9 vite come Leyla: recensione del film Netflix

La recensione della black-comedy Netflix made in Turchia firmata da Ezel Akay, con protagonista il divo di casa Haluk Bilginer. Disponibile dal 4 dicembre.

C’è una casalinga indomita, un marito fedifrago e una consulente matrimoniale a caccia dell’amante ricco da spennare. A giudicare dal campionario di personaggi che animano 9 vite come Leyla, quello portato sullo schermo da Ezel Akay nel nuovo film Netflix made in Turchia sembrerebbe sulla carta il classico triangolo amoroso del lui, lei e l’altra, con l’alta infedeltà coniugale a scaldare la situazione. E in effetti lo è, o almeno in gran parte, se non ci fosse di mezzo un piano per cercare di mettere le mani su un antico e prezioso manoscritto, per l’esattezza quello appartenuto Lilith, il demone femminile che nella religione mesopotamica veniva associato alla tempesta, ritenuto portatore di disgrazia e morte. Per la tradizione ebraica e islamica, invece, è  la prima moglie di Adamo, espulsa dall’Eden e sostituita da Eva perché si rifiutava di sottomettersi alla sua autorità, anche in senso sessuale.

9 vite come Leyla: il classico triangolo amoroso del lui, lei e l’altra, destinato a finire male

9 vite come Leyla cinematographe.it

Un intreccio di corna si trasforma così in una questione decisamente più complicata, che chiama in causa una forza demoniaca reincarnatasi nel corpo di una casalinga devota chiamata non a caso Leyla, con un chiaro rimando all’altro nome con il quale è conosciuta Lilith, ossia Layla. L’immortalità è il motivo per cui la donna riesce a sopravvivere a tutti i tentativi del marito di toglierla dalla circolazione, cercando di farli passare come degli incidenti casuali: intossicazione, caduta dalle scale, sabotaggio dei freni dell’auto, botta in testa e avvelenamento. Purtroppo per lui, ogni tentativo risulterà vano e alla fine gli costeranno molto caro.

9 vite come Leyla: una black-comedy che ha il gusto inconfondibile della minestra riscaldata

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Un plot decisamente movimentato per una black-comedy dal ritmo frenetico, spalmato però su una timeline che raggiunge immotivatamente le quasi due ore di durata, con una mezz’ora di troppo che allunga un po’ troppo il brodo. Un brodo che ha il gusto inconfondibile della minestra riscaldata, che sembra attingere per poi mescolare film come Ti amerò… fino ad ammazzarti e La morte ti fa bella. Peccato che il mix che ne scaturisce assomiglia a una maionese impazzita andata a male, con il quartetto di sceneggiatori (tra cui lo stesso Akay) che prova in tutti i modi a strappare dalle labbra dello spettatore di turno qualche risata. Se in qualche scena il tentativo sembra vicino a dare dei frutti, per i restanti il bersaglio si allontana definitivamente quando il regista decide di giocarsi la carta dello humour demenziale, scadendo persino nel trash nel momento in cui intorno ai protagonisti iniziano a gravitare figure molto sopra le righe.

Una commedia che si gioca male la carta dello humour demenziale

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E come se non bastasse, il cineasta turco si complica ulteriormente la vita, complicandola anche al folto gruppo di interpreti capitanato dal divo di casa Haluk Bilginer, quando inserisce qua e là inguardabili e inascoltabili siparietti canori per provare a cogliere di sorpresa il fruitore. A quel punto la frittata è fatta e pronta per essere servita su Netflix a partire dal 4 dicembre. Una frittata che però rimarrà indigesta.

 

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 1.5
Sonoro - 2
Emozione - 1

1.7

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