Senza Distanza: intervista al regista e sceneggiatore Andrea Di Iorio

Il catalogo della piattaforma streaming CG Entertainment si arricchisce col film Senza Distanza, opera prima di Andrea Di Iorio. Ecco cosa ci ha raccontato il regista.

La piattaforma streaming CG Entertainment ha recentemente reso disponibile l’opera prima di Andrea Di Iorio, Senza Distanza (QUI la nostra recensione), sia per il noleggio che per l’acquisto in formato digitale. Il film è stato presentato a numerosi festival internazionali e si è aggiudicato il premio per la Miglior Attrice Protagonista al Melbourne Indie Film Festival, il premio come Miglior Lungometraggio  e come Miglior Attrice al Fano Film Festival e il premio della Giuria Popolare al Ad Arte Festival.

Senza Distanza è stato scritto, diretto e prodotto da Andrea Di Iorio e ha nel cast Marco Cassini, Lucrezia Guidone, Giovanni Anzaldo, Giulia Rupi, Elena Arvigo e Paolo Perinelli. Di seguito la sinossi e l’intervista al suo autore:

Col fine di testare una relazione a distanza, Mina ed Enzo prenotano due camere in un B&B sperimentale, in cui ogni stanza rappresenta una città e un fuso orario diversi.

Senza Distanza: intervista ad Andrea Di Iorio

 

Senza Distanza è la prova che anche con un piccolo budget e una sola location è possibile realizzare prodotti cinematografici di qualità, soprattutto quando si ha una bella storia da raccontare. Come è nata l’idea, originalissima, alla base di questo film?

“Senza distanza nasce dalla fusione di due idee. Dopo essere tornato da un viaggio all’estero, mi era venuta una gran voglia di girare un film in vari luoghi del mondo, e il non poterlo fare ha prodotto in me l’immagine di un posto che racchiudesse simbolicamente le più importanti città del pianeta: da qui l’idea del bed & breakfast con le camere che hanno orologi appesi alle porte con i rispettivi fusi orari delle capitali del mondo e che al loro interno mettono in atto una simulazione del vivere in quelle città. Potevo così soddisfare anche una mia vecchia passione, quella per i film ambientati in un solo luogo, da me amati perché permettono a personaggi con personalità molto differenti tra loro di incontrarsi e scontrarsi a causa dello spazio ristretto. Chiaramente, l’unità di luogo mi tornava utile anche sul piano produttivo. Avrei assunto degli ottimi attori e li avrei fatti recitare in quel posto. Questo mi ha permesso di girare il film in soli otto giorni. La seconda idea, poi, veniva dal mio interesse per alcuni temi antropologici (in particolare il concetto di matrilinearità). Volevo fare un film in cui emergesse un tipo di struttura societaria dimenticata, che si scontrasse con quella attuale.

Nel film, i rapporti a due vengono dipinti più come vincoli che come occasioni di evoluzione. Che messaggio hai voluto trasmettere attraverso la messa in scena dell’insoddisfazione di queste coppie?

L’esperienza di coppia può essere qualcosa di meraviglioso ma anche qualcosa che porta ad una collezione di compromessi, quando il rapporto a due diventa tossico e nel frattempo si è instaurata tra i due partner una relazione di codipendenza affettiva. La domanda che volevo pormi e porre agli spettatori era: a cosa si rinuncia, nella propria vita, per questa dipendenza, dal punto di vista emotivo e poi dal punto di vista lavorativo? Nel bed & breakfast le coppie arrivano e si scindono, e ogni singolo individuo sceglie la camera che corrisponde alla città in cui vorrebbe andare a vivere e lavorare, Parigi, Londra, eccetera, e non può da quel momento entrare nella stanza del partner. Questa specie di corso preparatorio per relazioni a distanza  è l’equivalente di una terapia per imparare ad affrontare la solitudine, con cui prima o poi nella vita dobbiamo fare i conti, per periodi più o meno lunghi.

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Quando si parla di assunzione di responsabilità, nella vita, si pensa subito al senso di colpa. Ma Senza Distanza parla dell’esatto contrario. Pensi sia davvero possibile indirizzare la propria vita nella direzione che più si desidera, senza farsi condizionare dalle aspettative della società?

Il personaggio di Gaia, interpretato da Elena Arvigo, può essere visto come l’affermazione della possibilità di una vita vissuta diversamente. Nella scena della cena in cui lei si presenta ai clienti del bed & breakfast c’è chi, come Mina (Lucrezia Guidone), trova le sue parole seducenti  e stimolanti, e chi, come Catia (Giulia Rupi), le trova moralmente inaccettabili. Poi ci sono i due ragazzi (interpretati da Marco Cassini e Giovanni Anzaldo) che forse sono ancora più spaesati. Le risposte diverse all’elemento esterno perturbante, che è appunto Gaia, sono dovute alla formazione personale di ogni singola persona. Il nostro modo di pensare, le nostre idee e le nostre reazioni ad idee in contrasto con le nostre sono dovuti al modo in cui siamo cresciuti e all’educazione che abbiamo avuto. L’impatto con un pensiero diverso dal nostro può essere più o meno lieve a seconda delle esperienze che abbiamo avuto nella nostra vita, che ci hanno formato. È difficile arrivare a trent’anni e cambiare completamente il proprio modo di pensare. Gaia è nata e cresciuta in quel mondo a parte, e per lei la normalità è quella. I clienti del B&B invece sono i visitatori esterni che non hanno mai ascoltato davvero un pensiero così diverso dal loro, e anche se ne possono essere sedotti, hanno difficoltà a cambiare le idee che in una vita intera si sono inserite profondamente nel loro inconscio. In poche parole, cambiare non è semplice, soprattutto quando non si è più giovanissimi, e il senso di colpa è un sistema di difesa che la mente può mettere in atto quando si prende un tragitto inaspettato.

La tematica di Senza Distanza appare estremamente attuale in questo drammatico periodo storico, e forse anche profetica. In che modo la distanza fisica può diventare un’occasione di evoluzione nei rapporti umani, invece di trasformarsi in distanza emotiva?

Io credo che sia giusto trovare un equilibrio tra distanza e totale mancanza di distanza. I personaggi di questo film sono completamente “senza distanza”, perché tra di loro è stato annullato del tutto il limite che c’è tra una persona e l’altra. I partner si sono fusi tra loro diventando una cosa sola, immagine che inizialmente può apparire romantica, ma che col tempo rischia di preannunciare un percorso poco sano. Penso che sia importante riuscire a convivere con una certa percentuale di solitudine, per poi gustare in maniera più sincera la presenza dell’altro, che sia il partner o un amico. I rapporti eccessivamente fusionali finiscono col consumarsi prima del previsto, perché le personalità si confondono tra loro e gli obiettivi della propria vita sfumano o vengono sottoposti al rischio della rinuncia e del compromesso, dato che diventa quasi impossibile non scontentare l’altra persona.

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Quali sono gli autori ai quali ti ispiri maggiormente nel tuo lavoro di regista e sceneggiatore? 

Sono sempre stato attratto dagli autori che costruiscono i propri film intorno a storie solide e personaggi che non si dimenticano, e che mettono la narrazione al primo posto. Considero la sceneggiatura un’impalcatura imprescindibile e per questo motivo ho girato questo film assicurandomi di avere scritto una sceneggiatura alla quale potermi affidare e di disporre di un cast di ottimi attori che sarebbero riusciti a darle vita per poter riuscire a completare le riprese in un brevissimo periodo di tempo. Tra gli autori che considero i miei insegnanti da questo punto di vista ci sono senza dubbio Woody Allen, Billy Wilder e Ettore Scola, seguiti da tanti altri che più o meno hanno influenzato il mio modo di intendere il cinema.

Parlaci dei tuoi progetti futuri.

Ho una nuova sceneggiatura pronta, che in qualche modo ha sempre a che fare con il concetto di distanza, anche se si tratta di una storia completamente diversa, focalizzata sul bisogno che abbiamo degli altri. Evidentemente il dondolare tra la necessità della presenza dell’altro e la distanza che si frappone tra noi e le persone è qualcosa che mi ha sempre toccato profondamente e continuerà ad interessarmi in futuro.