui Brandon non cerca accoglienza ed intimità ma la mera soddisfazione sessuale.

Shame apartment Cinematographe.it

La macchina da presa si aggira silenziosa, osservando molto da vicino, in modo a tratti persecutorio ma senza mai accennare possibili giudizi, un uomo di successo, perseguitato a sua volta da un malessere del quale non conosciamo le origini ma che Brandon lotta strenuamente per non affrontare tentando di metterlo a tacere attraverso l’oblio di una sessualità abusata, fatta delle stesse dinamiche alla base della tossicodipendenza. L’arrivo improvviso della sorella Sissy (una Carey Mulligan che non aveva mai offerto una performance di tale intensità) è destinato a scatenare una vera tempesta nell’apparente equilibrio dell’uomo, che si trova a costretto a non nascondersi più, mostrando a lei e a se stesso la vergogna profonda per una vita sbagliata.

Shame Skyline Cinematographe.it

“Noi non siamo cattive persone, veniamo solo da un brutto posto”.

Brandon e Sissy sono due facce della stessa medaglia, entrambi alle prese con un vuoto esistenziale colmato in modo opposto: l’uno difendendosi dalle emozioni, l’altra elemosinando costantemente amore e affetto; una serata durante la quale Sissy si esibisce come cantante intonando una versione blues e struggente di New York, New York rappresenta, all’interno delle pellicola, l’unico vero riflettore puntato sulla natura del dolore dei due ragazzi che, in una delle scene più belle ed intense del film, si scambiano occhi dentro occhi tutto il rimpianto per l’irreversibilità della storia che li ha portati a non riuscire ad essere felici nella città in cui tutti i sogni possono accendersi.

Shame Carey Mulligan Cinematographe.it

Sissy canta New York New York

Tante le emozioni in gioco, seppur tormentate e trattenute, ma tutte rese tangibili dalle geniali trovate registiche di McQueen che in Shame affida la realizzazione dei suo particolarissimo sentire al fedele protagonista di Hunger , al quale spetta il delicato compito di esprimere ogni possibile sfaccettatura della parola vergogna: un lavoro da fuoriclasse in cui Fassbender offre una performance semplicemente memorabile. La vergogna è ovunque in Shame, a partire dal titolo, nascosta nella costante paura di Brandon di essere smascherato dai colleghi o nell’incontro a cena con una ragazza con la quale potrebbe nascere qualcosa di diverso, reso insopportabilmente imbarazzante e teso dalle continue interruzioni di un cameriere.Shame dinner Cinematographe.it

Una pellicola in cui è impossibile non sentire sulla pelle le emozioni del protagonista che, fino all’ultima scena, ci obbliga ad interrogarci, attraverso le infinite sfumature del suo sguardo, circa la possibilità o meno di una qualche forma di redenzione e rinascita. Capolavoro.

Giudizio Cinematographe

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

5

Voto Finale