’76: recensione del film Netflix di Izu Ojukwu

La storia di un uomo e una donna sullo sfondo della Nigeria in fiamme. '76, regia di Izu Ojukwu, è su Netflix dal 4 agosto 2021.

Lo spettatore occidentale, male allertato sulla storia africana in generale e quella nigeriana in particolare, troverà frustrante la reticenza di ’76. Molto della vita del paese è dato per scontato. Meglio sarebbe dire, consapevolmente tenuto ai margini. Non è un problema troppo grande dal momento che l’obiettivo di Izu Ojukwu, apprezzato autore nigeriano molto premiato nel continente, è molto più domestico e intimista di quanto suggerirebbe un primo sguardo. Il film è uscito in patria nel 2016, dopo una gestazione lunghetta; differente dalla maggior parte dei prodotti locali che foraggiano l’imponente industria dello spettacolo che da quelle parti si chiama Nollywood, questo riesce a bucare i confini nazionali, con passaggi a Toronto e Londra sempre nel 2016.

Un riconoscimento internazionale ai meriti di un dramma contemporaneamente storico e domestico, che esplora il gioco tortuoso che si insinua tra tensioni pubbliche e passioni private, basato su fatti realmente accaduti. Disponibile su Netflix dal 4 agosto 2021.

’76: la storia di un ufficiale, di sua moglie e di un paese in fiamme

'76 cinematographe.it

L’anno è il 1976, almeno qui niente ambiguità. Sono passati sei anni dalla fine della guerra civile, ma per la Nigeria l’aria è ancora irrespirabile. Nulla di tutto questo sembra importare troppo a Joseph Dewa, Ramsey Nouah, ufficiale dell’esercito in procinto di diventare padre. I colleghi più stretti, in un modo o nell’altro, tentano di convicerlo a fare la sua parte in vista di un imminente colpo di stato. Dewa si guarda intorno, ancora focalizzato sulle priorità domestiche sceglie di non giocare al piccolo golpista e anzi di provare a spifferare qualcosa della minaccia incombente. All’inizio, la moglie Suzy (Rita Dominic) non sospetta e non capisce nulla di tutto questo.

Ramsey Nouah ha gioco facile nel restituire la serafica autorevolezza del suo militare nel momento in cui la sua identità, la sua lealtà, l’integrità di uomo, padre e marito è messa duramente alla prova. Perché ’76 sarà pure fumoso sul piano storico, volutamente, ma quando c’è da chiarire non si tira indietro. Almeno sulle basi. Il colpo di stato del 1976 si concluderà con un nulla di fatto sul piano politico, salvo lo shock della morte del leader del paese, il generale Murtala Ramat Muhammed, a opera dei golpisti. La rappresaglia delle istituzioni è brutale; Dewa, estraneo ai fatti, per la sola vicinanza ai cospiratori rischia la morte.

A questo punto è l’energia drammatica di Rita Dominic a prendere il sopravvento, si fa notare anche la vicina di casa Memry Savanhu, altra moglie di ufficiale, sorta di capsula del tempo in termini di stile, acconciature e gusti musicali. Suzy è la protagonista occulta e la chiave di volta del film, racchiude nel suo cuore di moglie e madre appassionata l’inevitabilità del conflitto tra bisogni intimi e vita pubblica. Se la prima metà del racconto, decisamente più riuscita, definisce i contorni materiali e spirituali dei travagli dei protagonisti senza scordare il paese sullo sfondo, caricando tutto il peso sulle spalle di Nouah, la seconda parte è della donna. Gli ultimi 40 minuti  sono melodramma abbastanza puro, con qualche eccesso di troppo. Ma l’equilibrio tra vita domestica e storia patria tiene e questo regala al film robustezza. La riluttanza nel precisare il contesto è garanzia di più spazio per il quadro d’interni.

Una buona ricostruzione storica, anche se non troppo dettagliata

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Come gran parte dei film che scelgono di sdoppiarsi giocando a un prima e a un dopo, la costruzione di un antefatto e l’analisi delle conseguenze, anche ’76 si scopre più abile a delineare premesse che a tirare le somme. C’è poi il problema già accennato della povertà di informazioni storiche. Fidarsi troppo dello spettatore può essere un rischio, a qualunque latitudine. D’altronde il discorso vale anche a parti invertite, banalità per banalità molto si perde nella traduzione. Pure l’impressione è che il film si sia spinto un po’ oltre, nel restringere il suo orizzonte storico di riferimento.

Poco male, dal momento che al netto delle sue imperfezioni ’76 trova  strade alternative per gratificare lo spettatore. Vale la pena ricordare l’orgia di feticci vintage che fanno da coronamento a una ricostruzione storica accurata e visivamente stimolante. I vestiti, le pettinature, l’afrobeat che impazza nei locali, il fascino furbetto e irresisitibile del beneamato vinile. Tutto del film, compreso il Super 8 16 mm che soffia la vita nell’immagine, parla di un mondo che non c’è più. Nostalgia anche nella cupezza dei toni, l’autenticità delle cose per recuperare la verità delle emozioni. Nel complesso, funziona.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.5

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