Outlander: L’ultimo vichingo – recensione del film di Howard McCain

Vi sono film dall’identità incerta, difficili da catalogare o da identificare, che non possono essere definiti come appartenenti ad un preciso genere, ma sovente ne abbracciano più contemporaneamente. Outlander: L’ultimo vichingo, diretto da Howard McCain (artista ed addetto ai lavori un pò tuttofare) è sicuramente uno degli esempi migliori che si possano portare.

Girato in Canada nel 2006 ed uscito nel 2008, era concepito per essere un film per la televisione ma fu lanciato al cinema all’ultimo momento, con risultati abbastanza disastrosi sul piano degli incassi, rivelandosi uno dei peggiori flop di quegli anni. Tuttavia questo film, con la sua natura ibrida di film fantascientifico, horror e fantasy medioevale, merita di essere riconsiderato, dal momento che rimane uno dei tentativi più coraggiosi e genuini degli ultimi anni di creare un film originale.

Outlander: l’ultimo vichingo – un film ammirevole per lo sforzo di essere originale

Outlander – L’ultimo vichingo prende il via  quando la nave spaziale guidata da Kainan (Jim Caviezel) si abbatte sulla Norvegia dell’VIII secolo D.C., lasciando in vita solo lui e una mostruosa creatura tenuta prigioniera nella stiva: un Moorwen, essere di enorme forza e perfida intelligenza, ultimo superstite di una specie distrutta dall’uomo senza motivo.

Kainan esplora la regione, e si imbatte in un villaggio distrutto dal mostruoso essere, ma prima di poter in qualche modo agire, viene catturato dai guerrieri di Re Rotghar (William Hurt), capitanati Wulfric (Jack Huston), e trasportato presso il vicino villaggio di Heorot. Qui l’atmosfera è tesa e incerta, dal momento che tutti si aspettano un attacco da parte di Gunnar (Ron Perlman), capo del villaggio distrutto, che era lontano con i suoi guerrieri e con cui esiste un’antica rivalità.

Nessuno crede all’innocenza di Kaidan, tranne Freya (Sophia Myles) la figlia del Re, che si dimostra l’unica a capire che dietro tanta morte la mano dell’uomo non può essere quella colpevole. In poco tempo i guerrieri vichinghi e Kainan saranno costretti ad unire le forze per far fronte all’attacco di un essere tanto mostruoso quanto astuto e implacabile, spinto dalla sete di vendetta contro l’uomo.

Partiamo da un presupposto: Outlander – L’ultimo vichingo non è un capolavoro e non riesce a sviluppare qualche cosa di più originale di una semplice “caccia al mostro” già vista tante volte nel cinema horror e fanta-horror come ne Lo Squalo, Alien, The Grey e tanti altri.

Outlander possiede un’energia, una genuinità e una forza espressiva che molti altri film del genere non hanno, spesso proprio quelli girati con abbondanti soldoni, divi strapagati e bombardamento pubblicitario costante. Qui il cast è comunque robusto e per quanto Ron Perlman sia solo in una figura di contorno, Caviezel, Hurt, Houston e Myles sono ben affiatati e sempre credibili. Caviezel sembra tra l’altro sempre restio ad accettare produzioni o ruoli facili, e quello di Kainan è in effetti un personaggio molto difficile da non rendere banale o scontato. Caviezel e fa del suo Kainan una specie di incrocio tra un Robinson Crosue e un Nathan Algren, naufrago tanto tra le stelle quanto nella vita.

Ma, a conti fatti, è il Moorwen il vero protagonista di Outlander. Creatura mostruosa frutto dell’ingegno del disegnatore e fuoriclasse degli effetti speciali Patrick Tatopulos (Indipendence Day, Ultimatum alla Terra, Pitch Black e chi più ne ha più ne metta all’attivo), deve il suo nome al Morlock di La Macchina del Tempo di H.G.Wells e si ispira alle nemesi di Beowulf nell’omonimo poema epico norreno.

Fin dai tempi de Lo Squalo si è capito che il nemico è metà film. La metà occupata da questo mostruoso incrocio tra Lupo, Drago, Serpente e Camaleonte è a dir poco terrificante…un mostro perfido, senza pietà, truculento e feroce come se ne sono visti pochi sullo schermo.

Eppure, mano a mano che si va avanti con il film, la sua rabbia, la sua sete di sangue e vendetta appare meno illogica di quello che sembra, la sua mostruosità inferiore a quella dell’uomo, di quest’uomo futuristico che continua a commettere gli stessi massacri che abbiamo visto ripetersi all’infinito verso animali o popoli più deboli. In un certo senso il Moorwen assurge a castigo divino, a punizione inflitta verso quell’umanità che fin dall’alba dei tempi non ha saputo fare altro che violentare una natura che di quando in quando trova comunque il modo di ribellarsi.

Outlander sposa quindi in toto atmosfere dark, gargantuesche, dove il sangue, la morte e la sofferenza sono di casa, ma appare una scelta a dir poco azzeccatissima di fronte a tanti prodotti “simili” nella confezione ma poi in realtà notevolmente addolciti per mancanza di coraggio o per il non voler turbare il pubblico.

McCain questo problema non se lo pone minimamente, e valorizza ogni istante grazie alla fotografia di Pierre Gill e alle musiche di Geoff Zanelli. Ma come collocare il film? E’ Fantascienza? E’ Horror? E’ un Fantasy? A costo di sembrare banali si può pensare giustamente ad un mix tra questi elementi e, ancor meglio, ad una mancanza totale di categorizzazione per un film che forse proprio grazie a questo ha potuto attrarre un attore come Caviezel.

E nonostante i suoi difetti, come alcuni “già visto” e la mancanza di profondità in alcuni personaggi, rimane un film che non merita le stroncature della critica che comunque, a denti stretti, dovette ammettere se non altro l’originalità di un progetto cinematografico che vi consigliamo se siete stanchi dei soliti megakolossal inconcludenti, che di fronte a film come Pitch Black, Grindhouse e, appunto, Outlander sovente sembrano quello che sono: dei baracconi senza costrutto.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

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