Peter Greenaway: il mio cinema non è difficile, condivido solo le mie idee

"Dicono che il mio sia un cinema difficile, ma non posso fare altro che condividere le mie idee", questa è una delle tante affermazioni fatte da Peter Greenaway durante la nostra intervista.

Ci sono artisti che, nonostante la loro notevole età, sanno ancora cogliere i cambiamenti e le strade che un determinato mezzo sta per intraprendere. E il cinema, per molti, sta giungendo al capolinea. È la visione decadente del cineasta europeo Peter Greenaway, che ha reso il suo stile pomposo, estetico e lussuoso la bandiera della propria visione della settima arte. Ma è ora il connubio tra l’arte e la tecnologia a concentrare l’intera attenzione del regista, che ricalca nella nostra intervista il suo percorso non-narrativo e l’ammirazione per Jean-Luc Godard, come lui un cineasta che sa guardare oltre il cinema, approdando ai nuovi strumenti di comunicazione.

Peter Greenaway, quale pensi sia l’elemento di maggior riconoscibilità del tuo cinema e quello a cui sei più legato?

“Alcune persone dicono che il mio cinema è difficile, perché è pieno di riferimenti colti, di cultura, di nozioni, anche di arte italiana. Penso che con il cinema, certamente, ci troviamo davanti ad un buon media per raccontare storie, ma quello che mi è sempre interessato della settima arte era il suo poter essere un veicolo per far circolare le idee. Quello che mi piace è riuscire a rendere il mio cinema una pittura. Quindi le mie storie, o meglio ancora le idee, sono sempre un gioco di luci e ombre.”

In quale maniera hai cercato, e cerchi ancora, di rendere visive tali idee?

Attraverso la creazione di un cinema non-narrativo. Se si vuole una cosa scritta ci sono i libri. Molte persone vanno al cinema per il racconto, quindi bisogna spendere tempo nella messinscena del magnifico, dell’immaginazione, del fantastico. Ma non posso fare cinema solo per questo. Purtroppo non posso fare film per gli altri ed è perché ho le mie idee, come altri hanno le loro. Ognuno è affascinato da aspetti della vita e dello spettacolo sempre diversi, quello che ho fatto e che posso fare con il mio cinema – e spero che funzioni – è cercare di educare alla comprensione della comunicazione tra persone, andare a instituire nel mondo dei collegamenti. 

Peter Greenaway: “Spero che, con il mio cinema, sia riuscito a creare dei collegamenti tra persone.”

Per essere un cineasta di altri tempi, sei molto più aperto alle nuove tecnologie di quanto si possa pensare. Come pensi debbano venir utilizzate le ultime scoperte e che ne pensi della loro entrata negli ambiti più artistici?

“Molti registi intelligenti di oggi sono aperti alle tecnologie. Sono quest’ultime che hanno cambiato l’aspetto visivo attuale e bisogna riconoscere che lo hanno fatto in maniera straordinaria. Bisogna fare uso di queste caratteristiche che le tecnologie ci permettono ed è un bene vedere come tante persone si aprono all’interesse di questi media. L’importante è che il cinema viva e continui a vivere e per fare questo è necessario che si utilizzino le nuove tecnologie. In fondo, fanno parte di noi e permettono di provare nuovi linguaggi universali.”

La tua fiducia nel cinema, però, non è certo delle più solide. Cosa pensi di fare o cosa pensi si debba fare per riportalo ai suoi splendori?

“A volte penso di essere un folle perché ancora faccio film. Me come Jean-Luc Godard. Siamo ancora qui, ma la differenza è che riusciamo a capire il cambiamento, cosa che dovrebbero però fare anche tutti gli altri. Non vogliamo più che ci sia soltanto la vecchia fascinazione rinascimentale, c’è bisogno di dipingere qualcos’altro. Magari la tv, anche se rimane un’impresa noiosa.”

Hai nominato Jean-Lucy Godard che, come sottolineavi, è anche lui un sostenitore dei nuovi mezzi e un grande manipolatore del linguaggio. Cos’altro vuoi dirci nei suoi confronti?

“Godard è ancora vivo, ancora lavora e ancora sperimenta. Anche se, personalmente, quello che preferisco è il suo lavoro iniziale, che trovo davvero incredibile. Come incredibile è il suo uso della macchina, le diverse dimensioni che utilizza, i posti poco ordinari in cui la posiziona. In un mondo fatto principalmente di Hollywood, grandi produzioni, set enormi, glamour, lui se ne è sempre fregato  e con François Truffaut e Chris Marker ha avuto grande influenza sul cinema. Ma, nonostante questo, sa che ora a tutto questo deve prendere posto la tecnologia.”