Sofia Coppola su Marc by Sofia a Venezia 2025: Non è nostalgia. È bellezza

Marc by Sofia è memoria intima, visione estetica, gesto d’amicizia. Nella quiete levigata della sala stampa, Sofia Coppola parla con quella grazia trattenuta che incanta anche nel silenzio. Come nei suoi film, è lo spazio vuoto a dire tutto.

Marc by Sofia, fuori concorso a Venezia 82, è più sussurro che dichiarazione. Un dialogo visivo tra due anime cresciute nella New York che vestiva di caos e pensava in bellezza.
Sofia Coppola non racconta Marc Jacobs — lo sfiora. Tra luci basse, backstage e silenzi che pesano più di mille soundtrack, prende forma un ritratto che non cerca definizioni. Non è nostalgia. È fascino che ha imparato a tacere.

Marc by Sofia, non un biopic, ma un sussurro: la storia di Marc Jacobs attraverso gli occhi di Sofia Coppola

Marc by Sofia;
Cinematographe.it

Nel corso della conferenza stampa tenutasi a margine della première del documentario Marc by Sofia, Sofia Coppola ha parlato con grazia e misura, come sempre. Ma nei suoi gesti — sottili, trattenuti, precisi — si avvertiva l’intensità di un progetto che ha preso forma nel tempo, nel legame, nella pelle del ricordo.

“All’inizio non volevo farlo. Non si fa un film su un amico. È troppo personale, troppo vicino. Ma poi ho rivisto il materiale d’archivio e ho capito che era l’unico modo giusto per raccontare Marc: partendo dalla nostra storia condivisa.”
La narrazione del documentario si fonda proprio sulla storia condivisa tra la regista e lo stilista, offrendo un racconto intimo e mai invadente. Non si tratta tanto di ricostruire la carriera di Marc Jacobs, quanto di catturare la sua aura, il suo percorso emotivo e artistico. Marc by Sofia, come sottolineato più volte da Sofia Coppola, non è un biopic né un ritratto tradizionale, ma una costruzione visiva e affettiva: una composizione che si regge su dettagli sottili e la comunicazione visiva dell’estetica artistica.
Marc Jacobs, seduto accanto a lei, conferma con disarmante sincerità:

Con Sofia ci conosciamo da più di trent’anni. C’è un’affinità reale, non solo estetica. Abbiamo condiviso gli anni più formativi, quando New York era ancora ruvida e fertile, e la moda non era una macchina, ma una lingua. Accettare di essere raccontato da lei è stato facile. Mi fido del suo sguardo.”

Marc by Sofia: New York, trucco, aria condizionata e i Sonic Youth

Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei duemila, New York era un laboratorio pulsante di estetiche, scontri e intuizioni. Le sfilate di Marc Jacobs diventavano veri e propri atti narrativi, abitate da modelle che sembravano uscite da un film indie in pellicola 16mm: Chloë Sevigny, musa errante del downtown, appariva tra passerelle e after-party con la stessa naturalezza con cui abitava le inquadrature del cinema fatto male. Erano le figure centrali — icone accidentali di un’estetica che non voleva essere tale, figure in perenne fuga dall’ideale, e proprio per questo impossibile da dimenticare. Sofia Coppola non la nomina spesso, ma la fa apparire: una presenza che attraversa l’immaginario del film come un odore persistente. Come quel misto di trucco e aria condizionata che aleggia nel backstage, quando l’adrenalina è ancora compressa: una moda che nasceva dalla vita reale e tornava a essa, con una sensibilità quasi letteraria.

Accanto a questa atmosfera visiva, la musica giocava un ruolo fondamentale. Come in ogni opera della regista de Il Giardino delle Vergini Suicide, anche in Marc by Sofia la colonna sonora non accompagna, interpreta.
Avevamo bisogno di un suono capace di restituire il battito di quegli anni – ha spiegato la regista- C’era la nuova femminilità di Kim Gordon, invisibile ma fondamentale, che emergeva nei margini, nel suono sporco, nella scelta di far convivere rumore e grazia, disordine e composizione. I Sonic Youth rappresentavano quel rumore intrecciato al respiro. Il nostro obiettivo era evocare un’epoca, non semplicemente raccontarla.

Anche in Marc by Sofia, la dissonanza e l’anti-patinato restano protagonisti, incarnando identità oblique e potenti che Coppola ha sempre ritratto attraverso la sua estetica pop: fragile e al contempo decisa, sospesa ma ben presente, come in Lost in Translation. La città sullo sfondo — un grande crocevia culturale, pulsante e in continua trasformazione, ma ormai mutato nel tempo — non viene descritta apertamente, ma si insinua delicatamente nella narrazione. È la luce filtrata dalle vetrine di Soho a fine pomeriggio, il rumore dei tacchi che rimbalzano sulle grate, il suono inconfondibile di un brano dei Sonic Youth in sottofondo, forse Shadow of a Doubt, che si alza e poi svanisce. Non servono skyline: basta un soffuso rumore urbano per riconoscere immediatamente il luogo.

“La musica non accompagna. La musica è parte del racconto. È come un tessuto: ci si costruisce sopra, ma prima si deve toccarlo.”
È lì che si sente ancora il post punk emergere dai sotterranei — non tanto brani, quanto un’aria stinta, una malinconia elettrica, una cadenza scomposta che pulsa sotto ogni immagine. Una ballata distorta suonata tra i neon e le scale d’emergenza, una colonna sonora emotiva più che musicale.

Marc by Sofia: Anche gli Angeli Sniffano

La costruzione del film è avvenuta, in gran parte, in fase di montaggio.
“Non avevamo una sceneggiatura precisa. Ho voluto lavorare come faccio sempre: per sensazioni, per accostamenti. Volevo che il film crescesse come una pianta, non come un palinsesto. I produttori mi hanno lasciata libera. Ed è stata una forma di libertà anche per me.”

Quello che ne è venuto fuori è un racconto visivo di straordinaria coerenza, pur nella sua fluidità: materiali d’archivio, immagini inedite, riprese intime, lenti movimenti di macchina, e il grande finale — una sfilata filmata con la grazia del cinema-verità, ripresa come un rito d’addio.

“Siamo stati lì, dietro le quinte, senza farci notare. Come i tecnici di scena,” racconta Coppola.
C’era odore di fard e stress, ma anche la bellezza del gesto compiuto. La chiusura del cerchio. Il battito che rallenta dopo il picco. Abbiamo girato nel backstage con leggerezza, senza disturbare. Lì c’era la tensione creativa, l’eccitazione e la fatica. E soprattutto, la bellezza di un momento irripetibile. C’era odore di fard e stress, ma anche la bellezza del gesto compiuto. La chiusura del cerchio. Il battito che rallenta dopo il picco.”

Marc Jacobs si mostra grato, ma anche sorpreso del risultato:

“È strano vedersi così. Ma Sofia è riuscita a mantenere la delicatezza. Non c’è voyerismo, non c’è narcisismo. Solo il desiderio di restituire una verità: non quella oggettiva, ma quella più profonda, quella estetica.”
Il film sfiora temi profondi e personali: la chirurgia estetica, le dipendenze, il lento scorrere del tempo. Ma tutto avviene senza clamore, con un’intima sobrietà.
“Non ho mai avuto nulla da nascondere” racconta Jacobs. “Sono stato sincero. E lei ha saputo raccontare tutto con una gentilezza rispettosa. È un viaggio attraverso il fallimento, la trasformazione, la sensibilità

Sofia annuisce Non volevo spiegare Marc, ma cogliere le sue vibrazioni. Le ombre e la luce che lo attraversano.
E poi c’è la città — presenza palpabile, respiro incessante. Non un semplice scenario, ma un’anima viva. Un luogo che forse oggi è solo un’ombra di sé stesso, dove le passerelle erano seminterrati, i casting si svolgevano nei locali notturni, e la moda si scriveva a mano, con un inchiostro fatto di passione e audacia.
“Marc era il battito di quel mondo” dice Coppola. “Era immerso in quella corrente, a cavallo tra l’underground e il fashion system. E io ero lì, con la mia telecamera, a catturare quel battito prima che si spegnesse

Marc by Sofia non è davvero un documentario. È un’eco fuori fuoco, un tributo cucito su misura, come una camicia bianca oversize indossata da un ragazzo degli anni novanta.